Riso integrale contro il diabete
Noi italiani, si sa, preferiamo la pasta. Ma non disprezziamo i risotti e una ricerca dell’università di Harvard ha da poco dimostrato, sulle pagine degli Archives of Internal Medicine, che mangiare riso raffinato cinque volte alla settimana innalza il rischio di diabete di tipo due. Il pericolo invece si riduce se si sceglie il riso integrale due o più volte alla settimana; basta sostituire almeno un terzo della porzione di riso standard con il prodotto integrale per veder calare la probabilità di ammalarsi.
STUDIO AMPIO – I dati arrivano dal riesame di informazioni raccolte da tre grossi studi di osservazione statunitensi (i due Nurses Health su migliaia di infermiere e l’Health Professionals Follow-Up Study su una popolazione di medici e infermieri uomini), che complessivamente hanno coinvolto poco meno di 200mila persone seguite per un minimo di 14 e un massimo di 22 anni. I ricercatori hanno pensato di andare a vedere gli effetti del riso sul diabete perché negli Stati Uniti il consumo di riso è cresciuto moltissimo; pur tenendo conto di variabili che potevano influenzare il risultato (età, etnia, dieta in generale e altri), i dati raccolti dimostrano che esiste una correlazione forte fra il consumo di riso e lo sviluppo della malattia. Però, basta sostituire il riso raffinato con quello integrale per veder rovesciare la situazione: chi ad esempio sostituiva 50 grammi della porzione di riso raffinato con altrettanto riso integrale registrava un rischio di diabete ridotto del 16 per cento; se poi si sceglievano spesso anche altri cereali integrali il pericolo diminuiva del 36 per cento. Gli autori stessi ammettono che spesso chi consumava riso integrale aveva in generale uno stile di vita più sano, ma pur tenendo conto di questo fattore l’effetto positivo è rimasto evidente.
FIBRE – Il motivo starebbe tutto nei processi di raffinazione per arrivare al riso «bianco»: si perdono vitamine, minerali e pure gran parte delle fibre del riso, che sono preziose nel prevenire il diabete perché rallentano la comparsa dei picchi di glucosio nel sangue: il riso integrale infatti comporta un’iperglicemia meno marcata, dopo i pasti. Le linee guida per l’alimentazione approvate dal governo americano raccomandano il riso e altri cereali come fonte di carboidrati, ma specificano che bisognerebbe consumarne almeno la metà in forma integrale: gli autori dello studio sostengono che si dovrebbe dare ai cittadini l’indicazione di mangiare soprattutto cereali integrali, per far davvero capire a tutti quanto siano “meglio” degli altri. «Lo sono, e non solo perché riducono il picco glicemico: la pasta integrale, tra l’altro, non lo diminuisce moltissimo – interviene Gabriele Riccardi, presidente della Società Italiana di Diabetologia -. I benefici dei cereali integrali, riso e non solo, sono infatti molteplici: nell’intestino le fibre favoriscono lo sviluppo dei batteri probiotici, i microrganismi “buoni” che proteggono da quelli patogeni; i probiotici, poi, producono acidi grassi a catena corta con effetti benefici sul metabolismo di grassi e zuccheri che si vedono anche a distanza (i trigliceridi ad esempio calano nel giro di 6-7 ore). Inoltre, il frumento integrale è ricco di un potente antiossidante, l’acido ferulico, che ha un ottimo effetto antinfiammatorio locale e generale. Una dieta ricca di cereali integrali, frutta e verdura è perciò sicuramente protettiva nei confronti del diabete. Non demonizzerei però il riso “bianco”: in fondo è difficile che noi italiani ne mangiamo in quantità eccessive. Se però lo facessimo, sarebbe di certo meglio scegliere quello integrale», conclude Riccardi.
di Elena Meli