Focus sul piede diabetico L’Italia all’avanguardia nel mondo nel trattamento e nella rete assistenziale
L’Italia è una delle nazioni al mondo che più ha migliorato gli indicatori di salute e gli esiti del piede diabetico negli ultimi vent’anni. Negli ultimi 10 anni il numero delle amputazioni dovute al piede diabetico si è ridotto di circa il 40 per cento. E questo ci colloca tra le nazioni con il minor numero di amputazioni al mondo. Merito questo dell’aumentata consapevolezza della gravità del piede diabetico tra gli operatori e tra i pazienti, ma anche dei cambiamenti intervenuti a livello legislativo e organizzativo, centrale e regionale. Il Piano nazionale del diabete 2016 e il recepimento a livello regionale delle normative, ha permesso di creare una rete assistenziale integrata territorio-ospedale che sta dando i suoi frutti. Ma non ci si può cullare sugli allori. La distribuzione degli ambulatori podologici nei Centri di Diabetologia italiani (CAD) è ancora a macchia di leopardo e ogni anno sono 7 mila gli italiani che subiscono un’amputazione degli arti inferiori a causa del piede diabetico.
I numeri del piede diabetico. Nonostante questi risultati di tutto rilievo, ogni anno sono sottoposti ad amputazione 7 mila pazienti italiani (il 40 per cento di questi va incontro ad un’amputazione maggiore dell’arto inferiore). Il cosiddetto ‘piede diabetico’ (ulcera del piede) ha un alto impatto epidemiologico; colpisce infatti il 5 per cento dei pazienti diabetici (circa 300 mila italiani) e determina un consumo di risorse pari al 25 per cento circa della spesa complessiva per l’assistenza ai pazienti diabetici. Il piede diabetico rappresenta inoltre il 2-4 per cento di tutti i ricoveri per diabete. La qualità di vita del paziente con ulcera del piede risulta gravemente compromessa per i lunghi tempi di guarigione e per la necessità di una continua sorveglianza in prevenzione secondaria. La chiusura dell’ulcera infatti non rappresenta la risoluzione della malattia, ma solo la remissione del quadro clinico che, se non adeguatamente monitorata, può recidivare in oltre il 40 per cento dei pazienti. La comparsa di un’ulcera in un paziente diabetico ne condiziona in maniera importante la sopravvivenza a 5 anni (solo il 50-60% raggiunge questo traguardo temporale).
“La presentazione delle lesioni del piede diabetico – afferma il dottor Roberto Da Ros, responsabile Centro Diabetologico AAS2, Monfalcone-Gorizia e Coordinatore del gruppo di studio SID-AMD sul piede diabetico – risulta sempre più complessa, con lesioni complicate: la frequenza di lesioni vascolari e/o infette supera il 50 per cento. Questi pazienti inoltre presentano multiple comorbidità: il 50 per cento dei pazienti con arteriopatia periferica presentano anche cardiopatia ischemica, il 30 per cento vasculopatia dei tronchi sovraortici, il 20 per cento entrambe le patologie”.
Un esercito di specialisti per proteggere le persone con diabete. Un recente censimento delle strutture che si occupano di piede diabetico in Italia (a cura del Gruppo di Studio della podopatia diabetica AMD-SID) ha individuato 176 strutture che si occupano di piede diabetico: 41 di I livello, in grado di effettuare, prevenzione, educazione e presa in carico del paziente, 104 di II livello in grado di trattare autonomamente le lesioni e 31 di III livello, in grado di prendersi cura complessivamente del paziente con piede diabetico. Questa rete di strutture integrate ai quasi 700 ambulatori di diabetologia, distribuiti in tutto il territorio nazionale, rappresenta un vero ‘esercito di sorveglianza’ ed intervento attivo. “Vi sono ancora risultati non omogenei di organizzazione sanitaria nelle varie regioni – riflette il dottor Roberto Anichini, direttore U.O. Diabetologia e Diabetic Foot Unit, USL centro Toscana Area Pistoiese – ma se riusciremo ad accrescere la convinzione che il piede diabetico si combatte attraverso l’iniziativa globale educativa e formativa del paziente (fin dalla diagnosi) e la risposta unitaria e univoca dei professionisti che intorno a lui si muovono, di certo riusciremo a migliorare gli eventi e migliorare la qualità di vita dei nostri pazienti”. “Il paziente con un problema di piede diabetico – prosegue Da Ros – risulta fragile per le patologie internistiche presenti, alle quali si associa un evento acuto al piede, che necessita frequentemente di trattamento chirurgico e rivascolarizzazione. In questo quadro, la rete assistenziale, formata da vari specialisti, è fondamentale per garantire il corretto ed adeguato trattamento. Una gestione frammentata, dove ogni specialista risolve la sua parte, è poco efficace nella cura del paziente, che necessita di una presa in carico a trecentosessanta gradi”.
