Diabete di tipo 2: ecco come proteggere i reni, con le terapie di oggi e con quelle che verranno

Il rene è un importante organo bersaglio del diabete di tipo 2; questa condizione è infatti la principale causa di albuminuria, insufficienza renale cronica e di ricorso alla terapia dialitica. Ma il rene delle persone con diabete può essere adeguatamente protetto attraverso un corretto stile di vita (controllo del peso, attività fisica, dieta adeguata, astensione dal fumo), uno stretto controllo della glicemia e della pressione, in particolare attraverso l’impiego di terapie mirate al blocco del sistema renina-angiotensina-aldosterone (ACE-inibitori o sartani). Ulteriori valide strategie di protezione vengono dalle terapie anti-diabete che si sono rese disponibili negli ultimi anni. I risultati dei trial clinici hanno dimostrato che particolarmente interessanti dal punto di vista della nefroprotezione sono le terapie basate sulle incretine e gli inibitori di SGLT2. 

E intanto all’orizzonte si profila l’arrivo di altre molecole con interessanti effetti di protezione renale; tra queste, i bloccanti dei recettori dell’endotelina (es. atrasentan) e dei recettori dei mineralcorticoidi (es. finerenone). Lancet Diabetes & Endocrinology dedica una review di fine anno a questo importante argomento.

La malattia renale cronica nel diabete di tipo 2. Perché è così pericolosa
Le attuali linee guida internazionali definiscono ‘malattia renale cronica’ quella condizione caratterizzata da un filtrato glomerulare (eGFR) < 60 ml/min per 1,73 m2, albuminuria > 3 mmol/mol o entrambe che persiste per almeno tre mesi; quando queste condizioni ricorrano nel paziente diabetico, si parla di nefropatia diabetica o malattia renale diabetica. La diagnosi di malattia renale cronica in una persona con diabete ha importanti implicazioni prognostiche: non solo è aumentato il rischio di andare incontro a insufficienza renale terminale (e dunque quello di dover ricorrere al trattamento dialitico), ma anche quello di mortalità e di eventi cardiovascolari non fatali, rispetto ai soggetti con diabete ma senza nefropatia diabetica. Anche per questo è così importante monitorare con attenzione lo sviluppo e la progressione della malattia renale cronica, attraverso periodici esami del sangue, che consentano di stimare il filtrato glomerulare, e l’analisi delle urine per il rapporto albumina/creatinina (Urine Albumin-to-Creatinine Ratio, UACR).

Come proteggere i reni nel diabete di tipo 2: strategie classiche, moderne e del futuro
Obiettivo della terapia è la riduzione dei livelli di albuminuria e la prevenzione del progressivo declino del filtrato glomerulare. Dall’inizio di questo secolo, il trattamento con inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS) è stato individuato come valida strategia nefroprotettiva nei soggetti con diabete di tipo 2.Il blocco del RAAS riduce l’albuminuria, forse attraverso la riduzione dlela pressione intraglomerulare e può prevenire l’infiammazione e la fibrosi renale.  L’impiego degli inibitori del RAAS può essere tuttavia limitato da brusche riduzioni dell’eGFR o dalla comparsa di iperkaliemia. A decretare la validità dell’uso di questi farmaci nella prevenzione della nefropatia diabetica sono stati due trail del 2001: il RENAAL (losartan) e l’IDNT (irbesartan), che hanno dimostrato una riduzione del 20% del rischio di eventi avversi renali. Dopo un gap di quasi due decenni, i risultati di recenti trial clinici stanno suggerendo nuove strategie per arricchire l’armamentario terapeutico della nefroprotezione. Molto interessanti sono i risultati ottenuti con le terapie basate sulle incretinee con gli inibitori di SGLT2 che esercitano un effetto di nefroprotezione attraverso meccanismi in parte indipendenti dalla riduzione della glicemia.
All’orizzonte si profilano inoltre una serie di nuove molecole mirate a pathway di recente individuati, alla base della nefropatia diabetica.

Inibitori di SGLT-2 e nefroprotezione
I reni hanno un ruolo molto importante nel mantenimento dell’omeostasi glucidica attraverso la gluconeogenesi, l’impiego di glucosio come ‘carburante’ metabolico, il riassorbimento della maggior parte (l’80-90%) del glucosio filtrato da parte deicotrasportatori sodio-glucosio (SGLT1 e SGLT2) localizzati nella membrana luminale del tubulo prossimale. Per questo, l’inibizione di SGLT2 rappresenta un’importante target terapeutico per il controllo della glicemia e, al momento, sono 4 i farmaci appartenenti a questa classe, approvati dall’FDA e dall’EMA: canagliflozin, dapagliflozin, empagliflozin edertugliflozin. 

