Il trapianto di Lallo

Sono giorni che non riesco a dormire. Mi sveglio col cuore in gola e sento passare le ore cadenzate dal pendolo: due rintocchi, uno, tre rintocchi, uno…. Alle sette è un sollievo, finalmente è ora di alzarsi.

Il 18 ottobre è festa per noi: è il compleanno della mamma. Alle 16.30 siamo tutti a casa. Cico è entrato “brandendo” a mò di clava un mazzo di Lilium, Diletta con orgoglio porge alla nonna il pacchetto rosso che sa di gioielleria. La nonna con gioia lo apre e indossa gli orecchini e il girocollo che i nipoti, il nonno, io e Lallo le abbiamo regalato. Il cellulare dello zio Lallo continua a squillare: domani deve andare a Roma e la redazione vuole che tutto sia organizzato al meglio.

Alle 17 squilla il telefono di casa, c’è rumore: “Rispondi tu, Lallo, tanto è sempre per te!” Non ci badiamo, riceve continuamente telefonate!

Ma questa telefonata, tanto attesa, quanto temuta, così improvvisa in un giorno di festa, non ce l’aspettavamo.

Vediamo Lallo ammutolirsi, piangere in silenzio.

“Che c’è? Cosa è successo?”

“Devo andare in ospedale”.

“Perché? Per chi?”

“Mi hanno chiamato dal San Raffaele”.

C’è confusione. Cerchiamo di stare calmi. Io chiamo Alberto, il suo diabetologo, ma è stato proprio lui ad avvertire Lallo. Mi dice: “Venite qui al Pronto Soccorso, lo aspetto alle 18.” OK, via, dai.

“Lascia l’orologio e la collanina, il cellulare portalo, poi lo tengo io.”

Scendiamo e accanto alla mia macchina ci sono già i più cari amici che hanno saputo e che sono venuti a salutarlo. Alle 18.20 siamo al San Raffaele.

Elegantissimo e bellissimo, come sempre, nel suo abito blu di Gucci, Lallo viene condotto al reparto dialisi dove tutte le infermiere restano di stucco: “Ma come, ti abbiamo visto poche ora fà in tv, che ci fai qui?”

Difficile spiegare che quel ragazzone tutto sorrisi e battute, che SEMBRA il ritratto della salute, della gioia di vivere, in realtà è un uomo stanco, spaventato, distrutto dall’ansia. (Più tardi mi racconterà un amico che ha passato le vacanze con lui, che tutte le mattine delle 2 settimane che ha passato a Formentera, si alzava dicendo “E se mi chiamano oggi?”)

“Ciao, sono Paolo Fiorina. Ora facciamo un po’ di analisi.”

Sono tutti gentilissimi. Inizia la preparazione. “Come è morto il donatore?” chiede Lallo.

“Aneurisma. Gli organi sono perfetti. Una compatibilità eccezionale: sono proprio i TUOI organi.” Si eseguono tutti gli esami: perfetti! Persino il potassio, che è stato la disperazione dell’ultimo periodo, stasera è nella norma.

Finché posso sto con lui, poi mi chiedono di uscire dalla stanza. L’infermiera mi dice: “Non ho mai visto un paziente in attesa di trapianto tranquillo come lui…ma neanche la sorella di un paziente agitata come lei: sembra che ci debba andare lei in camera operatoria!”

Verso le 20.30, Alberto devo tornare a casa e si offre di portare anche mamma e papà con l’intesa che verso l’una, l’ora in cui è previsto l’intervento, io li andrò a prendere.

Verso le 22 saliamo in reparto: settore Q, primo piano, stanza 101: quanti 1. Se crediamo nei numeri sembra proprio “l’inizio” di qualcosa. Siamo lì da poco, che arrivano gli amici più stretti di Lallo, quelli di sempre, quelli che 19 anni prima erano stati con lui al tempo del primo ricovero qui al San Raffaele, quello in cui gli avevano detto: ” Non ti preoccupare, tutto andrà bene, e poi la cura è dietro l’angolo.”

Dopo 19 anni, per Lallo quell’angolo è ancora troppo lontano e non si può più aspettare “la cura”, ma c’è una speranza concreta: il trapianto. Mancano 10 minuti all’1 del 19 ottobre quando lo portano via, sdraiato sul lettino, verso la sala operatoria, verso una nuova vita. Non me la sono sentita di lasciarlo prima che lo portassero via in quell’ascensore, non ho voluto rischiare di non vederlo fino all’ultimo. E poi, le due volte che ha sentito mamma e papà al telefono si è emozionato. Corro a casa a prenderli. E poi di nuovo subito al San Raffaele. Le ore passano; né lente, né veloci: passano.

