Cronaca di un esordio

Cronaca di un esordio: ci guardavamo attoniti, sbigottiti. Inermi. Io e mia moglie. Iper? Ipo? Glicemie? Aghi? Penne? Malattia cronica?..”può essere un errore, vero?” No. Ed ancora, “gli esami si ripeteranno vero?”. No, non è necessario. “Si, ma…tutto può rientrare?” No. “Si può guarire, vero?” No. “Ma con la crescita tutto potrà rimettersi a posto?” No…ed i No si susseguirono come in una sequenza matematica. Alla fine i No furono talmente tanti che a mia moglie si accese una lampadina. Finalmente: “potremo continuare a vivere e soprattutto, lui, potrà vivere e star bene ugualmente?”…S’intravide una lucina flebile. Si!! Rispose il nostro medico tutor. Dovrete essere forti, ci vorrà pazienza, ci saranno momenti difficili, si parla di una malattia grave, che crea disabilità. Che non guarisce ma che si cura. Ricordo i sabati sera dalla nonna col piatto forte della tavola: la pasta alle vongole. E chiesi, inebriato e rincoglionito da si tante nozioni: “ma la pasta alle vongole, potrà continuare a mangiarla?”. Mi sento ridicolo solo a ripensarci

In tutto questo, lui, l’attore principale, saltellava a destra ed a manca per scansare le beffarde infermiere che si facevano beffa del suo pancino (e del suo culetto) per farlo vivere. Come se niente fosse…non eravamo più padroni di niente! Ricordo l’uscita dall’ospedale, dopo 2 giorni di glicemie passabili. Un 277 alla dimissione, dopo pranzo, che fu tutto un programma…l’infermiera che mi guardò e mi chiese, dura ed arcigna: “cosa gli ha fatto mangiare???”. Ma, ma, ma, ma…(balbettai una decina di volte), glielo avete dato voi da mangiare, e l’insulina gliela avete fatta voi
Capii in quel momento che era meglio mettersi in moto, accantonare i nostri sogni di normalità, accettare che lo tsunami aveva disintegrato le nostre fortificazioni, ed accettare. Accettare. Accettare. E soprattutto, ragionare su un principio, incontrovertibile, dettato da una mamma ferita ad un padre furente: “non c’è, né ci sarà mai nessuno, che vorrà bene a nostro figlio come gliene vogliamo noi!”. Ed io che fino a quel momento pensavo ai cavalcavia come ad una via di fuga verso la fine di un dolore terribile, iniziai a reagire. Tutti reagimmo. Meno lui, l’attore principale, che non ne aveva bisogno, che continuava a farsi beffa di tutti, saltellando a destra ed a manca per sfuggire ai controlli ed alle iniezioni. Un mito 
Quello che segui’, il ritorno a casa, fu il peggiore dei momenti più belli della mia vita. Ossimoro di un ritorno ad una normalità che mi faceva schifo, ma che avrei dovuto imparare ad amare.
Ne seguirono riflessioni, discussioni, pianti, testate contro il muro, momenti in cui più che una famiglia sembravamo degli sfollati. Il popolo della notte..io e mia moglie camminavamo di notte come fossimo degli automi. Si ragionava di noi, di lui, di lui e noi, di noi con lui e, in futuro, di come sarebbe stato il noi senza di lui ormai grande ed in grado di farsi sberleffo della nostra preoccupazione. Furono i momenti della ricerca della verità: disabile? Naaa.., ed invece si. E l’handicap??? Ma che scherzi?? Ed invece si. Ed iniziò una nuova fase..il post esordio e l’inizio della vita per chi ha appena preso una “schiaffata” in pieno volto e non sa come riuscire ad alzarsi. 
Non ci siamo nascosti, e non abbiamo mai nascosto a noi stessi che niente sarebbe tornato come prima. Era tutto diverso, stravolto, capovolto. Da capo ai piedi o dai piedi al capo? Ed ora, ci dicevamo, da dove si riparte? Dalla nostra voglia di vivere. Come una famiglia normale. Come, ma non uguale.

 

 

 

di Massimiliano Capanna