Cittadinanzattiva. Il Welfare che non c’è. Per anziani e malati cronici c’è solo la famiglia
È una strada in salita e piena di spine e di ostacoli quella che deve affrontare una famiglia quando deve prendersi cura di un malato cronico o raro, soprattutto se anziano. Il welfare italiano, infatti, è pieno di carenze. Ad alcune delle quali è possibile far fronte per proprio conto, ma a patto di sostenere costi assistenziali altissimi. Oppure al prezzo di enormi sacrifici personali, fino anche al licenziamento per rispondere alla necessità di prendersi cura notte e giorno del proprio caro.
Altre volte, però, la famiglia non può fare nulla per supplire alle carenze del sistema. Per non parlare di quando il paziente non ha nessun familiare su cui potere contare. Eppure, è proprio sull’assistenza agli anziani e ai malati cronici che il nostro Paese dovrebbe rivolgere la più alta attenzione. Perché questa condizione coinvolge una quota enorme di cittadini ed è in costante aumento. Come sottolinea l’XI Rapporto nazionale sulle politiche della cronicità “Emergenza famiglie: l’insostenibile leggerezza del Welfare”, realizzato dal Coordinamento nazionale delle Associazioni dei Malati Cronici (CnAMC) di Cittadinanzattiva.
In Italia, nel 2011, la popolazione che ha dichiarato di essere affetta da una patologia cronica è stata pari al 38,4% (nel 2010 era il 38,6%). La fascia di popolazione che presenta una maggiore incidenza di patologie croniche è quella dai 65 anni e più: 76,4% (65-74 anni) e 86,2% ( 75 e più anni). Le malattie o condizioni croniche più diffuse sono: l’artrosi/artrite (17,1%), l’ipertensione (15,9%), le malattie allergiche (10,3%), l’osteoporosi (7,2%), la bronchite cronica e asma bronchiale (6,1%), il diabete (4,9%). Lo stato di buona salute dei malati cronici diminuisce vistosamente all’aumentare dell’età: si passa dall’82,8% della fascia 18-19 anni al 30,7% della fascia 65-74 anni. Se si considera che la fascia di popolazione anziana rappresenta il 20,3% del totale della popolazione ed è destinata a crescere, è facile comprendere come le criticità legate alla sua assistenza non possono essere trascurate per il peso che rappresentano nel Paese. Una problematica di cui lo Stato è chiamato a rispondere, anche in considerazione del fatto che la fascia di popolazione anziana è quella caratterizzata anche da una maggiore incidenza di fenomeni di povertà relativa e assoluta, con valori pari rispettivamente nel 2010 al 12,2% e al 5,4%.
Sono molteplici e rilevanti, invece, le criticità dell’assistenza socio sanitaria erogata a favore della popolazione anziana con patologa cronica e rara. Alle quali spesso, poi, è la famiglia a rappresentare l’unica o comunque la maggiore risposta, come emerge dai dati forniti dalle Associazioni dei malati cronici che hanno collaborato al Rapporto. Si riscontrano difficoltà in caso di mobilità da una Regione all’altra, nella continuità assistenziale, nelle cure a domicilio, nell’accesso all’innovazione per protesi, ausili, farmaci, nell’accesso e nella qualità dell’assistenza erogata nelle strutture ospedaliere e residenziali/semiresidenziali, nelle procedure di riconoscimento dell’invalidità civile e handicap.
Il carico sociale ed economico sulle famiglie
La famiglia, come accennato, è il pilastro dell’attuale sistema di welfare, senza la quale una persona anziana con patologia cronica e rara è nell’impossibilità di invecchiare nel miglior modo possibile, e di accedere a tutti i servizi di cui ha bisogno. La famiglia colma i bisogni assistenziali non solo provvedendo all’assistenza diretta alla persona, ma anche mettendo fortemente mano al proprio portafoglio. Ciascuna famiglia dedica mediamente all’assistenza del familiare anziano oltre 5 ore al giorno. Tale situazione per circa il 93% delle Associazioni non permette ai componenti delle famiglie di conciliare l’orario lavorativo con le esigenze di assistenza, al punto che il 53,6% delle Associazioni riceve segnalazioni di licenziamenti e mancati rinnovi o interruzioni del rapporto di lavoro.