Un’Italia a macchia di leopardo per la cura del piede diabetico. Secondo i risultati di un’indagine condotta dalla SID, la distribuzione di ambulatori podologici nei Centri di Diabetologia italiani (CAD) è a macchia di leopardo, anche se in lieve miglioramento rispetto ad una precedente indagine SID del 2016. “Dai dati raccolti – spiega il professor Francesco Purrello, presidente della Società Italiana di Diabetologia – è emerso che nelle Regioni Friuli Venezia Giulia e Liguria, il 100 per cento dei CAD effettua ambulatorio podologico. Nelle Regioni Marche, in Piemonte, Valle d’Aosta, Toscana e Umbria questa percentuale è del 75 per cento del totale dei CAD; in Emilia Romagna è del 50 per cento. Le restanti Regioni infine hanno un ambulatorio dedicato al piede solo nel 25 per cento dei CAD”. Eterogenea è anche la presenza del Podologo nel team multidisciplinare, nonostante gli standard di cura SID-AMD collochino il Podologo in ognuno dei tre livelli assistenziali di questi ambulatori (base, intermedio, avanzato). Per quanto riguarda i presidi per il piede diabetico (calzature predisposte, tutori da lesione e plantari su misura), il cui utilizzo per il paziente diabetico è fondamentale sia in prevenzione primaria, che secondaria, dall’indagine SID emerge che tutte le Regioni hanno la rimborsabilità dei presidi per scarpe predisposte e su misura, plantari su calco e tutori da lesione, attraverso una modalità di distribuzione consolidata nella quasi totalità delle Regioni, cioè la prescrizione dello specialista per il paziente con invalidità civile, attestante una o più complicanze agli arti inferiori causate dal diabete. “Tuttavia – prosegue il professor Purrello – non tutte le Regioni riportano di avere la rimborsabilità per la cura locale delle lesioni del piede diabetico, cioè le medicazioni e le prestazioni ambulatoriali”. In particolare, le Regioni Friuli Venezia Giulia, Veneto-Trentino Alto Adige, Puglia, Sardegna, Campania e Basilicata non rimborsano tali prestazioni. “Questo – commenta il professor Purrello – si traduce in un minor diritto alla cura per i cittadini di queste Regioni in condizione pre e post ulcerativa o in fase di ulcerazione; pertanto sarebbe auspicabile che le Regioni suddette si uniformassero al resto d’Italia con l’inserimento nell’esenzione per patologia (013.250) dei codici specifici del nomenclatore tariffario del SSN per tutte le procedure diagnostiche e terapeutiche necessarie alla gestione clinica ambulatoriale del piede diabetico”.
Come cambia l’approccio al paziente con piede diabetico. L’approccio al piede diabetico negli ultimi anni è cambiato. Dall’attenzione esclusiva alla riduzione del numero delle amputazioni, come obiettivo primario essenziale e dall’iper-specializzazione si è passati ad un approccio globale alla prevenzione diagnosi e cura delle complicanze del diabete. Il piede diabetico deve essere infatti gestito da un team multidisciplinare e multiprofessionale integrato, che condivida un progetto di prevenzione, diagnosi e cura del piede diabetico. “La ricetta vincente – afferma Anichini – ha i seguenti ‘ingredienti’: educazione, formazione, precoce e rapida presa il carico degli specialisti del paziente ulcerato, trattamento precoce e di alta qualità delle lesioni, continuità assistenziale tra ospedale e territorio per il monitoraggio e il follow up dei pazienti con pregresse ulcerazioni, onde evitare le tanto frequenti recidive”. “Non è sufficiente – sottolinea Da Ros – avere un team multidisciplinare, a cui il paziente si rivolge, migrando autonomamente da uno specialista all’altro per le singole problematiche, in un modello di consulenza ‘a spot’. Serve invece un approccio di team organizzato che metta il paziente al centro del percorso, dove venga individuato un ‘regista’ del percorso diagnostico-terapeutico, che si prenda in carico il paziente. Il modello italiano di approccio al piede diabetico prevede la centralità del paziente, un ‘regista’ (il diabetologo), che gestisce e coordina il percorso del paziente, una rete di professionisti dove l’expertise è l’elemento fondamentale”.
