Da uno studio americano, un possibile nuovo trattamento per la retinopatia diabetica e dei prematuri
Arriva dal Bascom Palmer Eye Institute, dell’ Università di Miami la notizia della scoperta di una nuova molecola in grado di influenzare la neoformazione di vasi patologici negli occhi dei topi diabetici.
Gli autori dello studio, pubblicato su Journal of Experimental Medicine ritengono che l’inibizione della secretogranina III, questo il nome della molecola, potrebbe prevenire la formazione di neovasi anomali che sono in grado di compromettere la vista non solo nelle persone con diabete ma anche nei neonati prematuri.
La retinopatia diabetica, manifestazione della microangiopatia diabetica, è una condizione che riguarda circa 93 milioni di persone nel mondo e può portare rapidamente a perdita della vista. In questi pazienti, il progressivo danneggiamento dei vasi determina la comparsa di zone di sofferenza retinica che l’organismo tenta di correggere, attraverso il rilascio di VEGF (vascular endothelial growth factor). Il VEGF è responsabile della formazione di nuovi vasi, purtroppo patologici, in quanto caratterizzati da una fragilità di parete (con conseguenti emorragie) e da una crescita disordinata sulla superficie della retina. Per tale motivo vengono utilizzati in terapia i cosiddetti VEGF inibitori (ranibizumab, aflibercept, bevacizumab), ma a questo trattamento non rispondono tutti i pazienti.
Anche la retinopatia dei prematuri è caratterizzata da una crescita abnorme di neovasi e rappresenta la causa più frequente di perdita della vista in questi bambini (negli USA interessa 16.000 neonati prematuri l’anno). Gli inibitori di VEGF non sono utilizzabili in questa tipologia di pazienti e questo rappresenta un importante unmet need terapeutico che si va a sommare a quello dei pazienti con retinopatia proliferante non responsivi alla terapia con VEGF inibitori.
Gli autori dello studio appena pubblicato hanno sviluppato una tecnica particolare, detta ‘ligandomica comparativa’, che ha lo scopo di individuare nuove molecole in grado di regolare il comportamento dei vasi nei topi diabetici e di confrontare le molecole di segnale che si legano in maniera selettiva sulla superficie dei vasi retinici nei ratti diabetici, ma non in quelli euglicemici.
Questa tecnica, secondo gli autori, sarebbe dunque in grado di individuare le molecole che svolgono un’azione patologica e quelle con un potenziale terapeutico.
Applicando la ligandomica comparativa, il gruppo di Wei Li, professore associato alla Bascom Palmer – è riuscito così ad individuare la secretogranina III (Scg3), una molecola che si lega sulla superficie dei vasi retinici nei ratti diabetici, ma non in quelli sani. La Scg3 può promuovere la secrezione di ormoni e di altre molecole di segnale ma di per sé non sembra avere una funzione di segnalazione. Tuttavia, somministrata ai topi, la Scg3 aumenta il trasudato dai vasi e stimola la crescita di neovasi negli animali diabetici, ma non in quelli sani.
Al contrario, il VEGF stimola la crescita dei neovasi tanto negli animali diabetici, che in quelli sani. Il gruppo del professor Li ritiene dunque che Scg3 si leghi ad un recettore di superficie cellulare specifico, che potrebbe essere iperespresso nel diabete.
Il trattamento dei topi diabetici con anticorpi neutralizzanti anit-Scg3 ha ridotto in maniera importante il trasudato dei vasi retinici e la crescita di neovasi nei topi con retinopatia indotta dall’ossigeno (un modello animale della ROP umana).
Fin qui le suggestioni interessantissime derivanti dagli studi animali, che nell’uomo sono ancora tutte da provare. Qualora questo meccanismo venisse provato anche nell’uomo, si aprirebbe una nuova era di trattamento sia per la retinopatia diabetica che per la retinopatia dei prematuri, soprattutto se, al contrario del VEGF, fosse confermato che questa nuova molecola non ha alcun ruolo nel normale sviluppo dei vasi.
“Gli inibitori di Scg3 potrebbero offrire grandi vantaggi: sono patologia-selettivi, hanno grande efficacia e minimi effetti collaterali. Il loro target è una via di segnale diversa; per questo le terapie anti Scg3 potrebbero essere utilizzate in associazione o in alternativa a quelle anti-VEGF”.
Maria Rita Montebelli