Diabete di tipo 2, terapia combinata precoce e approccio sequenziale a confronto #ADA2023
Se il trattamento farmacologico del diabete di tipo 2 dovrebbe iniziare da subito con la terapia di combinazione o con la monoterapia con metformina, aggiungendo altri agenti nel corso tempo, è stato oggetto di un dibattito tra due noti clinici-ricercatori nel diabete al congresso 2023 dell’American Diabetes Association (ADA).
Ralph DeFronzo, responsabile della divisione del diabete alla University of Texas Health di San Antonio, ha sostenuto la terapia di combinazione al momento della diagnosi mentre per David Nathan, direttore del Clinical Research Center e del Diabetes Center del Massachusetts General Hospital di Boston, la terapia sequenziale rappresenta ancora l’approccio migliore da adottare.
Terapia combinata per agire su più condizioni sottostanti
«Naturalmente devono essere scelti i farmaci appropriati per la terapia di combinazione, che come minimo correggano l’insulino-resistenza e il fallimento delle cellule beta, altrimenti non avremo successo» ha affermato DeFronzo. «Inoltre dovrebbero anche fornire una protezione contro le malattie cardiovascolari, renali e del fegato grasso, perché la gestone del diabete non si limita al controllo della glicemia».
Dati statunitensi recenti suggeriscono che il controllo glicemico sia da migliorare, dato che la metà delle persone con diabete ha un livello di emoglobina glicata (HbA1c) superiore al 7% e che in un quarto supera l’8%. Una delle ragioni di questo fallimento è la complessa fisiopatologia del diabete di tipo 2 che comprende otto problematiche principali, ovvero la diminuzione della secrezione pancreatica di insulina, gli effetti dell’incretina intestinale, l’assorbimento del glucosio nel muscolo, l’aumento della lipolisi, il riassorbimento del glucosio nel rene, la produzione epatica di glucosio, l’aumento della secrezione di glucagone e la disfunzione dei neurotrasmettitori.
«Ci sono otto problematiche e quindi serviranno più farmaci in combinazione, non solo quelli che riducono la HbA1c» ha osservato. «Inoltre devono essere avviati all’inizio della storia naturale del diabete di tipo 2 se si vuole prevenire il progressivo fallimento delle cellule beta».
Studi clinici a sostegno della terapia di combinazione
A supporto di questo approccio ha indicato l’esito negativo della terapia graduale nello studio prospettico britannico UKPDS, nel quale è stata utilizzata per prima la sulfonilurea gliburide, seguita da metformina. Con ognuno dei farmaci l’emoglobina glicata è diminuita inizialmente per poi aumentare nel corso di 3 anni, ed entro 15 anni il 65% dei partecipanti assumeva insulina.
Il trial GRADE ha valutato gli effetti dell’aggiunta di quattro diversi agenti ipoglicemizzanti (glimepiride, sitagliptin, liraglutide o insulina glargine) nelle persone che non avevano raggiunto l’obiettivo di HbA1c con metformina, che quindi aveva fallito. Durante lo studio tutti i partecipanti hanno mostrato un calo iniziale della HbA1c, seguito da un progressivo fallimento, a dimostrazione che la terapia graduale non funziona.
Nel suo centro tutti i pazienti con diabete di tipo 2 vengono trattati utilizzando tre classi di farmaci, ossia un GLP-1 agonista, un SGLT2 inibitore e pioglitazone, dato che ognuno di essi ha come target più di uno degli otto problemi citati sottostanti alla malattia.
«I farmaci che chiaramente non funzionano nel lungo termine sono la metformina e le sulfoniluree» ha rimarcato. «Diversi studi dimostrano l’efficacia della terapia di combinazione. Come DURATION 8, nel quale la combinazione di exenatide e dapagliflozin è risultata superiore ai singoli agenti nel ridurre HbA1c, eventi cardiovascolari e mortalità per tutte le cause nell’arco di 2 anni.
Inoltre nel trial VERIFY, della durata di 5 anni, la terapia di combinazione precoce con vildagliptin più metformina si è dimostrata superiore nel ridurre la HbA1c rispetto a iniziare la terapia con metformina per aggiungere successivamente vildagliptin.
