Per arrivare ad un mondo libero dall’insulina e dal diabete di tipo 1 serve un’ampia alleanza tra ricercatori, medici, istituzioni e società civile

In occasione della Giornata Mondiale del Diabete, il 14 novembre, la Fondazione Italiana Diabete, in un evento presso la Sala del Cenacolo, ha presentato, attraverso i ricercatori che sostiene, un appello alla Camera dei Deputati per una ampia alleanza che possa perseguire l’obiettivo di arrivare a curare il diabete di tipo 1 e tentare di prevenirlo in chi ancora non è clinicamente ammalato.
Cento anni fa Leonard Thompson riceveva una puntura di quella che poi verrà chiamata insulina e fu il primo essere umano a sopravvivere ad una diagnosi di diabete di tipo 1; 55 anni fa il dottor Richard Lillehei portava a termine il primo trapianto di Pancreas con successo; 37 anni fa il primo trapianto rene pancreas andato a buon fine in Italia, a Milano, ha permesso l’insulino-indipendenza ad una persona con diabete di tipo 1.

32 anni fa primo trapianto di isole con successo a Milano e 3 anni fa il primo paziente con Diabete di tipo 1 ha ricevuto cellule progenitrici delle cellule beta ottenute grazie a cellule staminali pluripotenti non embrionali in Europa, a Bruxelles.

500 giorni fa Brian Shelton ha ricevuto negli Stati Uniti la prima infusione di cellule beta derivate da staminali pluripotenti e ha guadagnato l’indipendenza dall’insulina.

Questa la lunghissima galoppata della scienza per curare il diabete di tipo 1, ora manca l’ultimo miglio!

Le cellule staminali pluripotenti differenziate a cellule beta hanno dimostrato di poter produrre insulina e sono in corso le sottomisssioni alle agenzie regolatorie in 6 paesi in Europa, Italia compresa, per il loro utilizzo nella terapia del diabete. In una prima fase gli studi saranno fatti in soggetti che presentano episodi di ipoglicemia severa e controllo metabolico insufficienze nonostante la migliore terapia con insulina disponibile e richiederanno la assunzione di immunosoppressori. In una fase successiva si potranno sviluppare i primi studi senza l’utilizzo degli immunosoppressori.                         

Il Professor Lorenzo Piemonti, Direttore dell’Unità Operativa di Medicina Rigenerativa e dei Trapianti e del Diabetes Research Institute del San Raffaele di Milano, che è uno dei principali beneficiari dei finanziamenti di Fondazione Italiana Diabete, ha fatto il punto alla Camera dei Deputati rispetto agli sviluppi della medicina rigenerativa per curare il diabete di tipo 1.

Se tutto procede per il verso giusto tra qualche anno potrebbe essere finalmente possibile immaginare d arrivare alla cura del diabete di tipo 1 con un approccio basato sulla medicina rigenerativa “Ma l’ultimo miglio è sempre il più difficile e dipende non solo dalla scienza, ma scelte più ampie di altre componenti della società quali gli stakeholder economici e politici “ ha detto Piemonti: “senza uno sforzo strategico sarà difficile sostenere la ricerca e l’innovazione quando sarà il momento di arrivare al letto del paziente”.

Lo sforzo strategico nazionale dovrebbe riguardare anche la predizione e prevenzione della malattia, non solo lo sviluppo della cura per chi è già ammalato. Il Prof. Emanuele Bosi, Direttore della Medicina Interna a indirizzo endocrino-metabolico deIl’ I.R.C.C.S. San Raffaele e della scuola di Specializzazione in Medicina Interna dell’Università Vita-Salute San Raffaele, Presidente del Comitato Scientifico di FID ha presentato l’efficacia e i risultati delle attività di screening di popolazione che si portano avanti in molti paesi del mondo.

In Italia oggi, oltre il 40 per cento dei bambini in esordio di diabete di tipo 1 arriva nei PS degli ospedali in chetoacidosi. La chetoacidosi diabetica è una complicanza acuta che può portare al coma e alla morte e che, quando è particolarmente marcata lascia danni fisici per tutta la vita, oltre a rappresentare un trauma per il bambino e la sua famiglia. Nei paesi in cui viene portato avanti uno screening di popolazione, come ad esempio nella regione tedesca della Baviera, la chetoacidosi scende dal 30/40% al 3%. Lo screening è possibile con un semplice pungidito che permette una analisi di laboratorio degli autoanticorpi del diabete, presenti molti mesi e anni prima della diagnosi.

