Coxsackie B4

D:

Buongiorno, vorrei fare alcune domande al prof Dotta, riguardo al legame tra Coxsackie B4 e diabete t1.

Sono un diabetico tipo 1 di recente diagnosi (dicembre), ho 24 anni.

Ho letto con interesse il vostro articolo pubblicato su PNAS, anche se non ho le competenze per comprenderlo pienamente; mi ha aiutato la sua intervista su Portale Diabete, e purtroppo non ho potuto partecipare alla chat di martedì.

Da come ho capito voi avete osservato in 3 soggetti diabetici su 6 la presenza del virus in concomitanza con insulite, cioè ridotta produzione di insulina senza distruzione di cellule beta. Tuttavia quei soggetti erano diabetici, ovvero una risposta autoimmunitaria c’era, o sbaglio? Ovvero, il diabete tipo 1 si presenta prima come insulite senza distruzione delle cellule beta e poi come distruzione causata dai globuli bianchi? E tuttavia gli anticorpi caratteristici del diabete t1 si trovano fin da subito.

Mi ha colpito molto la vostra ricerca, perché nell’agosto 2006 sono stato in Romania per volontariato, in condizioni igieniche non ideali, e ho avuto un episodio di gastroenterite acuta; tra i sintomi ho avuto anche molta difficolta’ a respirare, sintomo che ho scoperto e’ tipico dell’infezione da Coxsackie B4.

A inizio ottobre 06 ho avuto i primi sintomi di diabete, diagnosticato a dicembre.

Alla luce della vostra ricerca, nel caso il virus ad agosto sia stato Coxsackie B4, è possibile che tale virus sia ancora presente nel mio pancreas dopo vari mesi (come per i vostri soggetti)? Esistono esami al riguardo (che non distruggano il pancreas…)? Mi rendo conto di tirare per le corde il vostro lavoro, ma in tal caso fermare il virus potrebbe rallentare la risposta autoimmunitaria? E so che purtroppo ora non esistono antivirali per il Coxsackie B4.

Ho deciso di farle queste domande perché non conosco bene la mia malattia ed essendo all’esordio mi chiedo se sia davvero cosi’ inevitabile il suo decorso, specialmente ora che ho ancora un buon numero di cellule beta. E’ facile farsi grandi aspettative, da scaricare su scienziati come lei, ma mi basterebbe avere una risposta che mi chiarisca le idee sullo stato attuale della ricerca.

La ringrazio molto per il suo prezioso lavoro.

Buona giornata

G. B.


R:

Caro G.,

grazie per le domande, assolutamente pertinenti.

Le sue deduzioni circa il nostro lavoro sono corrette: nei soggetti con diabete tipo 1 risultati positivi per il nostro virus era presente una reazione autoimmunitaria contro le isole pancreatiche, essendo infatti tutti positivi per autoanticorpi.
Tuttavia, al momento della nostra osservazione, abbiamo osservato che le cellule del sistema immunitario presenti nelle isole pancreatiche erano di tipo Natural Killer (NK) e non i soliti linfociti T. Inoltre, abbiamo osservato un discreto numero di cellule beta pancreatiche (quelle che producono l’insulina) ancora presenti, ma non in grado di funzionare, ossia capaci di secernere l’insulina stessa. I linfociti T autoreattivi, pur non presenti nelle isole pancreatiche, erano presenti nel sangue periferico, a conferma di una risposta autoimmunitaria che comunque, in questo paziente, c’era stata, anche se non di tipo completamente distruttivo. Noi riteniamo quindi che in questi pazienti con una risposta immunitaria presente, ma non completamente distruttiva, un’infezione virale come quella da noi messa in evidenza, possa contribuire all’esordio clinico della malattia andando ad interferire con la normale funzione delle cellule beta, indebolendole.

Per quanto riguarda il suo caso, un paio di puntualizzazioni:
• È possible stabilire se un soggetto abbia avuto un’infezione da Coxsackie B4 attraverso dosaggio degli anticorpi specifici. In caso di positività, la presenza di anticorpi di tipo IgG ci dice che l’infezione non è recente (mesi o anni), mentre la presenza di anticorpi di tipo IgM ci dice che l’infezione è recente. Nel suo caso, un simile dosaggio potrebbe informarci sull’avvenuta infezione da parte di questo virus, ma non ci permetterebbe di “datarla” con precisione (mi riferisco soprattutto al suo soggiorno in Romania), a meno che lei avesse effettuato un simile dosaggio prima del viaggio e che questo fosse risultato negativo. Non vi è invece modo di sapere che l’eventuale virus sia ancora presente nelle cellule beta, ma questo non ha importanza dal punto di vista clinico, dal momento che l’eventuale cronicizzazione dell’infezione rimane comunque un fenomeno circoscritto alle cellule infettate e non si estende ad altre cellule beta o ad altri organi.
• In base ai nostri risultati, ‘fermare il virus’, non rallenterebbe la risposta immunitaria; piuttosto eliminerebbe un elemento che indebolisce le cellule beta.