E’ il prof. Cristallo che esegue l’intervento. Il dr Socci è con lui.
Verso le 3.30 arriva Fabio: anche lui ha voluto assistere all’intervento e ci dice che il rene è già stato trapiantato e che stanno per iniziare con il pancreas. Torna dentro. Alle 5.30 ecco Alberto e Fabio: anche il pancreas è stato trapiantato, l’intervento è entrato nella fase finale. Tecnicamente l’intervento è riuscito.

Alle 7.30 ci dicono che Lallo è stato trasferito nel reparto di Rianimazione e Terapia Intensiva.
Ci dicono che il rene sta già funzionando al 100%, il pancreas….ancora no. Ancora no? Perché?
È normale? Succede? Ci dicono di andare via, tanto fino alle 17.30 non ce lo fanno vedere, e comunque, solo due persone potranno entrare.

Alle 13.30 sono colta da un colpo di sonno improvviso. Alle 13.50 mi sveglio di soprassalto, col cuore in gola: telefono ad Alberto.

“C’è un problema al pancreas, forse si è formato un trombo, tra due ore rifanno un’ecografia per decidere se intervenire farmacologicamente, chirurgicamente o… si potrebbe anche dover rimuovere il pancreas.”

Devo dirlo a mamma. Vado a casa. È disperata. È la disperazione che solo una madre può provare. Non vuole sentire “forse”, non vuole sentire “non è detto”. Il suo grido di dolore è per il suo bambino già tanto provato, il suo pensiero è alla disillusione, alla disperazione che proverà.
Continua a ripetere: “Siamo al punto di partenza. Dopo tanto dolore. Chi glielo dice?”

Alle 16 siamo davanti alla porta blu della rianimazione. Aspettiamo l’esito dell’ecografia.
Esce Alberto e ci dice: “Il trombo non c’è”. Io non ho la forza di alzarmi dalla sedia.
“Forse è il Tacrolimus (l’antirigetto che sta assumendo), adesso proviamo a sospenderlo, vediamo che succede.”

Alle 17.30 mamma e papà entrano e lo vedono. Escono un’ora e mezzo dopo visibilmente provati. Mamma dice che è in stato di sopore, ma che una frase, una sola, l’ha detta: ” Cosa dicono i medici?” Sono poco più di 24 ore che la telefonata è arrivata: sembrano 24 giorni!

Sabato mattina accompagno Diletta a scuola e mi fermo in chiesa a pregare: “Signore, ricordati di lui.”

Alle 9.30 sto andando al San Raffaele, ma chiamo Alberto per sapere come è andata la notte di Lallo: “Bene – mi dice – va bene. Ma se vieni ti dico tutto.”
I pochi chilometri che mi separano da Segrate mi sembrano eterni. Corro col cuore in gola a cercare Alberto che mi dice: “Abbiamo sospeso il Tacrolimus, la glicemia è scesa.”

Non ci posso credere, ma ci voglio credere. Il rene continua a funzionare benissimo, ma ora anche il pancreas “è partito”. Telefono a casa dove un sospiro liberatorio esce a stento dalla bocca di mamma: anche per lei è un miracolo. Oggi tocca a me vedere Lallo.
Vado dal parrucchiere, non voglio che mi veda così, non deve pensare che sia preoccupata, devo sembrare in forma.

Alle 17.30 ci fanno entrare. È sedato. Dorme, ma è agitato, anzi, agitatissimo. Il suo forte torace è scosso da tremiti violenti. “Perché?” chiedo al medico. “Sogna” mi dice.
Quando si sveglierà, Lallo mi dirà che non erano sogni, erano incubi tremendi. Non si lamenta, non credo abbia dolore. Ma ha la nausea e cerca di vomitare qualcosa che non c’è: ha il sondino.
O forse c’è qualcosa che vorrebbe espellere, ma che non può: la paura.
“Ho sete”, ma non può bere. Gli posso solo inumidire le labbra con una garza bagnata. Andiamo via alle 19.30.

Domenica mattina alle 9.30 sono di nuovo davanti alla porta della Rianimazione: ecco Alberto! Dio, come sono felice di vederlo!

“E allora?”

“Stanotte li ha fatti disperare: ad un certo punto ha detto che se ne voleva andare!”

“Allora comincia a stare meglio” commento.

