Aboliamo i “fuoripasto”

Time Magazine e Newsweek dedicarono alcuni anni fa la copertina alla pandemia del diabete nel terzo millennio. «Cassandre o profeti?» ci si chiese. Profeti, sappiamo ora.
La prevalenza oggi nel mondo è di circa 200.000 diabetici e il trend è purtroppo positivo. Ma cosa faceva presagire così tanto sconquasso?

Alcune premesse sono necessarie prima di rispondere.
Gli animali, uomo compreso, per sopravvivere devono non morire di freddo e di fame e il nutrimento serve a non soccombere.
Tuttavia, il tessuto che nel nostro corpo è deputato a non “farci morire di freddo” è quello adiposo, mentre il tessuto muscolare ci permette di non morire di fame. Ci sono quindi alimenti che hanno come bersaglio nutritivo il tessuto adiposo ed altri quello muscolare. Soprattutto grassi e carboidrati per il primo, proteine per il secondo. Infatti nelle zone del mondo ad alti siccità le popolazioni muoiono di fame perché mancano di cibo, soprattutto proteico. Spesso da zone disastrate ci si è trasferiti nelle città, soprattutto in Africa e in America latina. I bambini nascono nelle città, ma sempre da madri povere e malnutrite e quindi continuano a nascere sottopeso. I genitori lavorano, cucinano meno e comprano cibo preconfezionato; quello che ci si può permettere sono solo cibi che costano poco, quelli cioè che procurano “calore” e non “nutrimento”, quindi sono le cellule del tessuto adiposo a trarne beneficio, quelle alimentate da ingredienti calorici che crescono e si moltiplicano: il risultato è l’obesità. E qui ecco il paradosso dovuto allo “stress calorico”: famiglie di ceto basso cominciano ad ingrassare, sia i genitori sia i figli in fase di accrescimento.

D’altro canto i ragazzi dei ceti medi/alti crescono facendo sempre meno movimento, passano ore davanti a computer e tv, bombardati da spot televisivi su merendine e snack: su alcuni canali si parla di più di 5.000 spot l’anno. E, altro paradosso, gli attori degli spot sono ragazzi di bell’aspetto, magri e longilinei: l’adolescente non può che associare il “fuoripasto” alla bellezza e, soprattutto, alla magrezza e allo scenario di vita gioiosa e spensierata proposto.

Questi “fuoripasto” sono in gran parte grassi e carboidrati, che favoriscono l’accumulo degli adipociti. Sono anche quelli che stimolano il pancreas a fare insulina, che abbatte la glicemia facendo penetrare gli zuccheri nelle cellule, soprattutto quelle adipose. Così a solo poche ore dall’ultima “merendina”, l’ipoglicemia fa scattare lo stimolo della fame e il ragazzo è pronto a mangiarne un’altra, mentre a tavola per il pranzo o la cena, non ha più fame. Così i cibi che “nutrono” vengono sempre meno ingeriti e obesità e diabete alimentare, quello di tipo 2, cominciano a manifestarsi in età adolescenziale, cosa impensabile fino a pochi decenni fa.

Il presagio è stato quindi confermato: la pandemia diabetica si è globalizzata, senza distinzione tra giovani e adulti, poveri e ricci, Paesi sviluppati e non.

Segni premonitori ce n’erano già stati ed eclatanti. Le belle e magre ragazze polinesiane, immortalate da Cezanne e Gaugin, o dai film con Marlon Brandon, che mantenevano da secoli la loro fisionomia corporea anche in età adulta, dopo la Seconda guerra mondiale (che, oltre ai disastri provocati, ha introdotto nelle isole la civiltà occidentale) hanno iniziato a spostarsi in automobile e a mangiare “cibo spazzatura” (junk food), diventando spesso obese e diabetiche.

Il modo, anche fin troppo ovvio, per rimediare a questa situazione è innanzitutto cambiare i nostri stili di vita, insegnando ai giovani quali adottare. E poi a mali estremi, estremi rimedi. Pensate se domani al supermercato trovassimo prodotti alimentari con la scritta: “prodotto a forte rischio di diabete”, “prodotto ad alto rischio di infarto ed ictus”, e nel prezzo trovassimo una sovratassa per “cibo pericoloso”. Un giorno potremmo dire che l’aver adottato misure pur drastiche, ma di buon senso, ci ha aiutato ad arrestare il trend dell’obesità e del diabete tipo 2.

 

 

 

di Gian Franco Bottazzo
Dir. Scient. Osp. Pediatrico Bambino Gesù, IRCCS

Tratto da “Salute” supplemento de La Repubblica” del 16.03.06