ADA2022: il diario di “bordo” del Dr Andrea Scaramuzza (day 2)
Oggi il programma prevedeva ben 68 eventi, il primo iniziato alle 5:30 e gli ultimi finiti alle 21. Questi organizzati dalle case farmaceutiche o produttrici di devices tecnologici. Davvero tanta scienza, e tante possibilità di aggiornamento.
È vero che a me personalmente, in quanto pediatra (di campagna) che si occupa prevalentemente di bambini e adolescenti, interessa meno, ma sono stati presentati i dati di alcuni trials sia per la prevenzione delle complicanze che per il contenimento del peso nei pazienti con diabete tipo 2 estremamente interessanti e incoraggianti. Eventualmente ne darò conto più avanti.
Prima di affrontare gli argomenti di oggi, lasciatemi chiudere alcune suggestioni lanciate col post di ieri.
Riprendo dal pancreas bionico.
Come detto ieri, sia pure senza l’uso del glucagone, disegnato per funzionare basandosi solo sul peso e sull’annuncio dei pasti.
Lo studio ha coinvolto 161 adulti (età media 44 anni) e 165 bambini di almeno 6 anni (media 12 anni) con diabete di tipo 1 con qualsiasi emoglobina glicata (HbA1c). La media negli adulti era del 7,6% (60 mmol/mol), con un intervallo di 5,5–13,1% (37–120 mmol/mol); nei bambini era 8,0% (64 mmol/mol), con un intervallo 5,8–12,2% (40–110 mmol/mol).
Come detto ieri, sia pure senza l’uso del glucagone, disegnato per funzionare basandosi solo sul peso e sull’annuncio dei pasti.
Lo studio ha coinvolto 161 adulti (età media 44 anni) e 165 bambini di almeno 6 anni (media 12 anni) con diabete di tipo 1 con qualsiasi emoglobina glicata (HbA1c). La media negli adulti era del 7,6% (60 mmol/mol), con un intervallo di 5,5–13,1% (37–120 mmol/mol); nei bambini era 8,0% (64 mmol/mol), con un intervallo 5,8–12,2% (40–110 mmol/mol).
Durante 13 settimane di trattamento, si è osservata una riduzione media di HbA1c dello 0,5% sia negli adulti che nei bambini assegnati in modo casuale a utilizzare il sistema del pancreas bionico, rispetto a coloro che hanno continuato con le cure abituali. I ricercatori hanno riscontrato maggiori riduzioni di HbA1c nei partecipanti con livelli basali più elevati. I miglioramenti nel controllo glicemico erano coerenti tra i sottogruppi definiti da razza/etnia, reddito e istruzione; e indipendentemente dal dispositivo di somministrazione dell’insulina utilizzato in precedenza. Il tempo in range (TIR) è migliorato significativamente di più dopo le 13 settimane negli utilizzatori di pancreas bionico rispetto ai gruppi di controllo, raggiungendo il 69% contro il 58% negli adulti e il 60% contro il 50% nei bambini (mio commento, vero che i pasti erano solo annunciati ma non bollati, ma il TIR non era un granché! Abbiamo ancora bisogno di fare il bolo, in gergo ‘campagnolo’, bolare).
Il tasso di ipoglicemia grave non è risultato significativamente diverso tra chi usava pancreas bionico e i gruppi di cura abituale (25,5 contro 14,2 eventi per 100 persona-anno negli adulti e 10,4 contro 7,3 eventi per 100 persona-anno nei bambini) (mio commento, bene ma non benissimo), senza differenze negli episodi di chetoacidosi diabetica.
Come già anticipato ieri nessuna differenza nei sottogruppi che utilizzavano Fiasp rispetto a Novorapid o Humalog in termini di emoglobina glicata. Gli utilizzatori di Fiasp hanno fatto osservare un TIR lievemente migliore (+2%) rispetto a chi usava Novorapid o Humalog.
Grande spazio ha occupato il problema ormai spinoso dell’accesso all’insulina sia negli Stati Uniti che nei paesi in via di sviluppo. Mentre il prezzo dell’insulina è ai massimi storici negli Stati Uniti, l’accesso a questo farmaco salvavita in tutto il mondo continua a essere una sfida terribile in diversi paesi. Questa mancanza di accesso all’insulina mette in grave pericolo la vita di bambini e adulti con diabete di tipo 1 e di tipo 2.
Un americano su 4 è costretto a razionare l’insulina. Nonostante la grande varietà di tipi di insulina prodotti dai giganti farmaceutici, c’è stato un aumento dell’81% dei ricoveri correlati alle iperglicemie tra il 2009 e il 2015. L’accesso (o meglio il mancato accesso) all’insulina è la causa principale di queste ospedalizzazioni. La politica sembra una delle ragioni principali dei prezzi elevati, dal momento che i lobbisti delle aziende più grandi spendono circa 500 milioni di dollari per ragioni politiche. E il sistema è così complesso che non sempre è facile individuare i responsabili, o almeno più di uno si rende responsabile di questa estrema diseguaglianza.