Tutto procede bene. Il rene va sempre alla grande, il pancreas un po’ meno, ma non lamentiamoci! Davanti ad un caffè possiamo finalmente accennare a scherzare sul fatto che Lallo è “tremendo”.

Domenica pomeriggio accompagno mamma e papà in ospedale. Io vado a Messa: ho bisogno di sentire, di vedere che lassù qualcuno ha finalmente volto il suo sguardo verso di noi.
Quando vado a riprendere mamma e papà, li vedo abbastanza sollevati: va meglio, anche se ora l’anestesia e i tranquillanti vanno scemando e c’è qualche dolore.

Lunedì mattina, mentre sto per entrare al San Raffaele incontro il medico che ha fatto la notte in Rianimazione.

“Allora, come è andata stanotte?”

“Tutto bene, tutto procede bene, verrà eseguita un’ecografia di controllo in tarda mattina.”

“E poi lo mandate in reparto?” dico io quasi con gioia.

“…e no, ci vorranno ancora un paio di giorni.”

Perché? Come mai? Non avevano detto che dopo tre giorni andava in reparto? Allora si teme per il risultato dell’ecografia? Allora non è vero che va tutto bene. Sono qui, davanti al monumento all’ingresso del San Raffaele: che faccio? Chiamo Alberto, così lo saluto.

“Ciao, ho sentito il medico che era di turno stanotte.”

“Bene, che ti ha detto?”

“Tutto bene, ma che non lo spostano.”

“Certo – dice Alberto – non lo spostano perché non c’è posto in Medicina.”

E va bè, ma non si fa così! Ma questi medici dove studiano? Tutti a Buchenwald? Ma è possibile che non riescano a pesare le parole? È possibile che non riescano a capire che noi, che ascoltiamo, scrutiamo ogni gesto del loro viso, ogni suono che esce dalla loro bocca? E se non avessi parlato con Alberto? Avrei passato ore tremende a chiedermi il perché di questo ritardo. No, non è giusto.
Un medico non può essere un meccanico. Se uno non capisce che davanti a sé ha un essere umano in ansia, se uno non sente che dall’altra parte c’è una persona in ansia, che soffre, si laurei in Agraria! Non bastano dei bravi chirurghi, dei bravi anestesisti, dei bravi rianimatori, vorremmo anche degli esseri umani. Ma sì, chi se ne frega, l’importante è che Lallo stia bene.

Però quando si avvicina l’ora di entrare alle 17.30 il cuore lo sento in gola, mi si chiude lo stomaco, è come se facessi fatica a respirare. Entriamo, dopo esserci “vestiti”: camice, sovrascarpe e mascherina.”

“Ciao stella, come ti senti oggi?”

L’aspetto è splendido: incredibile, ma vero. Ormai è ben sveglio, ha ancora sete, ma un po’ può bere. Guardo bene i suoi occhi, voglio vedere se la sensazione che ho avuto sabato è corretta: sì, è proprio vero, il bianco dei suoi occhi, non è più giallognolo, ma è tornato bianco e la pelle del suo viso è rilassata, liscia, morbida.

“Lallo hai un aspetto meraviglioso.” Mi guarda ma non ci crede.

“Domani ti porto uno specchio.”

Domani arriva mentre sto per andare al San Raffaele: “Daniela, porta pigiami, magliette, ecc, spostano Lallo in reparto.” Ancora lui, il mitico Alberto, l’angelo custode, che mi da questa bella ed attesa notizia. OK, corro a comprare una panciera, per quando potrà sedersi, prendo la sua Samsonite e vado: non importa se Alberto ha detto che lo porteranno in tarda mattinata, voglio essere lì quando arriva. Non voglio si senta solo. Eccolo, arriva il “trapiantato”, come dicono le infermiere: “Ci dia un minuto e potrà vederlo.”

Invece no, arriva il Prof. Secchi con tutta una pletora di medici che mi rubano lo spazio. Faccio solo in tempo a dirgli: “Lallo, sono qui.” E poi a dire a Secchi con orgoglio: “È mio fratello.”

“Lo so” mi risponde lui ( pensando forse che mi sono rimbambita!).

Finalmente se ne vanno, finalmente posso entrare. “Allora, come stai?”

È stanco, fa fatica a parlare. Ieri stava meglio, secondo me. Vuole bere.
Io ho comprato 2 bottiglie di acqua naturale. “Ma no, Secchi ha detto che posso berla anche gassata.” “Sai cosa vorrei ora? Una Coca Cola ghiacciata.”

“Presto” gli dico. Cerco di farlo parlare, capisco che il problema ora è psicologico. Come sempre, come prima, la malattia è nelle mani del medico, la reazione nelle sue. Ancora una volta mi chiede del suo donatore, ancora una volta cerca di spiegarmi, credendo che non capirò, la sensazione di avere “qualcosa in più che non mi appartiene.”

Nella mi semplicità gli spiego che quando qualcuno ci offre un dono, lo fa sperando che questo sia gradito ed accettato. Questo è lo spirito con cui devi “accettare” il dono della speranza che rappresentano questi due organi.

I giorni passano.

Giovedì 25 ottobre, arrivano Secchi e la sua equipe: come sempre ha parole di incoraggiamento: “Va tutto bene, le analisi sono sempre buone, direi che potresti cominciare a mangiare qualcosa.”
Quando esce, felice gli dico: “E vai, si mangia!”

Mi guarda con faccia seria, preoccupata: “Io se non mi faccio l’insulina, non mangio.”
Non so se scherza, ma la faccia non è di uno che scherza. Rientra il dottor Fiorina e gli dice: “Ma si può sapere, perché quella faccia? Dovresti fare i salti di gioia!”

“Veramente non riesco neanche ad alzarmi” dice Lallo “poco fa un’infermiera mi ha fatto sedere, dopo un quarto d’ora credevo di svenire.”

“Vedrai che tra 10 giorni li potrai fare quei salti di gioia”.

“Sarà…” risponde sfiduciato Lallo.

“Ma lo sai quanto sei stato fortunato? È vero, avresti potuto rinunciare, ma organi come questi non ti ricapitavano più! Avresti potuto fare la dialisi ed aspettare 2, 3, 5 anni: sai quanti ne abbiamo in lista d’attesa? 180!”

“Ma no” intervengo io “Lallo non avrebbe rinunciato. Era ed è convinto che il trapianto fosse inevitabile, e la cosa migliore, ma cerchi di capire…”

Ma insomma, è così difficile capire che mentre tutti gli dicono che ha vinto la lotteria, che è stato fortunato, che gli organi che gli hanno dato funzionano a meraviglia dentro di lui, in realtà non sono i suoi, ma di un’ altra ragazza che aveva la sua età, i suoi sogni, una vita, forse una famiglia?

È difficile capire che per 19 anni la sua vita è stata fatta di aghi, di insuline, di orari e che d’ora in poi, forse, non sarà più così? Già, FORSE perché non è detto che andrà proprio così. Perché FORSE non tornerà all’insulina, perché FORSE non farà la dialisi, perché FORSE vivrà.
È venerdì 26: oggi Lallo deve sottoporsi ad un paio di eco di controllo, ai soliti test. Arrivo un po’ tardi in ospedale, tanto so che quando lo portano giù c’è sempre da aspettare un po’.
Arrivo in reparto e chiedo: “Ha già fatto le eco?” Loredana, la caposala, mi dice: “credo di sì.”
Vado nella sua camera, la 101: “Ciao, come va?”
-“Bene”
-“Come sono andate le eco?”
– “Non le ho ancora fatte, ho fatto un altro esame, ma per le eco aspettano un certo Salvioni, dicono che è il migliore.”
-“Bene”, dico io.

Arriva Alberto. Parla del più e del meno. È un po’ vago. Capisco che c’è qualcosa che non va quando mi chiede “Quanto resti?”
Cerco di non far intendere nulla a Lallo e dico che appena lo portano giù vado a prendere Diletta, poi torno nel pomeriggio.
“OK, allora ci vediamo dopo” dice Alberto andando via.

Arrivano due infermieri, portano via Lallo con tutto il letto: strano.
Come esce Lallo, chiamo Alberto: “C’è un problema. È stato riscontrato uno pseudoaneurisma. Si è formata come una specie di “sacca”. Non capiamo bene se è una piccola emorragia o è un residuo dell’intervento. Ora vado a vedere. Salvioni proverà con un’embolizzazione a “bloccare” questo sanguinamento… ma c’è la possibilità che si debba reintervenire. Ti faccio sapere appena finisce.” Che ci faccio qui in questa cameretta, che senza il letto di Lallo sembra enorme?
In questa cameretta abbiamo passato le ultime ore prima dell’intervento, le prime ore dopo la terapia intensiva. Ormai è “la camera di Lallo”.
Fuori c’è ancora l’enorme cesto che gli ha mandato Maria e che sparge l’intenso profumo dei suoi fiori in tutto il reparto.

