Il trapianto di insule suine negli uomini
Un’intervista con il professor Riccardo Calafiore, direttore del Laboratorio dei trapianti di insule dell’Università di Perugia. Il professor Riccardo Calafiore ha rilasciato questa intervista esclusiva a Daniela D’Onofrio, rappresentante dell’InsulinFree-Times, a completamento della discussione sullo xenotrapianto tenuta dal professor Calafiore su Diabetes Station il 15 ottobre 2001. DANIELA: Professore, a che punto sono le ricerche, in Italia e nel mondo, per trovare una cura contro il diabete? PROF. CALAFIORE: Si sta procedendo lungo due direttrici principali, fermo restando che di sicuro interesse sono le ricerche sulla immuno-prevenzione del diabete mellito di tipo 1 (T1DM), con la finalità di mettere a punto in futuro, un vaccino per la malattia (si tratta peraltro di ricerche ancora embrionali rispetto alla possibile applicabilità clinica). Da un lato vi è la possibilità di sostituire la funzione insulino-secernente delle cellule pancreatiche soppressa dal processo autoimmunitario tipico del T1DM con il trapianto dell’intero pancreas o di complessi cellulari pancreatici, le insule di Langerhans, prelevati da donatori umani. E’ a questi complessi cellulari che spetta ultimativamente il compito di controllare la produzione e il rilascio di insulina. Dall’altro, si sta cercando di mettere a punto un pancreas artificiale miniaturizzato in cui un sensore artificiale per il glucosio stabilisce, in un sistema computerizzato “ad ansa chiusa” quanta insulina rilasciare, minuto per minuto, onde mantenere i valori della glicemia in un range di normalità. Dei due approcci, quello “trapiantologico” sembra per ora (vista la mole di problemi tecnici ancora insuperati per il pancreas artificiale) più vicino al possibile successo clinico di una cura radicale per il T1DM. DANIELA: un suo parere sul trapianto. PROF. CALAFIORE: Essenzialmente il trapianto di pancreas intero appare più indicato per i pazienti che, portatori di insufficienza renale cronica, quale complicanza secondaria del diabete, sono in lista d’attesa per un trapianto di rene. In tali casi, si è visto che il trapianto combinato di rene e pancreas si associa a precisi vantaggi clinici, rispetto al trapianto separato dei due organi nella categoria sopra menzionata. Il trapianto di insule è ovviamente più semplice del trapianto dell’intero organo pancreatico, poiché non comporta, a differenza del secondo, alcun rischio operatorio, trattandosi di un trapianto cellulare che si può eseguire in anestesia locale. Inoltre un’eventuale reazione di rigetto è clinicamente silente per le insule, mentre richiede un’urgente procedura di espianto per il pancreas. Sia per le insule che per il pancreas vi sono comunque almeno due problemi oggettivi “maggiori”: a) la ridotta disponibilità di donatori umani: b) la risposta immunitaria dell’ospite che richiede stringenti protocolli di immunosoppressione farmacologica dei riceventi. A tale riguardo, è noto che i possibili effetti collaterali di tali terapie comprendono un aumentato rischio di contrarre infezioni ed un’aumentata incidenza di tumori. Di recente ad Edmonton, Canada, si è dimostrato che i trapianti di insule umane possono indurre la completa correzione della sindrome iperglicemica, nei pazienti con T1DM, con sospensione della terapia insulinica (70% dei casi a due anni dal trapianto). Il gruppo canadese ha impiegato in questi studi protocolli immunosoppressivi più mirati e quindi potenzialmente meno tossici. DANIELA: Lei professore ha lavorato sia in Nord America che in Italia: quali sono le differenze che ha notato? PROF. CALAFIORE: La ricerca, dal punto di vista tecnico-metodologico, è simile nel Nord America e in Italia. L’accesso ai finanziamenti per la ricerca è superiore in Nord America, rispetto all’Italia. Abbiamo ricevuto, nel corso degli ultimi anni, scarsissimi finanziamenti dall’Università, abbiamo potuto continuare a svolgere una ricerca competitiva grazie ai finanziamenti di Telethon Italia e della Juvenile Diabetes Foundation International. In un momento in cui si parla di ulteriori tagli dei finanziamenti pubblici alla ricerca in Italia speriamo di poter continuare a contare sul supporto delle Fondazioni summenzionate. DANIELA: Professore, lei è conosciuto per le sue ricerche sulle insule suine. Come decise di intraprendere questa via, molti anni fa? PROF. CALAFIORE: Nel 1987, di ritorno a