A tutto ciò va aggiunta la difficoltà crescente per le famiglie di fronteggiare l’onere economico correlato, che impatta significativamente sui redditi familiari. Solo per fare alcuni esempi, le famiglie mediamente spendono in un anno 8.488 euro per il supporto assistenziale integrativo alla persona. Ai quali vanno aggiunti 1.127 euro per farmaci non rimborsati dal Ssn, 1.297 euro per l’acquisto di parafarmaci, 3.178 euro per lo svolgimento di visite, esami o attività riabilitativa a domicilio, per un totale che supera i 14 mila euro. Praticamente quasi il doppio della cifra eventualmente percepita a titolo di indennità di accompagnamento, pari in media a circa 490 euro mensili (5.580 euro all’anno).
Ben 13.946 euro, in media, è invece il costo per la retta delle strutture residenziali e/o semiresidenziali.
“Siamo di fatto in presenza di una vera e propria delega assistenziale attuata da parte dello Stato nei confronti delle famiglie, attraverso drastici tagli alle risorse destinate al welfare sanitario e sociale, e un sistema di assistenza sanitaria territoriale che, oltre a non essere complessivamente in grado di far fronte al bisogno di salute dell’anziano malato cronico, non guarda al mantenimento dell’autosufficienza e alla dignità della persona e si caratterizza per un’offerta assistenziale profondamente differenziata da Regione a Regione”, commenta il Coordinamento. Che sottolinea come sussista inoltre una difficoltà di accesso da parte dei pazienti ai farmaci e dispositivi medici innovativi: “Le risorse a disposizione sono sempre di meno e ciascuna Regione decide se e quando renderli accessibili. L’accesso alle indennità di invalidità civile e di accompagnamento, unico vero supporto ancora fornito dallo Stato, oggi è messo seriamente e costantemente in discussione da procedure di accertamento lente e poco trasparenti, oltre che da criteri di accertamento dei requisiti dell’accompagnamento modificati indebitamente al ribasso. La necessità di tutelarsi legalmente cresce progressivamente, con costi ingenti che gravano ancora una volta sul reddito del cittadino”.
Continuità assistenziale
Al momento delle dimissioni sono le famiglie a fare tutto. Il 76% delle Associazioni che hanno contribuito alla realizzazione dei dati del Rapporto segnala la mancata attivazione dell’assistenza domiciliare contestualmente alle dimissioni. Il 51,9% afferma che al momento delle dimissioni il medico di medicina generale fornisce solo le indicazioni degli uffici Asl ma per l’attivazione dei servizi necessari devono provvedere di fatto i familiari.
Medico di medicina generale
Per il 70,3% delle Associazioni il medico di medicina generale non si integra con lo specialista, mentre per il 59,2% non forma ed informa il paziente, i familiari ed il caregiver sulla corretta gestione della patologia. Per il 72,4% delle Associazioni il medico di medicina generale non svolge la funzione di coordinamento degli interventi tra tutti i professionisti coinvolti. Non c’è una regia degli interventi, di fatto è demandata al paziente o alla famiglia. Inoltre, per il 46,4% delle Associazioni il medico di medicina generale presta poca attenzione alla rilevazione del dolore.
Assistenza Domiciliare Integrata (Adi)
Il 73% delle Associazioni afferma che l’Adi è erogata solo in alcune realtà. Per il 65,3% la principale criticità è la sua attivazione, segue per il 50% la scarsa integrazione degli interventi di natura sanitaria e sociale e il numero di ore insufficienti. Per il 61,5% delle Associazioni l’Adi è poca adeguata al bisogno di salute, mentre per il 96,1% non garantisce la presenza di tutte le figure professionali. La figura professionale maggiormente carente è il fisioterapista. Il 70,8% delle Associazioni riscontra la mancanza di azioni per il mantenimento dell’autosufficienza, mentre il 54,1% poco attenzione per la movimentazione del paziente per evitare le lesioni da decubito.
Assistenza protesica e integrativa
Le principali criticità si riferiscono per il 68% delle Associazioni ai tempi di attesa per il rilascio, segue per il 56% la difformità regionale dell’assistenza, nonché per il 44% la questione dei costi dovuti alla non erogazione del dispositivo specifico. L’innovazione, infatti, secondo il 69,6%, è accessibile, ma solo in alcune Regioni.
Assistenza socio sanitaria residenziale e semiresidenziale
Esiste un problema di tempi di attesa per l’accesso: per il 39,1% delle Associazioni si attende dai 3 ai 6 mesi. Il 79,2% ritiene l’assistenza erogata di livello mediocre. Per il 91,3% l’assistenza erogata da queste strutture non garantisce la presenza di tutte le figure professionali, inoltre per il 62,5% sono frequenti i casi di mancata movimentazione per prevenire l’insorgenza delle lesioni da decubito. Per l’81% delle Associazioni non vengono attuate misure per il mantenimento dell’autosufficienza. Il 43,5% delle segnala che si verificano anche forme di maltrattamento, che riguardano soprattutto l’abbandono del paziente (70%), la trascuratezza dell’igiene (70%), piaghe da decubito (60%). Per il 56,5% delle associazioni non viene rilevato il dolore, che generalmente viene sminuito.
