Diabete 2, un ormone segnala se c’è rischio cardiovascolare
Più ce n’è nel sangue, maggiore potrebbe essere il rischio per il cuore. A predire un’eventuale minaccia per l’apparato cardiovascolare dei pazienti affetti da diabete di tipo 2 sarebbe un nuovo marcatore, la resistina. A rivelarne le potenzialità è uno studio che, condotto da ricercatori della Societa’ italiana di Diabetologia (Sid), e’ stato presentato oggi al congresso dell’European association for the study of Diabetes(Easd) in corso a Berlino fino a venerdì’. In effetti, il marcatore non e’ altro che un ormone, resistina appunto: noto da qualche anno e prodotto dal tessuto adiposo (infiammato, come negli obesi) da oggi potrebbe aiutare i medici a individuare i pazienti a rischio infarti, ictus e mortalità cardiovascolare.
La ricerca, effettuata dall’Istituto Irccs Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, in Puglia, e coordinata da Vincenzo Trischitta, ha coinvolto 350 diabetici. Lo studio ha registrato gli eventi cardiovascolari sviluppati in sette anni, analizzando come la misurazione della resistina nel sangue migliori la capacità di predire l’arrivo di un incidente cardiovascolare rispetto ai soli fattori tradizionali: età, sesso, peso, pressione, fumo, durata del diabete e concentrazione nel sangue di emoglobina glicata e dei grassi. In sostanza, sottolineano gli specialisti, resistina in dose elevata nel sangue, potrebbe favorire la comparsadel diabete e contribuire a peggiorare la prognosi della patologia. Ma non bisogna cantare vittoria, avverte pero’ Trischitta, “E’ necessario condurre nuovi e più ampi studi per verificare la reale utilita’ della resistina nella gestione clinica dei diabetici”.
Tre milioni di diabetici in Italia. Il diabete e’ ormai una pandemia a livello mondiale: entro il 2025 – rivelano le proiezioni statistiche – il diabete passera’ dall’undicesima alla settima causa di morte nel mondo, mentre i malati sfioreranno quota un miliardo. In Italia ci sono 3 milioni di diabetici e oltre un milione ignora di esserne affetto, mentre circa 27 mila sono le persone tra i 20 e i 79 anni che ogni anno muoiono per il diabete. C’è di che allarmarsi. Tanto che, sempre a Berlino, e’ stata annunciata la prossima approvazione (entro novembre, quando si celebrerà’ la giornata mondiale dedicata) del Piano nazionale per il diabete. L’esigenza di un documento che a livello nazionale coordini il percorso da seguire per l’assistenza, nasce dal riscontro delle differenze di comportamento delle singole regioni. “ L’analisi condotta dalla Società italiana diabete (Sid) dimostra l’esistenza di oltre 150 leggi regionali”, avverte il presidente Stefano Del Prato che e’ anche vicepresidente dell’Easd, “e di una sostanziale disparita’ di trattamento a livello territoriale”. Ma Del Prato insiste anche sulla necessita’ di una “razionalizzazione che si trasforma in risparmio: “Per esempio, e’ stato dimostrato che la gestione domiciliare comporta non solo un miglior risultato clinico, ma anche economico”. “Per costi, oggi il diabete”, gli fa eco il presidente di Diabete Italia Umberto Valentini, “rappresenta la seconda patologia dopo le malattie cardiovascolari”.
Le cure. Tra novità e resoconti, il Belpaese non starebbe tanto male. Anzi. “ Siamo ai primi posti nel mondo”, rivela Carlo Giorda, presidente Associazione medici diabetologi (Amd), “per come viene curato bene il diabete”. La conferma arriva dai dati dello “score Q” che riguardano gli ultimi 5 anni, un indice che e’ passato da 22,2 a 24,3. Il punteggio dello score Q varia da 0 a 40: inferiore a 15; tra 15 e 25, maggiore di 25. L’indice, ideato dall’Istituto Mario Negri sud (Santa Maria Imbaro, Chieti) viene calcolato assegnando un punteggio alle modalità assistenziali: misurazione dell’emoglobina glicosilata (parametro ematologico che testimonia il controllo del diabete), pressione arteriosa, profilo lipidico, microalbuminuria, impiego dei farmaci). Intanto, sempre dall’Amd viene annunciato un trattamento terapeutico personalizzato: attraverso un algoritmo calcola, in base all’auto misurazione della glicemia, come ottimizzare la terapia farmacologica. “Non più una cura uguale per tutti sulla base della misurazione dell’emoglobina glicata, ma un protocollo individuale, cucito su misura per ogni singolo paziente”, spiega Antonio Ceriello, coordinatore del gruppo Terapia personalizzata e presidente eletto Amd, “Il principio e’ rivoluzionario. Sono stati individuati 5 diversi profili di individui con diabete in base all’età e alla presenza o meno di complicanze”.
Il farmaco. In tema di terapia, al congresso sono stati presentati i risultati di uno studio di fase 3 condotto con una nuova insulina (degludec della Novo Nordisk, in fase di registrazione negli Usa). Lo studio, che ha coinvolto 1.030 persone con diabete di tipo 2 non trattate in precedenza con insulina, ha dimostrato che l’insulina degludec, a parità di controllo dei livelli di glicemia, riduce del 43% gli episodi di ipoglicemia notturna rispetto a glargine. Un altra molecola invece, linagliptin, un farmaco orale che si assume una volta al giorno, si e’ confermata in uno studio clinico di fase 3 condotto su 1261 pazienti e appena presentato, efficace e tollerabile anche nei pazienti anziani e affetti da nefropatia diabetica. E infine, il progresso tecnologico. In tema diagnostico di laboratorio, si registra un ulteriore strumento che, grazie a un dispositivo, misura il glucosio nei fluidi corporei diversi dal sangue, come lacrime o sudore. In questo modo si eviterebbero le quotidiane punture dei polpastrelli attraverso un biosensore che sfrutta una reazione elettrochimica attivata da un enzima: il chip misura 0,5 millimetri di larghezza e due di lunghezza. Sul versante terapeutico invece, si profila l’arrivo sul mercato di un device di ultima generazione: un microinfusore integrato con un sensore che trasmette le informazioni per la somministrazione dell’insulina secondo le necessita’ individuali.