Non esiti a porre ulteriori quesiti

 

D:

La ringrazio molto della rapidita’ e della puntuale risposta alle mie domande.

Vorrei porle ancora una questione: ho letto che gli anticorpi tipici del diabete t1 possono essere presenti anche in soggetti che non hanno (ancora) manifestato diabete, e si puo’ dire che sono in tal caso predisposti.

Ma se tali soggetti hanno questi anticorpi, si creano sicuramente linfociti T che distruggono (poche) cellule beta, anche senza insorgenza del diabete (intendo iperglicemia)? Ovvero c’e’ una soglia oltre la quale il diabete sicuramente si manifesta? Intendo con questo chiederle se si puo’ dire che il virus amplifica una risposta immunitaria gia’ presente, ma non tale da dare iperglicemia.

Mi chiedo cioe’, riguardo all’ultimo punto della sua risposta, se non sia proprio l’insulite “data” dal virus a causare l’iperglicemia, ma, eliminata quella, la sola risposta autoimmunitaria non sarebbe cosi’ grave (tollerabile cioe’, come in chi e’ predisposto ma non ha il diabete).

Spero di essermi spiegato, la ringrazio molto della disponibilita’ e rinnovo il mio apprezzamento.

Buonasera

G. B.

R:

Caro G.,

grazie per la questione aggiuntiva che mi permette di approfondire un aspetto, quello degli autoanticorpi, sicuramente importante anche perchè ne sappiamo molto di più:
Autoanticorpi diretti contro componenti della cellula beta sono presenti in oltre l’80% dei pazienti con diabete tipo 1 alla diagnosi. Questi sono diretti essenzialmente contro 3 autoantigeni: l’insulina, la GAD, la tirosina fosfatasi IA-2. Inoltre, studi pluriennali effettuati in tutto il mondo su soggetti a rischio di diabete (soprattutto parenti di 1° grado di soggetti con diabete tipo 1) hanno premesso di chiarire un fatto molto importante; ossia che questi autoanticorpi precedono di mesi o anche di anni l’esordio clinico della malattia, andando quindi ad identificare una popolazione di soggetti, ancora non diabetici, ad aumentato rischio di malattia. E’ stato calcolato che nei parenti di 1° grado di soggetti con diabete tipo 1, il rischio di malattia è il seguente:
Assenza di autoanticorpi= rischio di diabete <2%
Presenza di 1 solo autoanticorpo (a prescindere da quale) = rischio di diabete 25% a 15 anni
Presenza di 2 autoanticorpi = rischio di diabete 60% a 10 anni
Presenza di tutti e 3 gli autoanticorpi = rischio di diabete 80-90% a 6 anni.

Ciò detto, sappiamo anche che gli autoanticorpi sono prodotti dai linfociti B (e non dai T) e non causano nessun danno alla cellula beta. Sono come delle “spie” che ci suggeriscono che qualcosa non va tra il nostro sistema immunitario e le cellule beta, e che più numerosi sono e più è “dannosa” la reazione immunitaria, pur non essendoci una soglia precisa. I linfociti che distruggono le cellule beta, sono invece i linfociti T. Tuttavia le metodiche per misurare l’autoreattività T-cellulare nei confronti di antigeni della cellula beta sono ancora molto indaginose, non sono state standardizzate ed inoltre possono essere effettuate su pochi pazienti; in sostanza sono inutilizzabili per fini clinico-diagnostici.
Per quanto riguarda il rapporto tra l’infezione virale e la risposta autoimmunitaria, i dati in nostro possesso non indicano un ruolo del virus nell’amplificare una risposta immunitaria già presente, quanto piuttosto un ruolo nell’indebolire la cellula beta, già attaccata dal sistema immune. Va anche detto che molti soggetti sviluppano il diabete in assenza di infezioni virali a carico delle beta-cellule, a dire che la reazione autoimmunitaria è spesso sufficiente a determinare l’esordio della malattia.

Un caro saluto e grazie per le domande, tutte molto interessanti

Prof. Francesco Dotta

 

Direttore U.O. di Diabetologia – Policlinico “Le Scotte”
Dip. di Medicina Interna, Scienze Endocrine e Metaboliche, Università di Siena