Lo screening dell’intera popolazione permetterebbe inoltre di intervenire nelle fasi precedenti alla malattia conclamata con terapie atte a rallentare l’esordio stesso, quali specifici anticorpi monoclonali e altre terapie allo studio.

Il Prof. Bosi, che ormai dal 1985 porta avanti gli screening dei familiari di persone con diabete di tipo 1 prima in ambito nazionale e poi all’interno di consorzi di ricerca mondiali ed europei ha affermato che “lo screening degli anticorpi del diabete di tipo 1 non può più essere considerato ricerca clinica, ma una vera e propria azione di salute pubblica, come avviene per molte altre malattie”.

Il nostro obiettivo è costruire tutte le alleanze necessarie per liberarci dal diabete di tipo 1” ha affermato il Presidente della Fondazione Italiana Diabete Nicola Zeni“e quella con le istituzioni è fondamentale per percorrere le poche miglia che mancano alla cura definitiva e alla prevenzione della chetoacidosi in esordio e possibilmente della malattia stessa”

COSA E’ IL DIABETE DI TIPO 1

Il diabete di tipo 1, spesso confuso con il più diffuso diabete di tipo 2, con il quale però non ha nulla a che fare, è infatti una malattia autoimmune, causata da un “corto circuito” del sistema immunitario che scatena contro le cellule pancreatiche che producono l’insulina (beta cellule) degli autoanticorpi che le distruggono.
La scienza conosce questo 
processo, tipicdtuttlaltrmalattiautoimmuncome aesempio la più nota Sclerosi Multipla, ma nosancora quale causa sdebba la sua origine. La malattia non è quindi oggi guaribilné prevenibileanchsalcunanticorpmonoclonali stanno dando i primi risultatnel rallentarne levoluzione in fase di esordio.
Lunicmodo per sopravvivere  
pelpersoncolpitè iniettarinsulinmoltvoltagiorno, per tutta la vita. La terapiinsulinicper un diabetico di tipo 1il cui corpo non produce più insulina, è una delle terapipiù complessche esistin clinicaperché ifabbisogno è determinato da  moltfattordiversi (non soldacibingeritma ancheaesempio, dal livello di attività fisicdallansianchsolpeucompiticlasse), le dosi nella quotidianità – dopo un iniziale setup con il diabetologo – vengono decisautonomamente dai pazienti e l’ormone esogeno, se iniettatin eccesso in difettopuò causarsvariate complicanze acute o croniche, tra cui icoma (peipoglicemialloppostper chetoacidosi diabeticala morteSecondo gli studi più aggiornati, un diabetico di tipo 1 ha una aspettativa di vita di circa dieci anni inferiore rispettallmedia.
Lvitcoil diabete di tipo 1 è migliorata 
incredibilmentgraziallricercsu farmactecnologie (nuove insuline, sensori, microinfusoripancreaartificiale)mlmalattirimane inguaribilenon prevenibile destrema complessità gestionale.
Lesordiè spessutrauma per famiglie e malati, nel 50decasidiabetdtipinfattinsorgnebambini.
In tutto i malati nel nostro paese sono circa 190 mila.
FONDAZIONE ITALIANA DIABETE ONLUS – FID
DdiecannFIè lunicFondazionin Italia dedicatesclusivamente alla raccolta fondi  per lricercduncurdefinitiva adiabetdtip1lforma autoimmune della malattia, chnellmetà dei casesordiscdbambinadolescenti.
La Fondazione è stata creata 12 annfdagenitorduragazzchsè ammalatddiabete di tipo 1 a 18 mesi ed è gestita interamentdpersoncolpitdallmalattiaFondazione Italiana Diabete raccoglie fondi in manierautonomindipendentdaziendfarmaceutiche, istituzioni e società scientifiche  ldistribuiscesbascompetitivaamiglioristitutdi ricerca e università, impegnati nel trovaruncurdefinitiva questmalattia autoimmune che sconvolge la vita dei malati e delllorfamiglie.
Contatti stampa: Francesca Ulivi  Direttore Generale e Comunicazione FID: