Cosa ci ha detto veramente il DCCT?

Il Diabetes Control and Complications Trial (DCCT) è stato uno studio costato 280 milioni di dollari condotto dal National Institutes of Health (NIH).
Lo scopo dello studio era di paragonare l’incidenza e l’evoluzione delle complicanze diabetiche seguendo una terapia intensiva (4-6 iniezioni di insulina e controlli della glicemia quotidiani) rispetto alla terapia convenzionale (1-2 iniezioni di insulina e controlli quotidiani della glicemia).
Lo studio ha concluso che i livelli più bassi di glicemia, ottenuti con la terapia intensiva, possono ritardare e persino prevenire le complicanze diabetiche.
Ciò nonostante, resta il fatto che, i casi di cecità, amputazioni, attacchi cardiaci e insufficienza renale causati dal diabete – come riportato dal NIH- continuano ad aumentare. Le compagnie assicurative e le strutture sanitarie prendono atto di questo dato e, con poche eccezioni, concludono che ” insegnare ai diabetici” a seguire un regime intensivo di iniezioni e una dieta rigida, risolverà il problema.

Questa filosofia è stata alla base della gestione del diabete e di conseguenza la “colpa” delle complicanze è passata dalla malattia stessa alla persona che ne è colpita.
Una lettura dettagliata del DCCT ci dirà perché la teoria della terapia intensiva non si è poi tradotta in una pratica efficace.

E’ stato sostenuto che il DCCT avrebbe seguito per 10 anni 1441 diabetici casualmente selezionati.
In realtà lo studio è iniziato nel 1983 con solo 278 partecipanti e i primi due anni sono stati spesi per programmare lo studio e la totalità dei 1441 partecipanti non è stata raggiunta fino al 1989, e cioè solo 4 anni prima che lo studio si concludesse.
Dei 278 partecipanti iniziali, 8 si sono ritirati e 11 sono morti. Questi tristi dati statistici sono stati causati, in larga parte, da gravi ipoglicemie.
Vennero allora fatti cambiamenti nei criteri di selezione per partecipare allo studio, onde escludere dal trial chiunque fosse soggetto a questa comunissima complicanza.
Questa esclusione porta ad avanzare dubbi sulla “casualità” di tale processo di selezione.

In pratica il Gruppo di Ricerca del DCCT stabilì che la terapia intensiva non è consigliata per i ragazzi al di sotto dei 13 anni, per le persone affette da malattie cardiache o da complicanze conclamate, per gli anziani e per i soggetti con una storia di frequenti e gravi ipoglicemie.
Lo stesso Gruppo di Ricerca del DCCT ha stabilito che solo il 17% della popolazione diabetica insulino-dipendente americana sarebbe idoneo a seguire una terapia intensiva. Ciò nonostante, la terapia intensiva è alla base della metodologia terapeutica attuale per tutti i diabetici.

Quella della terapia intensiva è una grande teoria, che fallisce però miseramente quando si cerca di metterla in pratica.
I due principali punti che portano al fallimento di questo programma sono
(1) il fattore umano e
(2) l’ipoglicemia grave.

Perché la terapia intensiva abbia successo, una persona deve fare 3 o più iniezioni di insulina al giorno (o essere microinfusa), controllare la glicemia 4 o più volte al giorno e seguire delle rigide istruzioni dietetiche.

Il principio che sta sotto l’assunto che un’educazione diabetica maggiore migliorerebbe la capacità o la voglia di una persona a seguire una terapia insulinica intensiva si basa sull’idea che sia ragionevole aspettarsi da una persona che voglia fare tutto questo, per tutto il resto della sua vita.

All’inizio del 1998 il NIH ha pubblicato le sue raccomandazioni finali.
Una di queste raccomandazioni “per ottenere i risultati desiderati” è di “attuare strategie e teorie comportamentali per massimizzare l’autocontrollo del diabete”.

Le loro raccomandazioni invitano a “individuare e sviluppare strategie rivolte a favorire l’adesione a tale programma , superando le barriere sociali e culturali”, e a “studiare modi per diminuire le patologie psichiatriche e sociali associate nei diabetici (per es. depressione, disordini alimentari, disfunzioni familiari)”.

Forse il modo migliore per verificare la validità di queste “teorie e strategie comportamentali” sarebbe quello di seguire 1441 soggetti non diabetici per 10 anni mentre cercano di conformarsi ad un regime di iniezioni, restrizioni, ed incertezza così come ci si aspetta faccia la popolazione diabetica.
La conclusione sarebbe, ne sono sicura, che l’idea stessa è irragionevole e che le patologie associate quali depressione, disordini alimentari e disfunzioni familiari sono, dopo tutto, umane.

La disparità tra i risultati del DCCT e il continuo aumento delle complicanze secondarie mette in rilievo l’unica ed innegabile verità : solo una cura per il diabete potrà avere un impatto significativo sul costo umano che viene pagato a questa malattia.

Autunno 1998

 

Di Deb Butterfield, Founder and Executive Director, Diabetes Portal

Traduzione Daniela D’Onofrio

da DiabetesPortal.com, Inc.