Decido di non dire niente a mamma e papà. Chiamo Gianni affinchè vada a prendere Diletta e aspetto: non voglio che Lallo torni su e non trovi nessuno. I minuti passano. Passano le ore: decido di andare a casa a prendere mamma e papà.
Entro in casa e squilla il cellulare: “Sono Alberto, è andato tutto bene.”

“Tutto bene cosa? Ma perché non ho aspettato 10 minuti in più!”

“Salvioni è stato bravissimo, è riuscito a sistemare tutto. Sì, Lallo era sveglio. Ora aspettiamo l’eco di verifica lunedì, ma non mi aspetto problemi. È solo un proforma.”

Vado a casa a prendere mamma e gli spiego cosa è successo. Andiamo da Lallo di corsa.
In un attimo siamo in reparto, in camera, ma… dove è Lallo? E chi è quella vecchietta moribonda nel “suo” letto?

“Infermiera!! Che è successo? Dove avete messo mio fratello?!”

“Abbiamo avuto un’urgenza, è in un’altra camera, ormai sta meglio.”

Entriamo e lo troviamo raggomitolato su stesso (per quanto possa raggomitolarsi con un’ottantina di punti, drenaggi , cateteri e tubicini vari!), gli occhi spalancati, terrorizzati.
Cerchiamo di tranquillizzarlo: “Allora?”

“Non so, non so, prima di sotto… adesso mi hanno messo qui… non ho neanche più la tele” – farfuglia poco lucido.
Esco arrabbiatissima e vado al banco delle infermiere e, fortunatamente, incontro il prof. Secchi.

“Professore, ma che è successo? Mio fratello è fuori di sé, venga a spiegarci… perché lo avete tolto dalla sua camera?”

“Vuol dire che sta meglio!” dice lui con un sorriso tranquillizzante.

Entra nella stanza a tre letti dove hanno messo Lallo e sorridendo gli da un buffetto sulla guancia
“La prossima volta ti mettiamo in una camera da 12! Oh, ma che è quella faccia da fantasma?”

“Proff., c’ero io sul lettino quando Salvioni mi ha detto che forse mi dovevano riaprire!”

“Te s’é stremì?” dice il prof. Secchi in milanese (ti sei spaventato? n.d.t.)

“Vorrei vedere te!” gli risponde Lallo.

Il Prof. Secchi ci spiega tutto tranquillamente, poi rivolto a Lallo dice: “Questi sono eventi possibili nel post-operatorio, ma non devi aver paura. Potresti anche avere un principio di rigetto, ma noi siamo qui: OK?”

La serata passa cercando di tranquillizzare Lallo, ma tanto tranquillo non è.
Gli dico che Alberto ha assistito senza che lui lo vedesse e che dice che è andato tutto bene.

“Sì, ma sono io che, caso mai, devo tornare in camera operatoria!”

In camera con lui ora ci sono il signor Antonio, che è stato sottoposto a trapianto di rene sabato 20 ottobre e Andrea, un ragazzo di Pavia, trapiantato di rene 4 anni fa, che è qui per il controllo annuale: è lui che “recupera” la televisione dalla 101: almeno si distrae un po’.
Andrea ci racconta la sua storia, il suo trapianto, la sua vita ora: è incoraggiante per noi, ma non ancora per Lallo, che sembra chiuso nel suo bozzolo di paura.
Dovremmo andar via, ma Lallo comincia a vomitare. Il vomito l’ha disturbato dal primo giorno; è un vomito nervoso, dicono i medici: bè, ne avrà motivo, no?

Ora dobbiamo proprio andare. Fosse stato nella sua cameretta singola, sarei potuta rimanere con lui, ma qui non si può: “Buona notte Lallo, ci vediamo domani.”
Andiamo via tristi. Lasciarlo lì in quello stato, spaventato, a digiuno, col vomito.
Per noi è ora di dormire, ma anche stanotte, nessuno dormirà.

Sabato mattina, puntuale, arrivo con l’acqua fresca e qualche cambio supplementare. Lo aiuto a cambiarsi: è un peso morto. È così irreale Lallo che si fa muovere, sollevare, infilare la giacca del pigiama, lavare. Reazione: zero.

“Allora, come è andata la notte?”

Il signor Antonio mi dice che Lallo non ha dormito mai.

“Ma stanotte mi faccio dare un Tavor: non ce la faccio più!”

Arriva l’ora del pranzo, ma Lallo ancora non vuole mangiare. Il signor Antonio, al contrario, mangia tutto: “Devo rimettermi in forze!” dice “voglio uscire presto”.

Che scoperta! Perché, Lallo non vuole uscire? I giorni successivi è tutto un susseguirsi di visite di amici che non si vedevano da tempo e che hanno saputo. A casa il telefono squilla in continuazione. Dopo Andrea da Pavia, arriva Vincenzo da Taranto, trapiantato di rene e pancreas 4 anni fa:

“Effetti collaterali del trapianto? Uno solo: il matrimonio!” ci dice.
Aveva promesso alla sua fidanzata che se il trapianto fosse riuscito l’avrebbe sposata, e così ad agosto, ha mantenuto la sua promessa ed è andato in crociera in viaggio di nozze: “E chi l’avrebbe potuto fare, prima?”
Lallo è sempre chiuso. A fatica ascolta i racconti di Vincenzo, la sua vita: non vuole sentire o… non può crederci?

I giorni si susseguono: le glicemie sono ottime, la creatinina continua a scendere: tutto bene.

Arriva così il 1° novembre: oggi permesso di uscita e domani… dimissione!
A fatica Lallo si veste con gli abiti che ha chiesto e che gli ho portato.
Cavolo! Dove sono finite le sue spalle? Dove le sue poderose cosce da calciatore e i suoi polpacci che hanno tirato tanti calci a quel pallone? Dio mio come è magro. Eccoci pronti, è vestito, ma che fatica! Il signor Antonio ci saluta.

“Hai un po’ di febbre, forse è meglio che non esci.”

“Eh, no – ribatte Lallo – ora mi sono vestito ed esco!”

“Su, dottoressa Caldara, è ben coperto, ho la macchina proprio sotto al Pronto Soccorso e poi Alberto è già a casa ad aspettarci, pranzerà con noi.”

“Va bene, allora, ma alle 18 indietro!”

La strada dal reparto al Pronto Soccorso è lunga, per lui è infinita.
È una giornata bellissima, piena di sole.
“Che giornate! È sempre stato così?” continua a ripetere, mentre dal San Raffaele andiamo a casa.

Mamma ha preparato il pranzo che avremmo dovuto mangiare quando Lallo è stato chiamato….ripartiamo da lì.
Alberto arriva con un vassoio di pasticcini deliziosi.
Lallo si guarda in giro: la sua camera, il divano, la cucina: ecco il mobile dove teneva tutte le sue medicine… ecco la penna per l’insulina… la apre, la annusa: “Mi mancava questo odore.”
Il pranzo è allegro: Lallo mangia pochissimo, ovviamente e in un batter d’occhio arrivano le 18.
“Su, è ora di andare; ancora una notte, poi sei fuori!”

Lo accompagno, ma è stanchissimo. Trascina i piedi, si appoggia al muro. Ma come mette piede in camera, cambia espressione: gli torna il sorriso, si rilassa.
Si sdraia sul letto e dice: “Questo è il mio letto. Questa è la mia camera: io non esco più da qui! Io qui ci sto bene, qui mi capiscono, dai, rimani anche tu a dormire qui stanotte” mi dice “il vitto fa schifo, ma l’alloggio è una favola!”

Sono contenta di vederlo così. Lo lascio ancora una notte con il signor Antonio: chiacchiereranno di donne e di ciclosporina, poi domani è il grande giorno!

È venerdì 2 novembre: sono passate due settimane esatte da quando l’hanno portato in terapia intensiva e da quando, con il naso schiacciato sul vetro della porta azzurra, cercavo di vedere qualcosa.

Verso le 10 chiama Alberto: “La lettera di dimissione è quasi pronta, con calma, dopo mezzogiorno, vieni a prendere Lallo.”

Con calma? Cosa vuol dire con calma? Non c’è stato un momento di calma da quel 18 ottobre alle 17 e non sarà un giorno calmo neanche oggi: oggi torna a casa Lallo guarito! È vero, ha ancora 80 punti addosso, prenderà una valanga di medicine, ma è guarito! Il rene funziona benissimo, il pancreas, anche.

Ora comincia il post-trapianto: visite di controllo, aggiustamenti di terapia, timori ed ansie nuove, ma con una speranza grande: quella di vivere!

Tra poco sarà Natale, ma per me Natale è stato il 2 di novembre, quando mi sono riportata a casa mio fratello, in una splendida giornata di sole: non potevo ricevere regalo più bello.

 

Daniela D’Onofrio, dicembre 2001