La diagnosi tempestiva del diabete di tipo 1

La diagnosi tempestiva del diabete di tipo 1 ed i relativi protocolli medici di azione sono tornati purtroppo al centro dell’attenzione in queste ultime settimane.

Ma quali sono i sintomi del diabete di tipo 1 all’esordio? Cosa è la temibile chetoacidosi diabetica? Quali sono i dati italiani? Cosa si sta facendo a livello internazionale?

Ma soprattutto, visto che evidentemente c’è ancora qualcosa da affinare nei percorsi sanitari, cosa si può fare di più?

Abbiamo posto queste domande ad uno dei principali esperti in materia, il Dott. Valentino Cherubini, direttore della Diabetologia Pediatrica dell’A.O.U. Ospedali Riuniti di Ancona, che ringraziamo per la consueta disponibilità.

Auspichiamo una discussione profonda fra tutti gli attori del processo: istituzioni, società scientifiche, associazioni. Ma soprattutto ci auguriamo che si passi presto dalle parole ai fatti, affinché non accada #maipiùanessuno quello che purtroppo, ciclicamente, riaccade …

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Dr. Cherubini, come compare il diabete nei bambini e cos’è la chetoacidosi diabetica?

“Il diabete di tipo 1 compare quasi sempre all’improvviso, senza che prima nessuno si fosse accorto di nulla. I sintomi più comuni che conducono i genitori dal medico sono la sete intensa, l’aumento del numero delle minzioni (poliuria, i bambini fanno molta più pipì del solito), la grande debolezza, l’aumento dell’appetito e la contemporanea perdita di peso, l’alito che sa di frutta marcia (acetone), il mal di pancia che può far pensare all’appendicite acuta, il respiro difficoltoso che può simulare l’asma bronchiale, la sonnolenza, la spossatezza estrema, fino al coma per chetoacidosi. Tutti questi sintomi sono dovuti all’aumento della glicemia e alla riduzione del pH venoso.

La chetoacidosi diabetica (nota anche come Diabetic Ketoacidosis, DKA) è una condizione in cui il valore di glicemia è elevato, spesso oltre 200 mg/dl e il pH venoso è al di sotto di 7,30 (normalmente è a 7,34). Se il pH scende al di sotto di 7,10 la chetoacidosi si definisce grave e può condurre a coma e imminente pericolo di vita (1).

Non tutti i casi di diabete hanno la chetoacidosi all’esordio. Se ci si accorge in tempo la chetoacidosi non si presenta. Il ritardo e/o la omissione della diagnosi sono le principali cause della comparsa di chetoacidosi e delle sue conseguenze gravi, tra cui danni neurologici permanenti fino alla morte. Se i sintomi di diabete vengono riconosciuti presto e la cura iniziata subito, la chetoacidosi non compare e le sue conseguenze gravi sono evitate. Inoltre, la diagnosi tempestiva di diabete comporta ricoveri ospedalieri più brevi e, quindi, un notevole risparmio economico.”

Quali sono i dati italiani sulla frequenza della chetoacidosi diabetica, sui decessi e le complicanze che ha provocato?

“Un’indagine recente condotta dalla SIEDP Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica su oltre 9.000 casi di diabete di tipo 1 comparsi nel nostro Paese tra il 2004 e il 2013 ha evidenziato che la frequenza della chetoacidosi diabetica all’esordio di diabete è oltre il 40% con una accentuata differenza regionale: nell’Italia del Nord è del 35,9%, al Centro è del 33,5% e al Sud del 51,6% (2). Questo significa che, nel Sud Italia un bambino su due si trova in chetoacidosi alla diagnosi di diabete. Nel complesso l’11,2% dei bambini ha una chetoacidosi diabetica grave (negli ultimi 10 anni è capitato a 1.013 bambini). L’indagine ha messo in evidenza 4 decessi e 7 casi con esiti neurologici permanenti dovuti a danni provocati dalla chetoacidosi diabetica all’esordio. Da questo studio emerge che in pratica in Italia ogni anno, nel momento della diagnosi di diabete, un bambino muore o subisce danni permanenti.

Ancora più recentemente, nel periodo 2014-2016, abbiamo condotto una nuova indagine per valutare se, dopo una serie di campagne informative locali e nazionali la frequenza della chetoacidosi alla diagnosi di diabete si fosse ridotta. Purtroppo non abbiamo osservato nessuna variazione rilevante, la frequenza resta elevata e permangono le stesse differenze regionali. Nel complesso la frequenza in questo ultimo periodo era del 38,8%, mentre la forma grave si attestava al 12,4%. Di nuovo, un caso di decesso e uno con danni permanenti per diagnosi di diabete fatta in ritardo. Questo studio, che sarà presentato al congresso internazionale dell’American Diabetes Association a Orlando, USA, nel giugno 2018, analizza anche i fattori sociali e clinici che influenzano il rischio di avere la chetoacidosi alla diagnosi di diabete. Tra questi sono risultati rilevanti la giovane età, il genere femminile, la condizione di immigrato e il basso livello di scolarizzazione della madre.”

Oltre a far parte della SIEDP in Italia lei è molto attivo anche a livello internazionale nell’International Society for Pediatric and Adolescent Diabetes – ISPAD e nel Sweet. Quali sono le iniziative che in quelle sedi vengono portate avanti sulla chetoacidosi diabetica?