Il timing dell’intervento, elemento critico per la guarigione. Dall’ulcera possono penetrare dei batteri che, se aggressivi, possono interessare tutto il piede anche in pochissimo tempo, soprattutto in presenza di arteriopatia. Per questo è importante fare di tutto per far guarire rapidamente qualsiasi lesione attraverso la prescrizione di un’adeguata terapia antibiotica (se c’è infezione); l’individuazione tempestiva di un’arteriopatia periferica e il suo eventuale trattamento con angioplastica; l’impiego di medicazioni in grado di mantenere un’idonea umidità del letto dell’ulcera; l’utilizzo di idonei tutori di scarico che permettano di contenere il piede fasciato ed evitino l’appoggio delle aree del piede dove è presente l’ulcera.
Come si previene il piede diabetico. La prevenzione delle ulcere è una parte importantissima nella gestione del piede diabetico, in quanto è proprio dall’insorgenza delle ulcere che comincia tutta la catena di eventi che può portare all’amputazione. “Purtroppo – spiega Luigi Uccioli, professore associato di Endocrinologia, Università di Roma Tor Vergata responsabile Unit Piede Diabetico, Policlinico Tor Vergata Roma – non esistono ulcere più o meno pericolose. Tutte possono essere pericolose, anche quelle apparentemente banali, soprattutto se tendono a non guarire. Circa il 30 per cento della popolazione diabetica è affetta da neuropatia periferica, con associata riduzione della sensibilità. Per questo le ulcere si possono formare per cause apparentemente banali, come le vesciche da scarpe eccessivamente strette e non avvertite come tali, o le ustioni da contatto (acqua dei pediluvi, termofori, stufe e camini, sabbia d’estate, etc.). La persona diabetica con neuropatia periferica è un po’ come Pinocchio che si brucia i piedi (insensibili perché di legno) quando li appoggia sul braciere”. Altra condizione di rischio è rappresentata dall’ipercheratosi (calli) sotto la pianta del piede e che può traumatizzare i tessuti sottostanti, fino a formare l’ulcera. Il quadro si complica quando insieme alla neuropatia è presente anche un problema di cattiva circolazione arteriosa, che rende ancora più difficile la guarigione delle ulcere”.
Come si definisce il rischio di sviluppare un ulcera plantare. Oggi sia i diabetologi che i podologi (specificatamente formati) sono in grado di definire il rischio di sviluppare un’ulcera plantare in ogni paziente diabetico attraverso un’attenta valutazione del piede e l’esecuzione di test semplici per evidenziare la presenza delle complicanze a carico dei nervi e delle arterie. L’ispezione avrà lo scopo di evidenziare la presenza di deformità delle dita (dita a martello, alluce valgo, etc.), di callosità plantari, di cute secca, condizioni indicative di particolare vulnerabilità del piede. “I test – spiega il professor Uccioli – saranno inizialmente di screening e devono essere effettuati su tutti i pazienti diabetici almeno una volta l’anno mentre i test di approfondimento saranno riservati solo ai pazienti che risulteranno positivi allo screening. Tra le indagini di primo livello c’è la ricerca dei riflessi achillei e dei polsi periferici, valutazioni effettuabili ambulatorialmente in pochi minuti. Questi test ci orientano già sulla presenza di neuropatia e/o vasculopatia periferica. Altre indagini, come la valutazione della sensibilità vibratoria o la valutazione dell’indice pressorio gamba/braccio ci caratterizzeranno meglio il problema.