Perugia dopo due anni di intenso lavoro come ricercatore presso la University of Miami, Miami, USA dove avevo appreso i rudimenti delle tecnologie per la separazione e purificazione delle insule di pancreas umani e di ratto, e per il loro microincapsulamento (separatamente a Toronto, CDN), e successivo trapianto, decisi di aprire un fronte alternativo e difficile: le insule suine. A Miami si era tentato inutilmente di mettere a punto un metodo per il possibile uso di insule suine, e alla fine l’idea era stata del tutto accantonata. D’altra parte era evidente che solo con lo sviluppo di nuove tecnologie, in grado di fornire una sorgente alternativa alle insule umane, si sarebbe potuto superare lo “scoglio” della ridotta disponibilità degli organi umani. Con un lavoro intensissimo, che gestiva in parallelo pancreas umani e suini, 24 ore su 24, mettemmo a punto a Perugia, nel 1989-90, un metodo per la separazione delle insule suine su larga scala. Tale metodo è stato successivamente implementato dopo un altro soggiorno di 2 anni negli USA, a Los Angeles, con studi condotti su almeno 500 suini di varie razze. Ho aperto poi il mio laboratorio a Perugia e creato nuovi prototipi di microcapsule per incapsulare le insule. Le microcapsule si fabbricano nel nostro laboratorio impiegando polimeri saccaridici, ed in particolare l’acido mannuronico, estatti da speciali alghe marine che vivono in determinati tratti delle coste americane. Il procedimento originale fu sviluppato nel 1980 dal Prof. Anthony M. Sun, all’University of Toronto, Canada, mio maestro. La ricetta originale è stata tuttavia profondamente modificata e migliorata nel nostro laboratorio a Perugia, tanto che si può dire che noi disponiamo di una formulazione per la preparazione delle microcapsule. DANIELA: Professore, come si è sviluppata in questi anni la sua ricerca? PROF. CALAFIORE: Abbiamo raccolto, nel corso degli ultimi 14 anni, una notevole mole di dati sullo xenotrapianto di insule suine microincapsulate in animali diabetici come il topo NOD (portatore di un diabete autoimmune molto simile al T1DM umano), ratti, conigli e cani. In larga parte dei casi si è conseguito un successo in termini di correzione immediata della sindrome iperglecimica e sospensione della somministrazione di insulina esogena. Resta la variabilità di durata della funzione dei trapianti in una rispetto all’altra specie animale studiata. Attualmente, con l’uso di insule suine neonate microincapsulate sono stati raggiunti standard di sicurezza ed efficacia tali da incoraggiare l’idea di iniziare studi clinici pilota nell’uomo. Le microcapsule, come sopra accennato, sono involucri trasparenti che avvolgono ciascuna insula ed impediscono il contatto fisico tra il tessuto impiantato ed il sistema di sorveglianza immunitaria dell’ospite che può avvalersi sia di cellule (i linfociti) che di anticorpi di varia natura in grado di distruggere il tessuto “estraneo” (qui, a maggior ragione, trattandosi di xenotrapianto) in poche ore. DANIELA: Vuol dire che non si usano immunosoppressori dopo un trapianto di insule suine? PROF. CALAFIORE: Sì, esattamente, le microcapsule consentono la completa deroga da regimi terapeutici immunosoppressivi.. DANIELA: Professore, su quali animali avete testato le microcapsule vuote, cioè non contenenti insule? PROF. CALAFIORE: Le abbiamo testate su grandi modelli animali negli ultimi 10 anni. Anche sugli uomini sono stati eseguiti dei trials clinici tra il 1989 e il 1991. Quando preparate seguendo la nostra formula, che consiste nel rimuovere le endotossine e le proteine dagli alginati, le capsule vuote non hanno provocato alcuna infiammazione cellulare o sensibilizzazione ai loro componenti chimici da parte dei riceventi. DANIELA: Quanto durano le capsule? Come si dissolvono? PROF. CALAFIORE: Durante i nostri trials su cani e maiali le microcapsule, per ora, si sono dimostrate durare almeno un anno ( che è il tempo massimo). Nei topi, nel lungo periodo, abbiamo notato delle calcificazioni della membrana delle capsule. Il problema del dissolvimento del materiale capsulare è molto interessante. Naturalmente, le capsule sono una membrana semipermeabile. E’ difficile misurare la reale grandezza dei pori della membrana e determinare la natura delle molecole che possono attraversare le capsule; sicuramente è interdetto il passaggio agli anticorpi e alle cellule del sistema immunitario (IgC, IgM, C1q). Dopo