A Pisa prima trapianto di pancreas robotico al mondo
La mininvasività finalmente applicata anche alla chirurgia del trapianto di pancreas. Era un traguardo finora inarrivato. Da oggi si aprono invece nuove prospettive terapeutiche per chi soffre di diabete di tipo 1. E soprattutto si pone fine a una diatriba durata decenni sull’opportunità di trapiantare il pancreas, a causa dell’altissima invasività e dei rischi dell’intervento con chirurgia tradizionale. Non è un caso che questo ennesimo traguardo sia stato raggiunto a Pisa, dove esiste una cultura dei trapianti ultratrentennale, su cui si sono innestate le nuove potenzialità connesse all’utilizzo del sistema robotico.
Il 27 settembre 2010, all’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana, il Prof. Ugo Boggi ha eseguito un trapianto di pancreas in laparoscopia utilizzando il sistema chirurgico robotico “da Vinci SHDi”. Si tratta del primo intervento di trapianto di pancreas al mondo effettuato in modo mini-invasivo.
Il 3 luglio scorso lo stesso gruppo aveva eseguito il primo trapianto di rene robotico in Europa. Questo intervento è già stato descritto sulla rivista scientifica internazionale Transplant International, organo ufficiale della Società Europea dei Trapianti (ESOT: European Society for Organ Transplantation), dove sarà pubblicato a breve.
IL TRAPIANTO DI PANCREAS: QUANDO E PERCHE’
Il trapianto di pancreas è una terapia riservata ai pazienti affetti da diabete tipo 1, cioè quel diabete che tipicamente insorge in età giovanile, richiede insulina, ed è spesso associato a complicanze metaboliche (iperglicemia, ipoglicemia, chetoacidosi). Questo tipo di diabete costituisce circa il 10% di tutti i tipi di diabete. In alcuni di questi pazienti, dopo molti anni di malattia, il diabete causa danni ai reni rendendo necessario anche il trapianto di rene (trapianto di rene-pancreas). In altri pazienti, nei quali la funzione renale è normale o quasi normale, il diabete tipo 1 può causare comunque gravi problemi agli occhi (fino alla cecità), al sistema cardiovascolare (maggior incidenza di infarto, di ictus, si amputazione di arti, etc…) ed al sistema nervoso. Queste complicanze organiche possono associarsi ad un grado variabile di difficoltà a mantenere il livello di zucchero nel sangue ad un livello accettabile, nonostante la terapia insulinica somministrata in 4 iniezioni giornaliere o mediante un’infusione continua, guidata da una piccola pompa programmabile (c.d. microinfusore). Nei gradi estremi, la difficoltà a controllare il livello di zucchero nel sangue può essere tale da risultare invalidante.
Nei pazienti con diabete tipo 1 e danno renale grave, anche prima della dialisi, i benefici del trapianto di rene-pancreas sono tali che questo trapianto è considerato salvavita, come uno di fegato o di cuore. Di conseguenza l’entità dell’intervento di trapianto ha un’importanza secondaria rispetto all’enorme beneficio terapeutico e soprattutto all’assenza di reali alternative terapeutiche.
Nei pazienti con diabete tipo 1 e funzione renale normale, o quasi, i benefici del trapianto del solo pancreas (trapianto isolato di pancreas) sono tangibili, ma non così clamorosi come in coloro che hanno già un danno renale grave. In questo caso il peso dell’intervento chirurgico diventa un elemento di maggior importanza nel decidere se e quando il trapianto è opportuno.
L’INTERVENTO TRADIZIONALE DI TRAPIANTO DI PANCREAS
L’intervento tradizionale di trapianto di pancreas potrebbe essere considerato il prototipo della maxi-invasività chirurgica. In sostanza, le peculiarità dell’organo, la complessità intrinseca dell’intervento e la fragilità dei pazienti diabetici fanno sì che il trapianto di pancreas sia quello gravato dal maggior tasso di complicanze rispetto a qualsiasi altro organo solido che sia possibile trapiantare. Parlando di cifre, circa il 50% dei pazienti operati sviluppa almeno una complicanza post-chirurgica. Tra il 15 ed il 30% richiede almeno un secondo intervento dopo quello di trapianto. Tra il 5 ed il 10% dei pazienti perde precocemente la funzione dell’organo trapiantato per trombosi vascolare (cioè per la “coagulazione” del sangue all’interno dei vasi dell’organo).
Il peso di una chirurgia così impegnativa è amplificato dall’essere eseguita in pazienti diabetici che, in quanto tali, sono maggiormente suscettibili alle infezioni, hanno un ritardo di guarigione delle ferite, hanno un sistema cardio-vascolare particolarmente fragile (in un certo senso, come se avessero diversi anni più della loro età anagrafica) e risposte autonomiche alterate (cioè riflessi nervosi vegetativi anomali in risposta a stimoli come calo della pressione, aumento delle richieste metaboliche dei tessuti, etc.) fino ad essere, talvolta, paradossali (cioè opposte a quanto atteso).
L’INTERVENTO ROBOTICO DI TRAPIANTO DI PANCREAS
Grazie all’uso della sofisticatissima tecnologia del robot “da Vinci” è stato possibile effettuare l’intervento di trapianto attraverso tre piccoli fori ed un’incisione di soli 7 centimetri (utilizzata per inserire l’organo nell’addome). Complessivamente il “trauma” chirurgico di questo intervento è analogo a quello di altri interventi, più semplici, già comunemente eseguiti in laparoscopia (il più “famoso” ed il più diffuso dei quali è probabilmente l’asportazione della colecisti).
