L’analisi ad interim dello studio ADVANCE, che aveva un disegno simile all’ACCORD, non conferma l’aumento di mortalità legato alla terapia ipoglicemizzante intensiva.

A causa della interruzione anticipata dello studio ACCORD è stato chiesto al comitato per la sicurezza dello studio australiano ADVANCE di controllare se effettivamente una terapia ipoglicemizzante aggressiva possa portare ad un aumento della mortalità nel diabete tipo 2.

L’analisi ad interim dello studio ADVANCE non ha trovato un aumento della mortalità nel gruppo trattatto in maniera più intensiva.
Lo studio ADVANCE ha arruolato oltre 11.000 diabetici tipo 2 randomizzati ad una terapia ipoglicemica standard o intensiva ed è praticamente arrivato al termine, anche se l’analisi dei dati comincerà a marzo 2008. Tuttavia nel comunicato stampa non è stato precisato se la terapia intensiva avesse un effetto di riduzione degli esiti o no rispetto alla terapia standard.

Alcuni esperti hanno già cercato di spiegare i diversi risultati, notando alcune differenze tra le popolazioni arruolate nei due studi: nell’ACCORD erano solo americani, avevano un diabete da più di 10 anni e dovevano raggiungere una glicoemoglobina inferiore a 6%. Nell’ADVANCE la popolazione non era americana, il diabete durava in media da 8 anni e il target di HbA1c da raggiungere era di 6,5%.

L’ccesso di mortalità trovato nell’ACCORD potrebbe, secondo alcuni, dipendere dall’uso di una terapia ipoglicemizzante più aggressiva di quella usata nell’ADVANCE.

L’American Diabetes Association ha dichiarato che bisognerà attendere la pubblicazione dei due studi oltre che di un terzo in corso (VA Diabetes Trial) prima di poter decidere in merito alla intensità della terapia ipoglicemizzante. Nel frattempo continuano ad essere valide le raccomadazioni delle linee guida di tentare di raggiungere una HbA1c inferiore a 7%, tuttavia personalizzando la scelta; i pazienti ad elevato rischio cardiovascolare o con cardiopatia in atto è opportuno si consultino con i loro medici per decidere la soglia del trattamento.

 

da http://www.medscape.com/viewarticle/570243