Nelle insuline ‘con il cervello’ il futuro della cura del diabete?
Le ultime ricerche vanno verso un guscio intelligente che ‘sente’ la glicemia e decide quando rilasciare l’insulina
L’insulina è uno dei capisaldi della terapia del diabete. Lo è da quando è stata scoperta e introdotta in terapia negli anni ’20 e lo resta ancora oggi, anche se nella versione ‘terzo millennio’ l’insulina (o meglio i diversi tipi di insuline utilizzate ogni giorno da milioni di pazienti in tutto il mondo) ha subito modifiche radicali rispetto all’ antenata. “Nonostante i grandi progressi fatti in questo campo però – ammette il professor Stefano Del Prato, presidente della Società Italiana di Diabetologia – l’insulina ha ancora il grosso limite di dover essere somministrata attraverso iniezioni sottocutanee e in maniera un poco ‘cieca’, nel senso che non si sa quanta glicemia ci sia in giro. Quello che il nostro organismo invece riesce a fare con un incredibile grado di precisione è di produrre insulina in quantità sufficiente per controllare la glicemia, senza farla scendere troppo (cioè senza provocare crisi ipoglicemiche) e senza farla salire eccessivamente”. Per cercare di imitare il più possibile la perfezione del funzionamento del nostro organismo, si stanno studiando varie soluzioni: dal trapianto di isole pancreatiche, al pancreas artificiale. Ma si sta profilando all’orizzonte anche una terza via.
“Si tratta di una prospettiva molto affascinante, anche se ancora puramente sperimentale – commenta Del Prato – quella della cosiddetta ‘insulina intelligente’. In pratica si tratta di un’insulina ‘inglobata’, racchiusa in sostanze particolari, dei polimeri che hanno la capacità di ‘sentire’ la glicemia. Quando la glicemia si alza, i polimeri si aprono e fanno uscire l’insulina, mentre se invece la glicemia scende troppo, i polimeri lo ‘avvertono’ e si richiudono impendendo così la fuoriuscita dell’insulina e la sua entrata in circolo. Di questa insulina ‘intelligente’, sono allo studio anche delle versioni ‘per bocca’. Il vantaggio dal punto di vista terapeutico è quello di avere un’insulina che garantisca il controllo della glicemia, riducendo il rischio dell’ipoglicemia, evento non solo spiacevole per il paziente ma anche potenzialmente pericolosa.
Lo stato della ricerca. La ricerca sulle insuline intelligenti è per ora arrivata agli studi sugli animali da esperimento – precisa Marco G. Baroni, professore associato di endocrinologia all’Università di Roma ‘La Sapienza’ – che hanno dato risultati molto promettenti. La durata d’azione di queste insuline sperimentali va dalle 12 ore fino a 300 giorni”. Al momento le ricerche sono condotte da gruppi scientifici indipendenti, come l’MIT di Boston nel Massachusetts e gruppi di ricerca cinesi; a questi studi sono interessate anche alcune industrie ma lo stato di queste ricerche è avvolto dal più impenetrabile segreto. Le prime ricerche sulle insuline intelligenti risalgono al 2006, ma è solo negli ultimi tre anni che si sono raggiunti risultati molto promettenti. Le insuline intelligenti di ultima generazione sfruttano le nanotecnologie e la glucosio-ossidasi, l’enzima utilizzato anche sulle strisce reattive per la lettura della glicemia da sangue capillare (quello che si ottiene con la puntura del dito). L’enzima ‘sensore di glicemia’ quando riconosce valori troppo alti, induce una modificazione del pH del sistema che fa allargare le maglie del polimero che ingloba l’insulina, permettendo all’ormone di uscire dal ‘guscio’ e di entrare in circolo dove esercita la sua azione e riporta alla norma i valori di glicemia. L’opposto accade in presenza di ipoglicemia: le maglie del guscio si stringono e l’insulina non entra in circolo. Per ora, almeno nell’animale, il sistema ha dimostrato di funzionare. Anche per molti giorni”.
Ufficio stampa SID
Maria Rita Montebelli
Andrea Sermonti