Con queste informazioni (presenza o meno di neuropatia e/o vasculopatia, presenza di deformità del piede ed il dato anamnestico di una pregressa ulcera) sarà possibile definire un grado di rischio di sviluppare ulcere che sarà ovviamente di grado zero (assente) in assenza di neuropatia e vasculopatia, di grado 1 (moderato) quando è presente solo la neuropatia, di grado 2 (elevato) quando la neuropatia si associa alla deformità del piede o è presente una vasculopatia periferica e di grado 3 (elevatissimo) quando il paziente ha già avuto un’ulcera al piede. Una volta definito il grado di rischio sarà possibile mettere in atto opportune strategie preventive che includono: un controllo podologico attivo e continuo, allo scopo di garantire un adeguato taglio delle unghie, la rimozione delle ipercheratosi e l’individuazione tempestiva di pre-lesioni; l’utilizzo di creme idratanti ed emollienti che devono restituire elasticità alla cute; l’uso di calzature e plantari, adeguati al grado di rischio, per ridurre il carico sulle singole aree della pianta del piede e proteggerlo in modo adeguato senza frizioni sulla cute in presenza di deformità; l’acquisizione di norme di autocontrollo, come l’ispezione quotidiana del piede (da affidare ad un familiare in caso di problemi di vista), l’igiene personale, con la raccomandazione di evitare il taglio autonomo delle unghie (soprattutto in caso di visus ridotto o di limitazione nei movimenti). Il tutto ovviamente deve essere inserito nell’ambito di un percorso di attenta gestione del diabete e delle sue complicanze da parte dei centri di diabetologia di riferimento”.
Il decalogo per prevenire il piede diabetico
1) Esaminare ogni giorno i piedi, in particolare la pianta, il tallone e tra le dita. Osservare se tra le dita la pelle è macerata, biancastra, e se le unghie tendono a incarnirsi
2) Lavare i piedi ogni giorno, con acqua tiepida e un sapone di buona qualità. Asciugarli bene con un asciugamano morbido, specialmente tra le dita. Non fare pediluvi prolungati o con sali: macerano o disidratano la pelle
3) Dopo aver lavato i piedi, guardare se ci sono ispessimenti duri della pelle sul tallone o sui margini della pianta del piede. In questo caso, strofinare delicatamente le parti interessate con una pietra pomice naturale. Non utilizzare altre pietre o preparati abrasivi, come pure non usare callifughi per duroni e calli
4) Dopo avere asciugato i piedi, massaggiarli con una crema idratante a base di urea, per mantenere la pelle elastica e morbida. Se, malgrado queste precauzioni, si continuano a formare ispessimenti e callosità alla pianta del piede, consultare il medico, perché potrebbe essere il segno di un cattivo appoggio del piede o di scarpe inadatte
5) Evitare temperature troppo calde o troppo fredde e, di conseguenza, non utilizzare borse d’acqua calda o termofori. Se di notte i piedi sono freddi, indossare calze di lana. Meglio ancora, indossare calze di seta, sotto le calze di lana
6) Non camminare mai scalzi, neppure in casa o in spiaggia. Indossare scarpe comode, evitare le scarpe con punta stretta o con tacchi alti, come pure le scarpe aperte e i sandali. Indossare le scarpe nuove per brevi periodi, fino a quando non si adattano bene al piede. Ispezionare con la mano l’interno delle scarpe prima di calzarle: potrebbero esserci corpi estranei, chiodini o irregolarità della tomaia
7) Non indossare mai le scarpe senza calze. Indossare poi calze di giusta misura, senza rammendi e, possibilmente, senza cuciture. Cambiare calze e calzini ogni giorno. Non portare giarrettiere o elastici che stringano le gambe
8) Tagliare le unghie dritte, non troppo corte, con un tronchesino a punte arrotondate. Non usare forbici appuntite e poi, per smussare gli angoli, utilizzare una lima a punta arrotondata. Se si è in difficoltà, farsi tagliare le unghie o usare soltanto la lima. Avvertire sempre il podologo che si è diabetici
9) Non tagliare calli o duroni. Non forare le vesciche o le bolle con aghi. Coprire le ferite con garza sterile, da fissare poi con rete elastica o cerotto di carta. Non usare cerotti telati. Cambiare la medicazione almeno ogni giorno e osservare attentamente la lesione
10) Non ascoltare mai i consigli di parenti, vicini o altri diabetici, ma seguire sempre le istruzioni del medico o del farmacista o dell’infermiere addetto alla cura dei piedi. Ricordarsi di far sempre ispezionare i piedi a ogni visita. Chiedere consiglio per ogni iniziativa che si intende prendere per i propri piedi (prodotti, solette, plantari eccetera).
Ufficio Stampa SID
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Maria Rita Montebelli
Andrea Sermonti