I diabetici si nutrono male
Bisogna premettere che la notizia arriva dagli Stati Uniti, che non sono propriamente la patria della dieta sana. Ma con qualche distinguo il problema esiste anche di qua dall’oceano, e quale sia la questione è presto detto. neppure una diagnosi di diabete serve a mettere in riga a tavola: la maggioranza dei pazienti mangia male, con troppi grassi saturi e poca frutta e verdura. Questo il risultato di una ricerca uscita sul Journal of the American Dietetic Association, condotta su poco meno di 3mila persone con diabete di tipo due.
SORPRESA – «Pensavo che, trattandosi di persone affette da una malattia cronica, i pazienti fossero più informati e soprattutto più motivati a una dieta sana rispetto alla popolazione media. Mi sbagliavo», osserva Mara Vitolins, epidemiologa alla Wake Forest University e responsabile dell’indagine. I partecipanti, che stavano per essere arruolati in una sperimentazione in cui valutare metodi per perdere di peso e incrementare l’attività fisica, hanno risposto a questionari per indagare la loro dieta quotidiana prima di qualsiasi intervento: in sostanza, i ricercatori hanno voluto capire come mangiano i diabetici di solito e che cosa li rende sovrappeso. I risultati sorprendono: la maggioranza dei malati, nonostante le raccomandazioni, mangia male e non rispetta gli introiti di nutrienti dettati dalle linee guida nazionali statunitensi. Addirittura il 93 per cento eccede con le calorie da grassi, l’85 per cento esagera coi grassi saturi, il 92 per cento non sta attento al sodio. E meno di metà dei pazienti, invece, consuma abbastanza frutta e verdura: in media il 44 per cento delle calorie giornaliere viene dai carboidrati, il 40 per cento dai grassi, il 17 per cento dalle proteine. Un mezzo disastro insomma. «Pensavo che almeno i pazienti con anni di gestione del diabete alle spalle fossero più attenti a tavola. Niente da fare, le cattive abitudini valgono per tutti», ammette la ricercatrice.
ITALIA – «In Italia le cose vanno un po’ meglio perché la nostra dieta abituale è comunque più salutare rispetto all’alimentazione dell’americano medio – commenta Gabriele Riccardi, docente di malattie del metabolismo dell’Università Federico II di Napoli e presidente eletto della Società Italiana di Diabetologia –. Ma anche da noi il concetto è quello: una ricerca simile svolta qualche tempo fa nella realtà del nostro Paese mostrò che circa il 70 per cento dei malati non aderisce alle principali raccomandazioni dietetiche». Eppure non è un segreto per nessuno che la dieta sia una colonna fondamentale nella gestione del diabete, in molti casi addirittura l’unico intervento proposto dai medici prima di passare ai farmaci. «La prima cosa da fare per tenere sotto controllo il diabete è gestire in maniera adeguata l’introito e la spesa energetica – dice la Vitolins –. Il cibo che i pazienti mangiano giorno dopo giorno va considerato come parte fondamentale del trattamento della malattia e, visti i risultati, c’è bisogno di farlo capire davvero bene ai diabetici, senza dare per scontato che lo sappiano in quanto malati».
SCARSO AIUTO – La Vitolins suggerisce ricerche future mirate a capire quali sono gli ostacoli che impediscono ai pazienti di seguire una dieta corretta, ma Riccardi ha già qualche idea in proposito: «Cambiare lo stile di vita è sempre difficile, ma anche nel nostro Paese, che pure è meglio organizzato degli Stati Uniti per l’assistenza ai diabetici, facciamo in pratica ben poco per aiutare i pazienti nell’impresa. Quanti servizi di diabetologia hanno un dietista? Quanti medici di base possono accedere a un servizio nutrizionale? Di fatto ci affidiamo alla buona volontà dei pazienti». Che vengono bombardati, come tutti noi, dalla pubblicità di cibi spesso non proprio sanissimi e che, come noi, non trovano altro che merendine nei distributori automatici, perfino negli ospedali. E questi sono solo un paio di esempi di quanto il mondo esterno non aiuti: anche il più granitico e volenteroso dei diabetici può finire per sgarrare. «Gli studi scientifici hanno dimostrato inoltre che nel giro di 3 mesi il messaggio nutrizionale viene accantonato dai diabetici – prosegue Riccardi –. Questo significa che non dobbiamo abbandonare i pazienti, ma seguirli passo per passo, richiamarli magari una volta al mese per controlli in cui si coglie l’occasione per riparlare della dieta, proporre gruppi di auto-aiuto con dietisti per motivarli a un’alimentazione sana. Se, come succede tuttora troppo spesso, non si investe in questo senso e ci si affida solo alla buona volontà dei pazienti, il fallimento della dieta purtroppo è più che probabile».
di Elena Meli
da Corriere.it Salute