L’ex presidente Trump si vantava che ormai l’insulina aveva il prezzo dell’acqua, ma questo è vero solo per una piccola percentuale di pazienti che afferiscono a Medicaid, ma non per la stragrande maggioranza dei pazienti. Infatti il costo medio annuale per persona varia da $27 per chi ha Medicaid a $1,925 per chi è senza assicurazione a $800 per chi ha un’assicurazione privata.
La cosa che sorprende di più (a mio avviso) è vedere che non sono le aziende farmaceutiche a trarne i maggiori benefici ma i cosiddetti ‘middle-players’, farmacisti e politici in primis.
O forse non è poi così sorprendente!
O forse non è poi così sorprendente!
Abbott contestualmente all’annuncio della approvazione FDA per il suo FreeStyle Libre 3, ha annunciato di aver iniziato lo sviluppo di un sensore in continuo per il glucosio a cui sarà integrato anche un sensore per monitorare la presenza di corpi chetonici, permettendo all’utilizzatore di monitorare contemporaneamente con un solo sensore sia glicemia che chetonemia.
Novo Nordisk ha annunciato risultati positivi degli studi ONWARDS sull’insulina Icodec (da somministrare solo una volta alla settimana): per le persone con diabete tipo 2, dopo 52 settimane, l’emoglobina glicata si è ridotta dell’1,55% e il tempo in range è aumentato; per le persone con diabete tipo 1, dopo 26 settimane, la glicata era sovrapponibile (con una riduzione dello 0,05%) a quella ottenuta con l’insulina Degludec somministrata una volta al giorno, provocando però più eventi ipoglicemici.
Infine, nello studio clinico SURPASS-4, la tirzepatide (nome commerciale: Mounjaro) ha rallentato la progressione della malattia renale nei pazienti con diabete di tipo 2 e con aumentato rischio cardiovascolare. Ma di questo parleremo più diffusamente domani.
Ora facciamo un altro salto indietro alla giornata di ieri e parliamo di nutrizione e di alcuni punti controversi.
Alison Evert, dell’università di Washington, alla domanda in che percentuale deve essere distribuito l’apporto giornaliero di macronutrienti, ha risposto: dipende!
L’apporto giornaliero deve essere individualizzato sulla base della persona che ci troviamo di fronte, sul suo stile di vita e sui suoi obiettivi. La cosa migliore è chiedersi, quale aspetto della mia salute vorrei privilegiare. Migliorare il controllo glicemico? Ridurre l’apporto di grassi migliorando il profilo lipidico e riducendo la pressione arteriosa o il peso corporeo? Le indicazioni dipendono da come si risponde alla domanda.
Alison Evert, dell’università di Washington, alla domanda in che percentuale deve essere distribuito l’apporto giornaliero di macronutrienti, ha risposto: dipende!
L’apporto giornaliero deve essere individualizzato sulla base della persona che ci troviamo di fronte, sul suo stile di vita e sui suoi obiettivi. La cosa migliore è chiedersi, quale aspetto della mia salute vorrei privilegiare. Migliorare il controllo glicemico? Ridurre l’apporto di grassi migliorando il profilo lipidico e riducendo la pressione arteriosa o il peso corporeo? Le indicazioni dipendono da come si risponde alla domanda.
Non assumere la colazione predispone ad un più alto rischio cardio-vascolare.
La colazione invece sembra aiutare ad avere una gestione postprandiale migliore durante la giornata, a patto di non assumere calorie eccessive.
Infine, il digiuno intermittente sembra legato al ritmo circadiano degli organi periferici, tanto che diventa importante trovare il momento giusto per ciascuno per mangiare.
La colazione invece sembra aiutare ad avere una gestione postprandiale migliore durante la giornata, a patto di non assumere calorie eccessive.
Infine, il digiuno intermittente sembra legato al ritmo circadiano degli organi periferici, tanto che diventa importante trovare il momento giusto per ciascuno per mangiare.
Evert ha affermato che uno dei motivi per cui non è in grado di fornire risposte generali sulle domande nutrizionali è la mancanza di evidenze univoche. Studiare gli effetti di una dieta non è facile come studiare i farmaci, a causa di problemi di compliance dei pazienti che tendono a modificare o abbandonare i piani alimentari prescritti.
Evert ha citato i dati del National Health Examination Survey raccolti tra il 1999 e il 2016. Il sondaggio ha esaminato i diari alimentari nelle 24 ore di 44.000 persone, osservando che consumavano circa il 50% delle loro calorie dai carboidrati, il 16% dalle proteine e il 33% dai grassi. I dati dell’indagine hanno evidenziato anche che le persone hanno mangiato meno carboidrati semplici negli ultimi 18 anni e stanno aumentando il consumo di cereali integrali, pollame, noci e grassi polinsaturi. Sfortunatamente, il 42% dei carboidrati consumati proviene da fonti di bassa qualità come cereali raffinati, succhi di frutta e patate.