Essendo il primo caso in assoluto, non è possibile valutare in quale misura il nuovo metodo ridurrà l’incidenza delle complicanze che contraddistinguono questo tipo di trapianto. E’ chiaro però che questo primo caso dimostra che è possibile trapiantare un pancreas in modo mini-invasivo, stimolando i chirurghi trapiantologi a valutarne il valore in casistiche di ampie dimensioni.
CHE PROSPETTIVE APRE IL TRAPIANTO ROBOTICO DI PANCREAS
Aver ridotto il trauma dell’intervento chirurgico di trapianto, rendendolo mini-invasivo, rende più favorevole il rapporto rischio-beneficio del trapianto solitario di pancreas. In ambito medico, la valutazione di questo rapporto è oggetto di un dibattito molto animato fin da quando, nel 1989, il Prof. Piero Marchetti (anch’egli in servizio l’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana) contribuì a far ottenere a Saint Louis (Missouri, USA) il primo caso ben descritto di insulino-indipendenza nell’uomo con il trapianto delle isole pancreatiche (Diabetes1990;39 (4):515-8. Insulin independence after islet transplantation into type I diabetic patient). Da allora non si è ancora riusciti a definire con certezza se per un paziente con diabete tipo 1, ma funzione renale conservata, e difficoltà a controllare la malattia con la terapia insulinica (con danni a occhi, sistema nervoso, cuore e vasi) sia preferibile il trapianto di isole pancreatiche o il trapianto isolato di pancreas.
In questo stesso dibattito si innesta il tema del trapianto delle cellule staminali concettualmente interessante e teoricamente promettente ma, per ora, assolutamente sperimentale e solo futuribile.
Nello specifico, il TRAPIANTO DI ISOLE PANCREATICHE e il TRAPIANTO ISOLATO DI PANCREAS hanno alcuni punti in comune ma anche importanti differenze.
Il principale punto in comune al trapianto di isole pancreatiche e di pancreas come organo è la finalità, cioè far sì che il paziente non debba più dipendere dalle iniezioni di insulina per avere un controllo glicemico normale, evitando quindi anche la comparsa dei danni che il diabete causa nei vari organi (rene, occhio, cuore, vasi sanguigni, nervi).
Ancora comune alle due terapie è la necessità di una terapia antirigetto, solitamente costituita da più farmaci, che deve essere assunta fino a che le cellule o l’organo funzionano, e quindi in modo cronico.
La terapia antirigetto, cui sono legati rischi specifici, è identica per le cellule e per l’organo anche se, in verità, la maggior fragilità delle cellule e l’assoluta mancanza di markers di rigetto suggeriscono la necessità di una intensità di trattamento immunosoppressivo tendenzialmente superiore per il trapianto di isole.
Esistono anche importanti differenze. La prima è che l’insulino-indipendenza, cioè la non dipendenza dalle iniezioni di insulina, considerata indice di “guarigione” dal diabete, è ottenuta sporadicamente con il trapianto di isole e regolarmente con quello di pancreas.
Inoltre, la durata nel tempo di questo risultato, possibilmente pregiudicata da vari fattori tra cui il principale resta il rigetto, è assolutamente maggiore per il pancreas rispetto alle isole.
La seconda differenza è il peso dell’intervento di trapianto, sicuramente molto inferiore per le isole rispetto all’organo.
Quindi la principale novità di questo nuova tecnica per il trapianto di pancreas è quella di mettere in dubbio una delle certezze su cui per decenni si sono basate le decisioni terapeutiche in ambito trapiantologico: la grande invasività del trapianto di pancreas. Questo intervento dimostra infatti che anche un trapianto di pancreas come organo può essere mini-invasivo.
LA CRONACA
Il prelievo del pancreas è avvenuto da donatore cadavere. Il trapianto è stato eseguito la mattina del 27 settembre 2010 da un’equipe chirurgica coordinata dal Prof. Ugo Boggi.
La ricevente era una paziente di 43 anni, residente in Abruzzo, madre di due figli. La paziente era affetta da diabete tipo 1 dall’età di 24 anni ed era già stata sottoposta a trapianto renale da donatore cadavere a seguito dello sviluppo di grave nefropatia diabetica. Oltre al danno renale, già corretto dal trapianto di rene, il diabete aveva danneggiato gli occhi ed il sistema nervoso periferico.
L’intervento è durato complessivamente circa tre ore. La fase “cruciale”, cioè quella di collegamento dei vasi dell’organo con quelli della paziente è durato complessivamente 28 minuti, ugualmente distribuiti tra arteria e vena. Il decorso intraoperatorio è stato regolare. Non si è assistito ad alcun sanguinamento. Il decorso post-operatorio è stato altrettanto regolare. La paziente è rimasta ricoverata fino al 30 ottobre, sia per doverosa precauzione sia perché, nei pazienti diabetici con grave neuropatia autonomia, la normalizzazione dei livelli di glucosio nel sangue può comportare, transitoriamente, un rallentamento del transito intestinale (elemento già tipico della neuropatia diabetica). Si tratta di una sorta di “black out” elettrico per cui le cellule nervose abituate a lavorare con livelli troppo alti di glucosio, il loro unico carburante, hanno una transitoria difficoltà a riabituarsi ad una situazione normale. Complessivamente nell’intervento sono stati coinvolti decine di medici e di infermieri, cui vanno i ringraziamenti di tutta l’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana.
In particolare sono stati direttamente coinvolti, a vario titolo ed in vari momenti, le seguenti persone:
Chirurghi: Prof. Ugo Boggi, Dr. Stefano Signori, Dr. Fabio Vistoli, Dr.ssa Chiara Croce, Dr. Mario Belluomini, Dr. Fabio Caniglia, e Dr.ssa Sonia Meli
Anestesisti: Dr. Fabio Guarracino, Dr.ssa Gabriella Amorese, Dr. Giovanni Consani
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