Covid19: quale vaccino? Quando, come e perché vaccinarsi e vaccinare
“I vaccini, insieme all’acqua potabile, hanno cambiato le sorti della salute e hanno portato a un aumento importante dell’aspettativa di vita. Finora i vaccini hanno consentito di prevenire 3 miliardi di casi e 500 milioni di decessi per malattie vaccinabili nel mondo. Dal 2011 al 2020 i vaccini hanno anche consentito di prevenire 7000 casi di malattia ogni giorno.” ha dichiarato il prof. Giuliano Rizzardini, infettivologo dell’ASST Fatebenefratelli Sacco di Milano e coordinatore scientifico di MedCommunity nell’introduzione al primo live streaming dell’anno 2021, dedicato agli MMG e specialisti, organizzato da MedCommunity con il contributo non condizionante di Laboratori Guidotti.
I vaccini sono i farmaci che si sono dimostrati più efficaci, dal 100% per il vaccino contro la poliomielite al 90% per i vaccini contro i meningococchi di tipo B e C; questa efficacia è molto superiore a quella di moltissime terapie standard contro altre malattie, come può essere la terapia contro il diabete, malattia considerata “curabile” (con un’efficacia per la terapia standard del 57%).
Le evidenze dovrebbero quindi portare tutte le persone, che non presentino controindicazioni specifiche, a vaccinarsi; l’attitudine a vaccinarsi però diminuisce nel tempo. La Vaccine Hesintancy (l’esitazione alle vaccinazioni) è stata definita come una delle dieci principali preoccupazioni che andranno a impattare sulla salute globale nel mondo.
Sviluppare i vaccini contro il virus Sars-Cov-2 è stata una sfida a livello mondiale. “È la prima volta nella storia dell’uomo che riusciamo a sviluppare così velocemente vaccini contro patogeni nuovi” ha commentato il Prof. Mario (Mago) Clerici, Cattedra di Immunologia e Immunopatologia, Università degli Studi di Milano.
Quali sono i vaccini in commercio
“Un vaccino utilizza materiale antigenico (proteine, RNA, ecc.) del patogeno, privato della tossicità per indurre il priming dei linfociti vergini e trasformarli in cellule della memoria. Un vaccino trasforma quindi la natura della risposta immune da primaria a secondaria. La risposta immune primaria è infatti molto più lenta e più debole di quella secondaria; la risposta secondaria protegge molto prima e molto meglio” ha dichiarato Clerici. La cellula vergine esposta per la prima volta a un patogeno si trasforma in una serie di cellule (TH1, TH2, TH17, ecc.) con l’obiettivo di uccidere il patogeno. Una piccola parte di queste cellule di trasforma in cellule della memoria centrale e questi linfociti di memoria a lunga vita restano in circolo per anni e mediano la risposta immune secondaria e quindi la risposta vaccinale. Quando si verifica il primo contatto con un patogeno per il quale siamo vaccinati, la risposta è comunque mediata dalle cellule della memoria centrale, come se fossimo già stati in contatto con la malattia.
Il vaccino idealmente deve indurre la produzione di anticorpi, in quanto questi si legano al patogeno, ne neutralizzano l’infettività e impediscono che vengano infettate le cellule, e la generazione di linfociti T citotossici, che riconoscono e uccidono le cellule infettate. Idealmente un vaccino dovrebbe indurre la generazione di anticorpi non solo a livello ematico ma anche a livello delle mucose che entrano in contatto con il patogeno stesso.
Riguardo il virus Sarc-Cov-2, nel giro di 9 mesi siamo passati dall’identificazione del virus allo sviluppo clinico e all’utilizzo nella pratica di più di un vaccino altamente protettivo nei confronti di questa infezione, con 60 vaccini in fase di sviluppo clinico e oltre 170 in sviluppo preclinico.