“Attualmente sono componente dell’advisory board dell’ISPAD (organizzazione internazionale che promuove la ricerca, l’educazione ed il sostegno dei bambini e adolescenti con diabete; www.ispad.org) e del progetto SWEET (una rete internazionale per Centri di Diabetologia Pediatrica; www.sweet-project.org).

In questi ambiti mi occupo di argomenti scientifici e progetti di ricerca che riguardano la diagnosi e la cura del diabete, delle nuove tecnologie e della qualità di vita dei bambini. In particolare mi sto occupando direttamente dello studio della chetoacidosi all’esordio del diabete e di individuare i metodi per la sua prevenzione. Inoltre, con altri colleghi della SIEDP, ho contribuito ad elaborare le linee guida di trattamento della chetoacidosi diabetica (3); questo documento è disponibile a tutti i pediatri e medici del territorio nazionale (http://www.siedp.it/fi…/LineeGuidaChetoacidosiGdSDiabete.pdf).”

Cosa pensa si potrebbe fare in Italia per ridurre i ricoveri in chetoacidosi diabetica ed evitare i danni delle complicanze?

“Credo sia necessario un intervento su più livelli, tra questi:

1) L’esecuzione di uno stick glicemico da parte dell’infermiere di triage per tutti i bambini al di sotto di 15 anni che accedono ad un Pronto Soccorso per causa non traumatica. L’esame ha un costo molto limitato (meno di 20 centesimi di euro), richiede non più di 2 minuti di tempo ma può salvare una vita. Una operazione semplice e veloce che dovrebbe diventare “prassi comune”, parte di un percorso clinico. Al contrario, attualmente il controllo della glicemia non viene fatto sempre ai bambini che si presentano al Pronto Soccorso. Riteniamo che questo sia un primo passo per ridurre questa piaga;

2) Tutti i pediatri di libera scelta dovrebbero disporre di un glucometro per determinare la glicemia nel proprio ambulatorio o almeno di un kit per la determinazione del glucosio nelle urine. Se il glucometro e il kit per l’esame urine non fossero disponibili, nel sospetto del diabete, i pediatri dovrebbero inviare i pazienti presso una farmacia per l’esecuzione immediata dello stick della glicemia, piuttosto che prescrivere esami che generalmente richiedono tempo. Ogni bambino con diagnosi di diabete, soprattutto se con chetoacidosi, dovrebbe essere inviato subito, nello stesso momento della diagnosi, ad un centro specializzato dotato di un team multi-disciplinare e se possibile con una rianimazione pediatrica. Non occorrono molti centri nel Paese, servono invece centri di eccellenza;

3) La formazione continua per i medici di medicina generale/pediatri di libera scelta, medici del Pronto Soccorso/118, oltre alle campagne informative per la popolazione generale sono anch’essi indispensabili.

In Italia, ogni anno circa 200 bambini sono ricoverati con diagnosi di chetoacidosi grave (pH inferiore a 7.10), una condizione che come abbiamo detto mette a rischio la vita. In molti casi questi bambini hanno incontrato un medico nella settimana precedente e la diagnosi non è stata fatta. Mettere in campo tutte le risorse necessarie per ridurre la frequenza della chetoacidosi diabetica a soglie simili a quelle che si registrano in Svezia e in Canada ad esempio, cioè al di sotto del 20%, ritengo che sia innanzitutto una battaglia di civiltà.”

 

 

Bibliografia:

(1) Wolfsdorf JI, Allgrove J, Craig ME, Edge J, Glaser N, Jain V, Lee WW, Mungai LN, Rosenbloom AL, Sperling MA, Hanas R; International Society for Pediatric and Adolescent Diabetes. ISPAD Clinical Practice Consensus Guidelines 2014. Diabetic ketoacidosis and hyperglycemic hyperosmolar state. Pediatr Diabetes. 2014 Sep;15 Suppl 20:154-79.

(2) Cherubini V, Skrami E, Ferrito L, Zucchini S, Scaramuzza A, Bonfanti R, Buono P, Cardella F, Cauvin V, Chiari G, D Annunzio G, Frongia AP, Iafusco D, Patera IP, Toni S, Tumini S, Rabbone I, Lombardo F, Carle F, Gesuita R; Diabetes Study Group of the Italian Society for Pediatric Endocrinology and Diabetology (ISPED). High frequency of diabetic ketoacidosis at diagnosis of type 1 diabetes in Italian children: a nationwide longitudinal study, 2004-2013. Sci Rep. 2016 Dec 19;6:38844.

(3) Riccardo Bonfanti, Pietro Buono, Francesca Cardella, Vittoria Cauvin, Valentino Cherubini, Giovanni Chiari, Giuseppe D’Annunzio, Anna Paola Frongia, Dario Iafusco, Patrizia Patera, Ivana Rabbone, Andrea Scaramuzza, Sonia Toni, Stefano Tumini, Stefano Zucchini e Gruppo di Studio sul Diabete della SIEDP. Raccomandazioni per la gestione della chetoacidosi diabetica in età pediatrica. Acta Biomed 2015; Vol. 86, Quaderno 1: 5-26.