Sindrome metabolica e gravidanza: un legame molto stretto
Restare incinta pare possa aumentare le probabilità di sviluppare la sindrome metabolica in futuro, in particolare se già associata a patologie quali obesità, trigliceridi alti, insulino-resistenza e altri fattori di rischio per le malattie cardiovascolari. Il rischio, poi, raddoppia in caso di diabete gestazionale.
Lo suggerisce uno studio combinato, ad opera di ricercatori dell’University of Alabama a Birmingham (UAB).
Gli scienziati hanno analizzato i dati provenienti dal CARDIA (Coronary Artery Risk Development in Young Adults), per determinare la correlazione tra una maggiore incidenza della sindrome metabolica tra le donne di età compresa tra i 18 e i 30 anni all’inizio dello studio, che hanno partorito almeno un figlio durante i 20 anni successivi. Le donne prese in esame avevano questa età nel 1985-1986 e sono state seguite fino a oggi.
Dai dati è emerso tra le donne che avevano avuto almeno un figlio negli ultimo vent’anni vi sono stati molti più casi di sindrome metabolica che non in quelle che non hanno avuto figli. In percentuale i casi sono stati del 30% nelle donne senza la complicanza da diabete gestionale e del 62% in quelle con la complicanza.
Nel totale sono state osservate 1.451 donne. Di queste, 706 non hanno avuto figli, mentre 745 hanno avuto almeno un figlio. Di queste ultime, 88 hanno avuto una complicanza da diabete gestionale.
La dr.ssa Cora E. Lewis e colleghi avanzano l’ipotesi che lo sviluppo della sindrome metabolica possa essere collegato alla gravidanza a causa dell’aumento di peso e della minore attività fisica.
Gli studi che seguiranno saranno indirizzati a scoprire se un controllo sul peso, sui livelli di colesterolo e trigliceridi possa prevenire lo sviluppo della patologia dopo la gravidanza.
Tuttavia, ricorda Lewis, l’attuale miglior modo per prevenire le malattie – anche per le donne in età fertile – è quello di apportare le necessarie modifiche al proprio stile di vita: fare esercizio fisico e seguire una dieta sana.
(lm&sdp)
Source: lo studio è stato pubblicato sull’American Journal of Obstetrics and Gynecology.