Assistenza farmaceutica
Per il 51,9% delle Associazioni l’assistenza farmaceutica è mediamente rispondente al bisogno di salute dei pazienti. Nonostante ciò, permangono rilevanti criticità quali tempi eccessivamente lunghi da parte dell’Aifa per l’autorizzazione all’immissione in commercio e la rimborsabilità di alcuni farmaci per il 55,2% delle Associazioni; limitazioni ad accedere alle terapie da parte delle aziende ospedaliere e le ASL per motivi di budget (55,2%). E’un ambito di assistenza caratterizzato da un regionalismo esasperato, attraverso l’utilizzo improprio dei Prontuari terapeutici regionali/ospedalieri, che di fatto non offre le stesse opportunità terapeutiche a tutti i cittadini. Un ulteriore problema fortemente avvertito dal 61,5% delle Associazioni è il mancato accesso delleterapie innovative.
Invalidità civile
Particolarmente critico l’accesso alle indennità d’invalidità civile e accompagnamento. Il 77% dichiara di avere problemi di accesso all’indennità di accompagnamento, anche perché per l’80,8% i relativi requisiti per il riconoscimento sono stati inaspriti ingiustamente (stessa difficoltà per la L. 104/92 art. 3 comma 3). Il 72% delle Associazioni segnala di non aver riscontrato, con l’informatizzazione della procedura, una vera semplificazione e riduzione dei tempi dell’intero iter. Il 60% riscontra che i cittadini sono costretti a effettuare una doppia visita di accertamento (Asl e Inps), a causa, tra l’altro, dell’assenza del medico Inps nelle Commissioni Asl (48%), con ingenti costi per lo Stato (doppie commissioni Asl – Inps). Il 43,5% delle Associazioni ha assistito a convocazioni a visita avvenute con modalità non previste dalla Legge: 66,6% con lettera semplice, 41,6% con una telefonata, 33,3% attraverso sms. Per l’80,8% i criteri di accesso alle indennità di accompagnamento sono stati inaspriti ingiustamente dall’Inps. Di conseguenza, il 73% delle Associazioni, denuncia un aumento dei contenziosi avverso i verbali di invalidità emessi dall’Inps, che inoltre non possono essere impugnati dopo il primo grado di giudizio.
Politiche pubbliche sanitarie e sociali
Per le associazioni aderenti al Coordinamento “Particolarmente preoccupanti” sono i dati che emergono dall’analisi civica delle politiche pubbliche sanitarie e sociali. “Queste ultime, oltre a non fornire risposte adeguate alle difficoltà denunciate dalle Associazioni dei malati cronici, aggravano di molto la situazione. Siamo in presenza di politiche economiche che sovrastano e mettono all’angolo le politiche socio-sanitarie del nostro Paese, che guardano all’economicità dell’azione statale e al contenimento della spesa nel breve periodo, piuttosto che al raggiungimento dell’obiettivo di salute della popolazione e al contenimento dei costi nel lungo periodo”.
Secondo il CnAMC, gli assi di queste politiche consistono in:
• tagli drastici e orizzontali alle risorse sanitarie e sociali, riduzioni dei trasferimenti erariali nei confronti dei Comuni (aggravati dai vincoli stabiliti dal patto di stabilità interno), “con un impatto sempre più negativo sulla garanzia dei Livelli Essenziali di Assistenza sanitaria e sul mantenimento dei servizi e degli interventi sociali dei Comuni, con particolare riguardo a quelli del Mezzogiorno”;
•aumento dell’incidenza dei ticket sanitari e delle super aliquote (in particolare nelle Regioni con Piani di rientro) “delineando, tra l’altro, un sistema da questo punto di vista profondamente iniquo e non giustificato da una migliore offerta quali-quantitativa di prestazioni”;
• difformità regionali dal punto di vista dell’offerta dei servizi sanitari (in particolare assistenza sanitaria territoriale e assistenza farmaceutica) e sociali, “non in grado di garantire a tutti i cittadini le stesse opportunità e gli stessi diritti di cura e di assistenza”.
Secondo il Coordinamento, in questa situazione, “probabilmente nel prossimo futuro tutte le Regioni, anche quelle più virtuose, saranno costrette ad adottare un Piano di rientro con tutto ciò che questo produce: super aliquote, aumento dei ticket, riduzione non dichiarata dei Lea”.
