Italia, paese che toglie l’IMU a tutti, tranne che alle università

Un Paese altamente industrializzato si caratterizza non solo per il Pil ma anche per quanto produce in ambito di ricerca e naturalmente per quanto facilita lo sviluppo e la stessa ricerca. Il nostro Paese è da questo punto di vista in una posizione un po’ particolare. Se si valuta l’investimento in ricerca e sviluppo come percentuale del Pil, l’Italia investe praticamente la metà degli altri Paesi europei. Un investimento risicato, sia da parte delle istituzioni pubbliche che dell’industria privata, che si traduce in un minor numero di addetti alla ricerca. Secondo dati del 2009, l’Italia ha una media di 4,2-4,3 persone dedicate alla ricerca per ogni 1.000 persone impiegate, rispetto alle 9 degli Usa e alle 7 della media europea. Quindi l’Italia non solo non investe nel campo della ricerca ma ha anche un numero decisamente basso di ricercatori.

“Nonostante tutto ciò stiamo vivendo appieno il ‘paradosso della ricerca italiana’ – afferma il professor Stefano Del Prato, presidente della Società Italiana di Diabetologia e vice-presidente dell’EASD – a fronte di queste difficoltà oggettive, finora la produzione scientifica italiana è stata di ottimo livello. Secondo una valutazione del 2010, la quantità di prodotti di ricerca generati in Italia pone il nostro Paese all’ottavo posto nel ranking mondiale, e valutando questi prodotti in termini del loro impatto, la nostra produzione sale addirittura al settimo posto”.

Il motivo di questo paradosso non è completamente chiaro. Di certo abbiamo affinato la capacità di sfruttare al meglio le poche risorse a disposizione. Ma va anche detto che questa posizione sarà difficile da mantenere nel prossimo futuro. Nel 2009, l’investimento sui progetti di ricerca di interesse nazionale (i cosiddetti PRIN) era dell’ordine dei 105 milioni di euro. Nel 2010 e nel 2011 è stato fatto un unico bando, inglobando gli investimenti di due anni, con un finanziamento complessivo di circa 82-83 milioni di euro; infine nell’ultimo bando, quello del 2012, la quota totale dell’investimento è stata pari a 38 milioni di euro, cioè il 65% in meno rispetto al 2009. Andando a valutare e a ‘normalizzare’ i dati della ricerca in funzione del numero degli abitanti, l’ottava posizione generale  del’Italia nel ranking mondiale scivola al 19° posto. Se rapportata al numero dei suoi abitanti, cioè, l’Italia produce abbastanza poco. E questo perché la ricerca in questo Paese di cervelli in fuga continua ad essere oggetto di scarse attenzioni. Quando non attivamente penalizzata.

L’ultimo esempio viene dalla recente discussione sull’IMU. Mentre ci sono state tutta una serie di facilitazioni sulla tassazione delle abitazioni e degli edifici ad uso pubblico e ad uso privato, per tutta una serie di condizioni, le uniche strutture che non hanno avuto alcuna facilitazione sono state le università e gli enti di ricerca, che continueranno a contribuire in modo significativo, pagando quote di IMU importanti – L’Università di Pisa pagherà oltre 400 mila euro, come anche quella di Padova, mentre la Federico II di Napoli  530 mila, e 298 mila l’ateneo di Bologna, come ha di recente ricordato Gian Antonio Stella in un articolo sul Corriere della Sera – che verranno naturalmente sottratte alla capacità di fare ricerca, innovazione e sviluppo.

“SID è stata fondata quasi 50 anni fa (il cinquantenario cade nel 2014) – aggiunge il professor Enzo Bonora, presidente eletto della SID – e da allora ha stimolato la ricerca in campo di diabete e fatto crescere due generazioni di ricercatori che si sono fatti valere molto nel panorama internazionale. I ricercatori dell’area SID nel corso degli ultimi 12 anno (2001-2012) hanno prodotto solo in tema di diabete, escludendo altri filono di ricerca, più di 3000 lavori scientifici, la maggior parte dei quali su riviste di grande prestigio internazionale”. “Questo fenomeno – continua il prof. Bonora – è un buon esempio di quello che potrebbe essere definito come l’Italian Paradox: pochi soldi per la ricerca ma grandi risultati nella ricerca”.

La Società Italiana di Diabetologia in questi anni ha contribuito finanziando progetti di ricerca ed erogando borse di studio per ricercatori all’estero. Dal 2007 al 2013, SID ha investito in ricerca 2.295.000 euro, producendo 27 pubblicazioni su riviste importanti, quali Diabetologia, JCEM, Diabetic Medicine, Atherosclerosis, per un impact factor totale di 156. I campi della ricerca nei quali ci siamo maggiormente impegnati sono stati: diabete autoimmune a lenta evoluzione, la caratterizzazione degli stati pre-diabetici per individuare meglio le persone a rischio e quindi esercitare una migliore prevenzione, lo studio sull’evoluzione nel nostro Paese della nefropatia diabetica e delle complicanze più gravi, che maggiormente incidono anche sulla qualità di vita della persona con diabete.

 

 

 

 

 

 

 

 

Ufficio stampa SID