Questi farmaci aumentano l’escrezione urinaria di glucosio di 70-80 grammi al giorno e riducono l’emoglobina glicata di 0,5-0,8 punti percentuali. Questi farmaci riducono inoltre il peso corporeo di 2-3 Kg, nei primi 6 mesi di utilizzo. Visto che il riassorbimento del glucosio è accoppiato a quello del sodio, questi farmaci determinano una natriuresi dose-dipendente e questo può comportare una riduzione dei valori di pressione sistolica di 2-4 mmHg. Gli effetti favorevoli di questa categoria di farmaci sugli endpoint cardio-renali è stato dimostrato dagli studi EMPA-REG OUTCOME (empagliflozin), CANVAS (canagliflozin) e DECLARE-TIMI 58 (dapagliflozin) 

Tutti e tre questi inibitori di SGLT2 in questi trial hanno dimostrato di poter rallentare il declino dell’eGFR e di ridurre il rischio di un endpoint composito renale del 40% circa. Questi trial non erano tuttavia stati disegnati per valutare l’effetto nefroprotettivo degli inibitori di SGLT2; sarà dunque necessario – scrivono gli autori della review su Lancet Diabetes&Endocrinology aspettare i risultati degli studi ‘dedicati’ a questo endpoint, prima di poter includere questo effetto nelle linee guida di trattamento. 

Diversi sono i meccanismi attraverso i quali si esplica l’effetto nefroprotettivo di questi farmaci. Come gli inibitori del RAAS, hanno un effetto favorevole sull’emodinamica renale e riducono l’iperfiltrazione glomerulare, tipica della nefropatia diabetica; riducono l’ipossia renale. In generale, i dati acquisiti con gli studi disponibili ad oggi, suggeriscono che l’effetto nefroprotettivo è in gran parte indipendente dalla riduzione dell’emoglobina glicata. Ciò significa che potrebbe esserci spazio per l’indicazione all’impego di questi farmaci solo a scopo nefroprotettivo, indipendentemente dalla presenza o meno di diabete (lo studio di outcome renale DAPA-CKD in corso e quello EMPA-KIDNEY non ancora partito, dovrebbero dare una risposta a questo quesito).

Terapie basate sulle incretine
Come visto per gli inibitori di SGLT2, alcuni effetti off-target delle terapie basate sulle incretine (agonisti recettoriali di GLP-1 e inibitori di DDP-4) potrebbero avere un impatto favorevole sul profilo di rischio cardio-renale e sugli outcome clinici, al di là dell’effetto sulla glicemia. Gli agonisti recettoriali di GLP-1, riducendo l’appetito, provocano una perdita di peso di 0,8-1,4 K e riducono la sistolica di 2-3 mmHg; potrebbero inoltre modulare l’infiammazione e la fibrosi in varie sedi. Le terapie basate sulle incretine migliorano lievemente il profilo lipidico a digiuno e soprattutto post-prandiale. Il GLP-1 è stato inoltre implicato nella regolazione entero-endocrina del bilancio idro-elettrolitico (un asse entero-renale?). 

Nonostante l’esistenza di un presupposto teorico, gli studi sull’uomo non hanno individuato un effetto degli agonisti recettoriali di GLP-1 sull’emodinamica renale. Anche gli effetti sulla riduzione dell’albuminuria sono controversi. Negli studi LEADER (liraglutide) e SUSTAIN-6 (semaglutide) hanno dimostrato una riduzione dell’endpoint composito renale (progressione a macroalbuminuria, raddopio della creatininemia, malattia renale terminale o mortalità per cause renali) del 22% con liraglutide e del 36% con semaglutide; questo effetto era legato per lo più ad una riduzione della macroalbuminuria (26-46%). 

Per quanto riguarda la terapia con DDP-4 inibitori, questa ha solo  un modesto effetto benefico sugli endpoint renali. Linagliptin ha mostrato una riduzione degli eventi renali del 16%, tutta sul versante della riduzione della macroalbuminuria, senza nessun effetto sulla riduzione dell’eGFR. Una sottoanalisi del SAVOR-TIMI 53 ha dimsotrato un effetto del saxagliptin sulla riduzione dell’UACR. Il CARMELINA ha dimostrato una modesta riduzione della progressione della macroalbuminuria, da parte di linagliptin, senza un effetto significativo però sull’endpoint composito secondario renale.

Antagonisti recettoriali dell’endotelina
La famiglia delle endoteline ne comprende tre (ET-1, ET-2 ed ET-3), che si legano ai recettori ETA o ETB. l’attivazione del recettore ETA causa vasocostrizione, accumulo di matrice, proliferazione cellulare; l’attivazione dell’ETB determina invece gli effetti opposti. Il sistema delle endoteline è anche implicato nella regolazione dell’acqua e del sodio; l’attivazione di ETA ha un effetto natriuretico, quella di ETB ha un effetto di ritenzione idrica e del sodio. L’inibizione farmacologica dei recettori dell’endotelina si associa dunque a ritenzione idrosalina e questo ha reso difficile lo sviluppo di farmaci bloccanti dell’endotelina. Il sistema delle endoteline è implicato anche nello sviluppo e nella progressione della nefropatia diabetica; oltre alla vasocostrizione esercitata sui vasi renali, che determina una riduzione del flusso renale e iperfiltrazione glomerulare, ET-1 potrebbe danneggiare il rene, attivando dei pathway proinfiammatori e profibrotici.