Inoltre, con particolare riferimento al Ssn, aggiunge il CnAMC, “ in tutti questi anni non si è inciso selettivamente sugli aspetti realmente patologici del Sistema, come ad esempio l’organizzazione dell’assistenza sanitaria territoriale. Quest’ultima pur assorbendo molte risorse, circa 40 miliardi di euro annui, si caratterizza per un’offerta non in grado di rispondere al bisogno di salute della collettività, e profondamente differenziata a livello regionale, con situazioni particolarmente critiche nel Mezzogiorno. Tale criticità, in tempi di spending review, riduzioni di posti letto ospedalieri e piani di rientro, si traduce per i cittadini di alcune realtà, più che di altre, in un vero e proprio vuoto assistenziale. Eppure, se bene organizzata, resa uniformemente efficiente ed efficace, l’assistenza sanitaria territoriale potrebbe rappresentare una leva importante per la sostenibilità del Ssn. Questo è uno degli esempi più eclatanti della mancanza di programmazione che caratterizza oggi le nostre politiche sanitarie, e di incapacità da parte del livello centrale di migliorare le capacità di governance dei Ssr”.
Tra gli errori della politica, il Rapporto cita, tra gli altri, “l’inadeguatezza del tetto programmato complessivo di spesa per l’assistenza farmaceutica rispetto il reale bisogno di salute della collettività”, con particolare riguardo a quella ospedaliera, che “spiega le difficoltà di accesso ai farmaci ospedalieri e innovativi segnalate dai pazienti a livello regionale”.
Ticket farmaceutici insostenibili
In tutto cioè, l’incidenza del ticket è aumentata, ma non solo quella. C’è anche il sistema delle maxi aliquote. “Nel 2011 – spiega il Rapporto – l’incidenza dei ticket per diagnostica – specialistica – farmaci e delle maxi aliquote ha visto un aumento rispetto al 2010 del 5,9%. La spesa pro capite per ticket sanitari e maxi aliquote è passata da un minimo di 30 euro della Sardegna, ad un massimo di 181 euro del Lazio. “Situazione è suscettibile di ulteriori aggravi, vista la possibilità per le Regioni con piano di rientro (introdotta con la Spending Review), di aumentare ulteriormente l’addizionale Irpef dallo 0,5% sino all’1,1% a partire dal 2013, incidendo ancora una volta sulla situazione economica delle famiglie”, sottolinea il Rapporto. In ambito farmaceutico, in particolare, l’incidenza dei ticket è aumentata molto negli anni, passando da 539 milioni di euro del 2007 ai 1.337 milioni di euro del 2011, praticamente più del doppio; nel 2011 la variazione rispetto al 2010 è stata del +34%.
Cosa fare, allora?
Le proposte del Coordinamento nazionale delle Associazioni dei Malati Cronici
“Se si considera che la famiglia, vero pilastro del Welfare, per fare fronte a questa necessità si trova a dover rinunciare in molti casi al proprio lavoro con un impatto negativo sull’economia generale del Paese, è evidente che un sistema di Welfare virtuoso e adeguatamente finanziato non rappresenta certamente un costo per il Paese ma al contrario un fattore di sviluppo e un volano per l’economia”.
Per realizzzarlo, il CnAMC suggerisce quindi di:
• definire e approvare i Livelli Essenziali di Assistenza Sociale (LIVEAS);
• rifinanziare i Fondi nazionali a carattere sociale, con particolare riguardo al Fondo Nazionale per le Politiche sociali;
• prevedere l’obbligatorietà di un unico momento per l’accertamento dei requisiti sanitari per il riconoscimento dell’invalidità civile e delle relative indennità economiche, evitando così al cittadino l’attuale doppia visita;
• riorganizzare, potenziare e avviare un’attività di valutazione dell’assistenza sanitaria territoriale. In particolare si auspica per i MMG la diffusione della medicina associativa e la completa informatizzazione. Per l’assistenza domiciliare integrata, per l’assistenza residenziale e semiresidenziale, nonché per la riabilitazione, si auspicano livelli uniformi di offerta assistenziale su tutto il territorio nazionale;
• eliminare i Prontuari Terapeutici Ospedalieri Regionali vincolanti, al fine di garantire uniformemente i LEA definiti dall’AIFA in ambito farmaceutico;
• prevedere forme permanenti di coinvolgimento delle Organizzazioni civiche di tutela del diritto alla Salute nelle politiche farmaceutiche;
• aggiornare l’elenco ministeriale delle patologie croniche e invalidanti, l’elenco delle patologie rare, nonché il nomenclatore tariffario dei presidi, delle protesi e degli ausili.