aver trapiantato le nostre insule incapsulate nella cavità addominale abbiamo studiato gli effetti di queste capsule nei grandi modelli animali e non si sono notati effetti locali collaterali o sensibilizzazione. Se lo scudo capsulare si dovesse sciogliere, indubbiamente potrebbe esporre antigeni estranei al sistema immunitario del ricevente, ma questo non dovrebbe succedere prima di un anno. Dopo questo periodo dovrebbe essersi formata una certa tolleranza immunitaria nel ricevente. E comunque, la vita media presumibile delle insule e il bisogno di rinnovarle potrebbe rendere il problema insignificante. DANIELA: Usate il Metodo Ricordi per isolare le insule del pancreas suino? PROF. CALAFIORE: No, abbiamo un nostro metodo che si differenzia in alcuni passaggi fondamentali, come la digestione del tessuto pancreatico, da quello usato per le insule umane. Le insule suine adulte sono assai più fragili di quelle umane, e pertanto più vulnerabili a procedimenti di digestione enzimatica e dispersione meccanica impiegati per la separazione delle insule dal rimanente tessuto pancreatico. Anche per tale motivo abbiamo da circa 3 anni sviluppato nel nostro laboratorio un metodo per la separazione di insule suine neonate che sono molto più resistenti delle adulte e danno maggiori garanzie di “robustezza” funzionale ed ovviamente sopravvivono più a lungo. DANIELA: C’è paura per la possibilità che utilizzando insule suine si possano trasmettere virus agli uomini? Che ne pensa? Le microcapsule eviterebbero tale pericolo? PROF. CALAFIORE: Il microincapsulamento non azzera il potenziale rischio di infezioni virali (PERV, ecc) anche se lo attenua considerevolmente (il “cut-off” molecolare delle biomembrane da noi usate si aggira intorno a 70000 daltons). Il rischio di trasmissione suino-uomo va comunque ridimensionato o quanto meno, inquadrato correttamente. E’ noto che i PERV (porcine endogenous retrovirus) sono parte del genoma suino, ma non hanno mai prodotto infezione o malattia in questi ospiti. Essendo caratteristica genetica di questi maiali è impossibile pensare di eliminare i PERV se non con interventi di manipolazione genica. Tuttavia noi siamo contrari all’impiego di suini geneticamente modificati per innumerevoli motivi. Va chiaramente specificato che la trasmissione di PERV, peraltro non necessariamente associata a malattia, è stata osservata solo in vitro, in particolari colture di cellule tumorali umane (messe a contatto con cellule suine), o in vivo, in animali immunodepressi. Non è stato mai possibile trasmettere infezioni da PERV in ospiti “normali”, come ampiamente descritto in letteratura. Nessuno degli oltre 400 pazienti che hanno ricevuto, per diverse patologie, trapianti di cellule suine ha mai dimostrato di aver contratto infezione da PERV. Su altri possibili agenti virali suini non-PERV è possibile esercitare uno stretto controllo. DANIELA: Quando pensa potrà iniziare i trials clinici sugli uomini? PROF. CALAFIORE: I trials clinici pilota di xenotrapianto delle insule suine microincapsulate in pazienti con T1DM sono attualmente al vaglio delle varie agenzie internazionali della Salute, incluso il nostro Istituto Superiore di Sanità. Va detto che il governo svedese ha approvato in via definitiva il prossimo impiego di insule fetali suine in pazienti con T1DM. La legislazione in materia in Italia è piuttosto difficile da interpretare ed è per questo che un’eventuale sperimentazione clinica richiede un permesso ad hoc. Tuttavia vi è ormai ampia convergenza sul fatto che occorrerà adottare criteri di giudizio internazionali, condivisi dalla FDA (Food and Drug Administration) degli USA. In Italia la richiesta è allo studio attuale del Ministero. DANIELA: Quando riceverà l’autorizzazione, quali saranno i criteri di elegibilità? PROF. CALAFIORE: pazienti con un diabete non complicato. DANIELA: Avete già molti volontari? PROF. CALAFIORE: Sì, vi sono molti pazienti che hanno richiesto di poter partecipare ad un eventuale trial clinico pilota, anche se come sopra detto, è prematuro parlare di “liste di attesa”, anche perché ciò di cui si parla è un trial clinico in fase 1 e quindi limitatissimo, per quanto attiene a criteri di inclusione, condizioni e numero di pazienti da studiare. DANIELA: Grazie Professor Calafiore e buona fortuna per i suoi studi. novembre 2001
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A cura di Daniela D’Onofrio |