I vaccini a mRNA sono i più rivoluzionari, arrivati in commercio per primi e che funzionano meglio (Pfizer e Moderna). Questi contengono l’RNA della proteina spike (la proteina che consente la penetrazione del virus all’interno delle cellule dell’ospite) del Sars-Cov-2, incorporato all’interno di liposomi; una volta somministrato, il liposoma si fonde con le cellule dell’organismo ospite; l’mRNA indurrà all’interno delle cellule la produzione di proteina spike, che saranno espresse sulla superficie cellulare e stimoleranno la produzione di anticorpi da parte dei linfociti B. Alcune delle proteine spike entreranno anche in contatto con i linfociti T killer che saranno da quel momento in grado di distruggere le cellule eventualmente infettate che presentano la proteina spike sulla loro superficie. Nel frattempo, l’mRNA viene degradato.
Non sono vaccini quindi basati sulla somministrazione di proteine virali, ma sulla somministrazione di mRNA che indurrà la produzione delle proteine virali. Il tasso di efficacia (inteso come la capacità del vaccino di indurre la generazione di anticorpi) è molto elevato per entrambi i prodotti sviluppati con questa metodica, intorno al 95%. Questi vaccini funzionano molto bene, aumentando la concentrazione sia dei linfociti B sia dei linfociti T citotossici. L’efficacia è ottimale quando si utilizzano due dosi di vaccino, a distanza di 15-28 giorni.
I vaccini con vettore virale (AstraZeneca, Johnson & Johnson, Sputnik) utilizzano un guscio di adenovirus (virus influenzale), svuotato del materiale genetico originale e sostituito con i geni del Sars-Cov-2.
L’adenovirus viene inglobato dalla cellula dell’ospite, il materiale genetico entra nel suo nucleo e trascritto a mRNA; a questo punto il processo immunitario segue la stessa via dei vaccini a mRNA.
Nel vaccino AstraZeneca si utilizza per entrambe le somministrazioni lo stesso adenovirus; ciò potrebbe essere un problema in quanto lo stesso adenovirus è antigenico e tra le due somministrazioni è possibile la produzione di anticorpi contro lo stesso adenovirus; di conseguenza potrebbe diminuire l’efficacia della vaccinazione. L’efficacia è compresa tra il 62 e il 90% in relazione al dosaggio della prima somministrazione.
Nel vaccino AstraZeneca si osservano delle curve di titoli anticorpali più bassi nei soggetti sopra i 65 anni; da qui l’indicazione per un suo utilizzo preferenziale in soggetti con età minore di questa soglia. Dati aggregati di uno studio effettuato in UK e in Brasile mostrano una buona efficacia, intorno al 60%.
Anche il vaccino Johnson & Johnson è costruito allo stesso modo: lo stesso adenovirus per le due somministrazioni e materiale genetico del Sars-Cov-2. L’efficacia risulta del 72% degli USA, del 66% in Sud America e del 57% in Sud Africa, probabilmente per una minore efficacia su alcune varianti del virus.
Nello Sputnik 5 si utilizzano invece due adenovirus diversi e l’efficacia è molto superiore a quella del vaccino AtraZeneca, con valori superiori al 91,5%.
Esistono anche i vaccini classici, da virus inattivato, con metodica analoga al vaccino antipolio di Sabin. Il Sinopharm ha un’efficacia di circa l’80%, il Sinovac del 50%.
L’ultimo tipo di vaccino è quello a subunità proteiche (Novavax). È un preparato contenente le proteine virali, senza materiale genetico. Si utilizza un mix di proteine virali, somministrato insieme a un adiuvante che ottimizza la risposta immune. È somministrato in due dosi e ha un’efficacia di circa il 90%, anche se è risultata molto minore (circa il 55%) in Sud Africa.
Nel caso di vaccini somministrati in due dosi, si è osservato che normalmente la protezione inizia a essere buona dopo 14 giorni dalla prima somministrazione e dopo la seconda dose raggiunge il suo massimo.
Il problema delle mutazioni
Al momento le varianti note del virus Sars-Cov-2 sono tre, la britannica, la sudafricana e la brasiliana, che causano mutazioni nella proteina spike.
Nella variante britannica, le mutazioni sono due che aumentano sia l’infettività del virus perché consentono alla proteina spike di legarsi meglio alle proteine dell’organismo ospite sia la produzione della proteina spike stessa. Non ci sono mutazioni che permettono al virus di sfuggire agli anticorpi indotti dai vaccini.