L’ADA ha condotto una rigorosa revisione sistematica della letteratura e ha concluso che non esiste un mix ottimale di carboidrati, proteine e grassi per le persone con diabete, ha affermato Evert. Sicuramente i sensori in continuo della glicemia sono strumenti straordinari per verificare ‘di persona’ l’effetto di quell’alimento sulla glicemia.
Anche l’orario dei pasti può essere fondamentale per i pazienti che assumono insulina per ridurre al minimo l’iperglicemia e la variabilità della glicemia.
Maureen Chomko, della Neighborcare Health in Seattle, ha discusso di dolcificanti artificiali, di carboidrati netti e se i regimi a bassissimo contenuto di carboidrati sono sicuri.
I carboidrati netti sono calcolati sottraendo le fibre alimentari e gli alcoli degli zuccheri (polialcooli), che sono carboidrati non disponibili, dal conteggio totale dei carboidrati di cibi e bevande.
Il British Medical Journal pubblicò per la prima volta l’idea dei carboidrati non disponibili nel 1929 e il Dr. Robert Atkins e il marchio Atkins Diet resero popolare il termine “carboidrati netti” circa 70 anni dopo.
Chomko ha descritto “carboidrati netti” come un termine prevalentemente di marketing che cerca di dare una patina salutare ad un prodotto. In realtà, ad esempio, i polialcooli vengono in parte ritrasformati in glucosio a distanza di ore dalla loro assunzione.
Chomko ha osservato che i dolcificanti artificiali sono difficili da studiare perché vengono metabolizzati in modo diverso nei nostri corpi e in genere non vengono consumati isolatamente. Detto questo, ha citato una revisione sistematica e una meta-analisi di studi randomizzati controllati e studi di coorte pubblicati cinque anni fa sul Canadian Medical Association Journal che non hanno riscontrato effetti significativi sull’indice di massa corporea nelle persone che consumavano dolcificanti artificiali. Ci sono stati, tuttavia, aumenti di ipertensione, sindrome metabolica, diabete di tipo 2 ed eventi cardiovascolari. Nessuno sa perché questo accade, ha detto.
“La prova più forte sembra essere che i dolcificanti artificiali causano cambiamenti nel microbioma intestinale che portano a una diminuzione della tolleranza al glucosio e all’aumento del peso corporeo“, ha affermato Chomko, osservando che gli studi hanno dimostrato che i dolcificanti artificiali cambiano il microbioma nei roditori.
La posizione dell’ADA è che non ci sono prove sufficienti per determinare se i sostituti dello zucchero portino definitivamente a una riduzione a lungo termine del peso corporeo o dei fattori di rischio cardiometabolico, ha osservato Chomko.
Chomko ha anche citato una revisione della letteratura della National Lipid Association sugli effetti delle diete a bassissimo contenuto di carboidrati rispetto alle diete ricche di carboidrati e povere di grassi negli adulti con diabete a uno o due anni di follow-up.
La dieta a basso contenuto di carboidrati ha prodotto una tendenza verso un aumento del colesterolo LDL, sia pure non significativa statisticamente, a causa della maggiore assunzione di grassi saturi. Il colesterolo HDL è aumentato e i trigliceridi sono diminuiti, non solo nelle diete a bassissimo contenuto di carboidrati, ma anche a contenuto moderato e basso di carboidrati. “Quindi ciò potrebbe aiutare a migliorare l’aderenza per quei pazienti che non possono seguire questa dieta a bassissimo contenuto di carboidrati”, ha detto. “Possono provare un’assunzione a basso o moderato contenuto di carboidrati per abbassare i trigliceridi“.
Chomko ha scoraggiato le diete a basso contenuto di carboidrati o cheto per i pazienti che utilizzano inibitori del cotrasportatore di sodio e glucosio 2 (SGLT2) perché le diete potrebbero portare al decadimento glicemico e al rischio di chetoacidosi. Ha anche detto che le diete possono essere pericolose per i pazienti con nefropatia cronica.
Oggi fra gli argomenti più interessanti la rigenerazione beta cellulare e l’utilizzo del time in range come indicatore di riferimento per il buon controllo glicemico dei pazienti. Ma di questo vi darò conto domani, volendo essere un po’ esaustivo.
Non siamo ancora alla ‘cura‘, ma qualche passo in avanti, e forse più di qualcuno, lo vedrete, è stato fatto.
Non siamo ancora alla ‘cura‘, ma qualche passo in avanti, e forse più di qualcuno, lo vedrete, è stato fatto.
Buonanotte, e a risentirci domani!
Dr Andrea Scaramuzza
Responsabile Endocrinologia, Diabetologia & Nutrizione Pediatrica presso ASST di Cremona
Responsabile Endocrinologia, Diabetologia & Nutrizione Pediatrica presso ASST di Cremona