A me interessa solo che le persone tornino libere
Io sto antipatica a un sacco di gente.
Soprattutto nell’ambito del diabete. Non ai malati come me, che son compagni di viaggio, ma a quelli che rappresentano (o pensano di rappresentare) le ‘istituzioni’ mediche e associative.
Fanno bene, hanno ragione, hanno capito.
Ci sono persone che puoi controllare, con le quali puoi costruire un dialogo di reciproco scambio e favori, basta non darsi fastidio e mantenere status quo e poltrone. Perché alla fine, come sempre, è solo e unicamente una questione di poltrone e di potere.
Certo i malati, ma prima il potere, poi i malati.
E poi ci sono altre persone che non puoi controllare. Io sono parte delle altre. E se fossi in loro terrei me stessa lontana dai loro luoghi. Fanno bene.
Da piccola avevo due compiti a casa: buttare l’immondizia e rispondere la sera al telefono.
Negli anni ‘70 e ‘80 non c’erano i cellulari, le persone ti chiamavano all’ufficio o in casa e ogni sera mio papà riceveva almeno 4 o 5 telefonate di persone che avevano bisogno di qualcosa dal mondo della politica o della pubblica amministrazione o che lo chiamavano a causa di qualche emergenza parlamentare o istituzionale.
Io avevo il compito di filtrare e a volte di rimbalzare, finché non abbiamo levato il numero dagli elenchi del telefono.
Tutte le volte che mio papà tornava in salone o a tavola dopo le telefonate, mi ripeteva: “la cosa più importante nella vita è che tu ti metta nelle condizioni di essere indipendente”.
A volte lasciava la frase lì sospesa nell’aria, tra una scena e l’altra del film. Altre volte, quando magari aveva affrontato situazioni complesse o di persone che avevano davvero bisogno di aiuto, spiegava.
“Solo l’indipendenza ti renderà una persona libera. Da grande dovrai costruirti una carriera che ti permetta di essere economicamente indipendente da chiunque, anche da noi (intendeva loro: mamma e papà). L’indipendenza economica è quella che rende donne e uomini liberi di fare le scelte che desiderano, soprattutto le donne. Ma dovrai anche rimanere indipendente dal punto di vista intellettuale. La libertà intellettuale ce l’hai se puoi dire sempre quel pensi e puoi dire che quel pensi se non devi niente a nessuno, se non sei in soggezione rispetto a nessuno, se non hai favori da restituire. Fai in modo di non dover chiedere nulla a nessuno e se qualcuno chiede a te, dai sempre se puoi, ma senza chiedere in cambio. Questo ti renderà indipendente e l’indipendenza economica e intellettuale ti darà la libertà di far ciò che desideri, di formarti il tuo giudizio critico in maniera autonoma e di esprimere liberamente quel che pensi.”
Sono andata via di casa a 20 anni, iniziato a lavorare subito, sono scappata dalla romanità politica e istituzionale a 24 anni, appena ho trovato un lavoro a Milano, che mi pagava un sesto di quello che avrei potuto guadagnare a Roma, ma mi rendeva indipendente.
Avevo dieci anni quando mio papà mi faceva questi discorsi e per i successivi 30 ho, giorno dopo giorno, lavorato per costruire la mia indipendenza economica e intellettuale. Da chiunque. Anche dalla mia famiglia.
Ci sono riuscita e ne sono molto fiera. Avere la libertà di poter dire ogni momento ciò che pensi, avere gli strumenti per poter costruire il tuo giudizio sulle cose e poter mantenere la tua indipendenza intellettuale rispetto a chiunque e qualunque cosa è il tesoro più grande che mio papà potesse lasciarmi in eredità.
Mio papà nella sua visione della vita non contemplava però la malattia. Come ogni padre – seppur figlio di genitore che non aveva nemmeno l’indipendenza per andare in bagno, perché mio nonno era sulla sedia a rotelle da quando aveva 28 anni – non contemplava la malattia di suo figlio, meno che mai una malattia che non guarisce.
A 40 anni l’indipendenza l’ho persa.
Non quella economica, non quella intellettuale, ma quella fisica.
Ora sono dipendente, senza bucarmi non vivo. Senza insulina non vivo. La mia vita dipende dall’andamento delle mie glicemie ed è una cosa con cui debbo fare i conti costantemente.
E non c’è nulla purtroppo che possa farmi tornare fisicamente indipendente. Nulla, a parte la cura per la mia malattia.
Ed è verso di quello che ogni mio sforzo tende: fondi per la ricerca di una cura.
Chiunque si metta in mezzo con comunicazione tafazziana sul diabete di tipo 1, giochetti di potere del cortiletto, ricerche ciuccia soldi delle famiglie, distrazione dell’opinione pubblica alla mia mancata riconquista dell’indipendenza non avrà la vita facile perché non le mando a dire: le dico.
E non mi interessa se siete primari, presidenti, direttori, baroni, re o pascià: se non siete interessati VERAMENTE a trovare la cura del diabete di tipo 1 e se anzi distraete fondi o comunicate malamente sono e sarò vostra fiera oppositrice. Perché la mia priorità è riacquistare la mia indipendenza fisica (e quella delle persone come me) e non perdere quella intellettuale.
Per cui, cari miei, fate bene a pensare che sono una spina nel fianco, perché io proprio ho obiettivi completamente diversi, non me ne può fregare di meno del ‘sistema’ che si auto-giustifica, delle associazioni, delle aziende, degli ospedali, delle società scientifiche.
A me interessa solo che le persone come me tornino ad essere libere.
E l’unico modo per noi per tornare ad essere liberi è finanziare la buona ricerca.
Il resto è una enorme, immane, dannosa e irrispettosa (verso i malati) perdita di tempo.
Grazie papà.
di Francesca Ulivi