Lo studio EDICT su soggetti con diabete di tipo 2 di nuova insorgenza ha confrontato il trattamento combinato iniziale con metformina, pioglitazone ed exenatide con la terapia sequenziale convenzionale con metformina, glipizide e insulina glargine.
L’endpoint primario, la differenza nella percentuale di pazienti con HbA1c inferiore al 6,5%, è stato raggiunto dal 70% dei partecipanti in terapia combinata rispetto al 29% con la terapia sequenziale (P<0,00001). A differenza della terapia convenzionale, l’approccio combinato ha virtualmente normalizzato sia la sensibilità all’insulina che la funzione delle cellule beta.
La terapia sequenziale è più supportata dai dati e ha costi inferiori
Nathan ha sottolineato che l’ADA continua a consigliare la metformina come terapia di prima linea per il diabete di tipo 2 per via della sua elevata efficacia nel ridurre la HbA1c, del rischio minimo di ipoglicemia se usata in monoterapia, dell’effetto neutrale sul peso corporeo con una potenziale modesta perdita di peso, del buon profilo di sicurezza e del basso costo.
Ha fatto presente di non esser contrario alla terapia di combinazione precoce o anche iniziale in presenza di comorbilità accertate, ma che questo non riguarda la maggioranza dei pazienti con diabete di tipo 2.
Ha esposto quattro argomentazioni a supporto della terapia sequenziale tradizionale. Innanzitutto consente di stabilire i benefici legati all’aggiunta dei singoli farmaci, una valutazione impossibile con l’approccio di combinazione. In secondo luogo permette anche di stabilire gli effetti collaterali legati alle singole molecole.
Inoltre promuove la personalizzazione grazie alla possibilità di selezionare i farmaci più idonei per il singolo paziente. Infine è supportata da molti più dati ed è meno costosa, mentre l’approccio combinato precoce è costoso e con vantaggi perlopiù modesti.
Studi clinici a sostegno della terapia sequenziale tradizionale
«Pochissimi studi clinici randomizzati rilevanti che hanno valutato la terapia di combinazione iniziale rispetto alla monoterapia, ad eccezione di EDICT e VERIFY, hanno incluso effettivamente la terapia sequenziale che useremmo nella pratica» ha affermato. «Inoltre, a parte il trial VERIFY, la maggior parte ha una durata inferiore a sei mesi. Nello stesso VERIFY è stata rilevata una differenza iniziale del 20% nella percentuale di pazienti con HbA1c inferiore al 7,0%, ma entro 12 mesi questa differenza si era ridotta a solo il 5-6%».
«È molto importante verificare cosa avviene nel tempo. Sei mesi sono appena sufficienti per vedere l’equilibrio della HbA1c e una malattia cronica e progressiva come il diabete di tipo 2 deve essere studiata per un periodo di tempo sufficientemente lungo da essere clinicamente significativo» ha aggiunto.
Ha riconosciuto che lo studio EDICT è stato ben condotto e aveva una durata accettabile, tuttavia ha coinvolto pochi pazienti (n=249) e ha avuto un tasso elevato di abbandono che ha portato a solo il 58% di partecipanti in tripla terapia contro il 68% con il trattamento convenzionale. Dopo 2 anni la differenza in termini HbA1c era solo dello 0,5% a favore della terapia di combinazione.
La differenza nel costo del trattamento è stata invece drammatica, con un prezzo medio all’ingrosso per la terapia sequenziale di circa $ 85 al mese rispetto ai $ 1.310 per quella combinata precoce. Applicata ai circa 1,5 milioni di pazienti con diabete di tipo 2 di nuova insorgenza negli Stati Uniti, questa differenza comporterebbe un costo annuale aggiuntivo di circa 22 miliardi di dollari, ha calcolato Nathan.
«Tutto considerato ritengo che la terapia sequenziale sia ancora la più adeguata» ha concluso. «Prima di poter adottare l’approccio combinato iniziale/precoce come standard di cura, è necessario eseguire studi di durata accettabile e ben disegnati».
Referenze
ADA Scientific Sessions. Presented June 23, 2023.
da Pharmastar