Evidenze sperimentali suggeriscono che il blocco dell’endotelina potrebbe ritardare la progressione della nefropatia sul lungo periodo. In particolare, gli antagonisti recettoriali (ERA) dell’endotelina attenuano l’effetto vasocostrittore dell’ET-1 e dunque riducono la pressione intraglomerulare e l’iperfiltrazione. Oltre agli effetti emodinamici, l’atresentan (un ERA), in uno studio, ha determinato anche riduzione dell’albuminuria. Gli ERA potrebbero anche avere un effetto di protezione del glicocalice, preservando la morfologia dei podociti e modificando la produzione di fattori di crescita e dei vasocostrittori. 

Lo studio ASCEND, che ha testato gli effetti renali dell’avosentan su pazienti con diabete di tipo 2, è stato tuttavia interrotto precocemente per un eccesso di scompenso cardiaco congestizio e di mortalità. Gli ERA hanno dunque una finestra terapeutica molto ristretta ed è fondamentale un’attenta scelta della posologia per evitare gli effetti indesiderati. L’atrasentan, che è più ERA selettivo rispetto all’avosentan, nello studio di fase 2 RADAR ha ridotto l’albuminuria del 35-38% in una popolazione di soggetti con nefropatia diabetica. I risultati dello studio di fase 3 SONAR sono attesi per il prossimo anno.

Antagonisti recettoriali dei mineralcorticoidi
Se in un primo momento, l’angiotensina II è stata ritenuta il componente chiave del RAAS rispetto al danno renale e cardiovascolare, con passare del tempo è emerso con sempre maggiore chiarezza il ruolo altrettanto importante dell’aldosterone. I pazienti con nefropatia diabetica mostrano un’aumentata attività del recettore dei mineralcorticoidi. Spironolattone ed eplerenone mimano la struttura molecolare dei ligandi naturali del recettore per i mineralcorticoidi. I trial clinici hanno dimostrato che il trattamento con gli anti-aldosteronici (MRA) può ridurre ulteriormente l’albuminuria e la pressione nei soggetti con malattia renale cronica diabetica e non diabetica, quando aggiunti ad un RAAS inibitore. 

Un altro studio suggerisce che lo spironolattone potrebbe stabilizzare il declino di funzionalità renale nei pazienti con malattia renale proteinurica. Nella pratica clinica, l’impiego dello spironolattone è tuttavia limitato dai suoi effetti indesiderati. Essendo un MRA poco selettivo, questo farmaco va infatti ad inibire anche i recettori per gli androgeni e del progesterone, e questo può causare ginecomastia, impotenza, irregolarità mestruali. L’aggiunta di spironolattone o di eplerenone ad un RAAS inibitore aumenta inoltre il rischio di iperkaliemia di 3-8 volte e questo soprattutto nei pazienti anziani, con diabete, in quelli con insufficienza renale.

Per ridurre il rischio di questo evento avverso, sono stati sviluppati nuovi composti come il finerenone, un potente MRA che dà minore ritenzione di potassio. Il farmaco è stato testato su pazienti con diabete di tipo 2 e con nefropatia diabetica nello studio di fase 2 ARTS-DN ed ha prodotto una riduzione di UACR del 21-38% rispetto a placebo, ma nessuna differenza sul declino di eGFR (endpoint secondario dello studio). L’efficacia e la safety di finerenone nei pazienti con nefropatia diabetica è attualmente al vaglio dello studio FIDELIO-DKD, che terminerà a fine 2019 e del FIGARO-DKD, la cui fine è prevista per febbraio 2020.

Cosa c’è all’orizzonte
La nefropatia diabetica è una condizione multifattoriale, eterogenea, con fenotipi complessi; in altre parole, non tutti i pazienti trarranno beneficio dai farmaci che si renderanno disponibili a breve. I non-responder in termini di riduzione dell’albuminuria ad atrasentan, potranno comunque forse beneficiare dell’aggiunta di un SGLT2 inibitore, di una terapia basata sulle incretine o di un MRA, ma a questa domanda dovranno rispondere gli studi in corso e quelli futuri. 

Sarà necessario inoltre vagliare l’effetto delle terapie di associazione, ad esempio di un SGLT2 inibitore con un ERA (l’effetto natriuretico degli SGLT2 inibitori potrebbe mitigare l’effetto sodio-ritentivo degli ERA).
Andrà inoltre definita la migliore terapia di combinazione anti-diabete in grado di correggere quanti più difetti fisiopatologici possibile inerenti al diabete di tipo 2 (riduzione della glicemia, peso corporeo, pressione, fattori di rischio cardio-renali); la migliore combinazione teorica da questo punto di vista è al momento rappresentata dall’associazione SGLT2 inibitori e GLP-1 agonisti. 

L’impressione generale comunque è che si stia finalmente entrando in una nuova era del trattamento dei pazienti con malattia renale cronica e diabete di tipo 2.

di Maria Rita Montebelli


da Quotidiano Sanità