Nelle varianti sudafricana e brasiliana, invece, è presente una mutazione (E484K) che sembra diminuire il riconoscimento del virus da parte degli anticorpi indotti dai vaccini.
Il vaccino Pfizer non mostra una diminuzione della propria efficacia quando utilizzato per neutralizzare la variante britannica o sudafricana; con il vaccino Moderna, non si osserva una diminuzione di efficacia verso la variante britannica ma una minima diminuzione di efficacia per la variante sudafricana. Essendo però i vaccini a mRNA molto flessibili, è molto semplice cambiare, se servirà, il vaccino al fine di avere dei composti in grado di fronteggiare in modo ottimale le varianti che potranno insorgere.
Chi vaccinare?
Il Prof. Claudio Cricelli, Presidente della Società Italiana di Medina Generale (SIMG), evidenzia: “Sono aumentate di un fattore sette il numero delle telefonate verso i medici; le telefonate sono state lo strumento principale di comunicazione negli ultimi mesi, ma la domanda principale è ora “quando mi vaccinerò?” seguita da “Con quale vaccino?” per arrivare all’ultima domanda: “Funzionerà?”. Sono queste le tre domande che tutti si pongono”.
In generale, escluse variabili regionali, dovremmo essere alla fine della prima fase, con la vaccinazione del personale sanitario, del personale e degli ospiti delle RSA e degli over80 e stiamo entrando nella seconda, con la vaccinazione degli over 55 (suddivisi per scaglioni in base all’età) e dei pazienti fragili.
La scelta di quale vaccino somministrare a una determinata fascia di popolazione dipende dalle scelte regolatorie di Ema/Aifa e della stessa OMS. I circa 36 milioni di vaccini (nei primi 3 trimestri) di Pfizer e Moderna devono bastare a vaccinare tutte le persone sopra i 65 anni. Certe oscillazioni nelle campagne vaccinali dipendono quindi da questi quantitativi e dalla loro consegna.
Le singole regioni agiscono infine in modo diverso all’interno della stessa categoria di popolazione; se in Calabria è la ASL a convocare i pazienti da vaccinare, nel caso del Piemonte sono i medici che definiscono la priorità dei pazienti in relazione a criteri di vulnerabilità. In Toscana la prenotazione deve essere fatta dal medico di famiglia. Altre regioni (Abruzzo, Campania ed Emilia Romagna) hanno invece ipotizzato delle piattaforme di prenotazione.
Sono efficaci i vaccini?
Se si analizzano i dati relativi alle 523.000 persone vaccinate in Israele, si osserva che i decessi sono stati azzerati e sono stati osservati solo 4 casi di forme gravi. Il profilo di sicurezza è assolutamente positivo.
Sembra inoltre, anche se non si hanno ancora dati certi al riguardo, che la copertura offerta dalle vaccinazioni duri almeno 7-8 mesi, anche se potrebbe durare anche anni, come succede normalmente per i vaccini virali con l’esclusione del virus influenzale, che però presenta caratteristiche atipiche. I Coronavirus sono virus molto grandi con un genoma molto complesso che varia molto lentamente; basti dire che il Sars-Cov-2 è analogo al 98% a un Coronavirus dei pipistrelli.
Essendo peraltro le piattaforme costruite per questi vaccini molto facili da modificare, è relativamente facile creare vaccini in grado di contrastare anche le varianti.
Conclusioni
Il raggiungimento dell’immunità di gregge è fondamentale, ma per ottenerla le vaccinazioni devono essere effettuate a ritmi sostenuti, anche per evitare la propagazione di varianti che sfuggono alla vaccinazione stessa. Stime recenti indicano per l’Italia il raggiungimento dell’immunità di gregge tra 59 mesi, se non si cambia il ritmo di vaccinazione.
I medici di medicina generale, se adeguatamente formati e forniti di tutti i supporti necessari, sono in grado di supportare una vaccinazione di massa della popolazione, attività peraltro già effettuata per la vaccinazione anti-influenzale.
da PHARMASTAR