Diabete di tipo 2: un trattamento troppo intensivo raddoppia il rischio di ipoglicemia grave
Controllare regolarmente i target glicemici per le persone con diabete è unmust che può incidere in maniera importante sulle complicanze di questa malattia e sulla qualità di vita. Ma a tutto c’è un limite, suggerisce uno studio della Mayo Clinic, oltre il quale è bene non andare.
Gli Stati Uniti sono la patria del ‘more is better’ ma non sempre questa filosofia dà buoni frutti. Anche fare troppi controlli può creare problemi, suggerisce uno studio della Mayo Clinic appena pubblicato su Jama Internal Medicine. Focalizzarsi troppo sui livelli di emoglobina glicata e soprattutto mirare a target troppo bassi e ambiziosi da raggiungere per mezzo di un trattamento molto intensivo, può creare problemi seri soprattutto ai pazienti più anziani e fragili.
“Siamo dapprima rimasti molto sorpresi nel vedere il numero esagerato di test per la glicata che fanno in questo Paese gli adulti con diabete di tipo 2, con una glicemia ben controllata – ammette Rozalina McCoy, endocrinologa della Mayo Clinic e autrice dello studio – Ma poi abbiamo realizzato che non solo questi pazienti si sottoponevano a troppi test, ma che erano anche in terapia con una quantità esagerata di farmaci, rispetto a quelli necessari visti i loro livelli di glicata. Partendo da queste osservazioni abbiamo avuto l’idea di realizzare questo studio, per scoprire le ricadute di tanta esagerazione. I risultati evidenziato che soprattutto tra i pazienti anziani e quelli con patologie croniche gravi, il trattamento intensivo arriva quasi a raddoppiare il rischio di gravi episodi di ipoglicemia, tali da richiedere anche il ricovero”
L’ipoglicemia rappresenta peraltro una complicanza potenzialmente molto seria del trattamento del diabete; oltre a peggiorare la qualità di vita ed è stata infatti associata anche a complicanze cardiovascolari, alla demenza e ad un aumento di mortalità.
Per questo, molte società scientifiche raccomandano di modulare gli obiettivi di emoglobina glicata (che nella maggior parte delle linee guida si collocano tra 6,5% e 7% nella popolazione adulta) in base all’età del paziente, alla presenza di comorbilità e al rischio di ipoglicemia.
“Portare i pazienti a livelli di glicata troppo bassi – ammonisce la McCoy – non dà garanzie di migliorare la loro salute, soprattutto nel breve termine, e al contrario può causare gravi problemi, come l’ipoglicemia”.
In questo studio, gli autori hanno indicato con il termine di ‘trattamento intensivo’ l’impiego di una quantità di farmaci superiore a quanto suggerito dalle linee guida sulla base del livelli di emoglobina glicata di un determinato paziente. Quelli in terapia e con glicata inferiore al 5,6% sono stati considerati soggetti a trattamento ‘intensivo’ . Analogamente, i pazienti pre-diabetici (quelli con glicata basale compresa tra 5,7 e 6,4%) erano considerati in ‘trattamento intensivo’ se assumevano 1 o 2 farmaci al momento del test o se erano stati loro somministrati ulteriori farmaci dopo il test. Le linee guida attuali considerano in controllo ‘ottimale’ i pazienti in trattamento con una glicata inferiore a 6,5%.
Lo studio ha analizzato i dati di 31.542 soggetti con diabete di tipo 2 stabile e ben controllato, inclusi nelOptumLabs Data Warehouse tra il 2001 e il 2013. Nessuno di loro era in terapia con insulina o aveva avuto in passato episodi di ipoglicemia (entrambi sono fattori di rischio per ulteriori episodi di ipoglicemia).
Obiettivo dello studio era valutare in quale misura il trattamento intensivo potesse essere causa di ipoglicemia. Altro obiettivo era analizzare la risposta all’ipoglicemia nei pazienti giovani e in buona salute, per comprendere se questa categoria potesse tollerare un trattamento intensivo meglio dei pazienti anziani o di quelli con comorbilità. Per questa ragione è stata condotta un’analisi separata di queste due categorie di soggetti, distinguendo quelli considerati ‘complessi’ dal punto di vista clinico cioè, secondo la definizione dell’American Geriatrics Society, i soggetti di età uguale o superiore a 75 anni, con patologia renale end-stageo demenza o con 3 o più patologie croniche gravi associate. Questa distinzione aveva lo scopo di individuare i pazienti più a rischio di effetti collaterali dal’aggiunta di un trattamento anti-diabetico, ipoglicemia compresa, che non di averne un qualche beneficio.
Su 31.542 soggetti inclusi nello studio, il 18,7% dei pazienti ‘complessi’ e il 26,5% dei soggetti non complessi, sono risultati ricevere un trattamento ‘intensivo’. L’analisi dei dati ha evidenziato che i soggetti ‘complessi’ avevano un tasso di ipoglicemie quasi doppio rispetto ai soggetti ‘non complessi’ e che il trattamento intensivo aumentava questo rischio di un altro 77%, nell’arco di 2 anni.
“Questo significa – commenta la McCoy – che 3 anziani o pazienti complessi su 100 di quelli con diabete che non avevano mai avuto episodi di ipoglicemia prima, con un’emoglobina glicata atarget e non in terapia con insulina, presenteranno un grave episodio di ipoglicemia in un lasso temporale di due anni. E questo senza considerare gli episodi di ipoglicemia minori, che i pazienti riescono a gestire da soli a casa, senza dover ricorrere al medico o al pronto soccorso.
Sono risultati preoccupanti da molti punti di vista – sottolinea la McCoy – per il paziente, che può presentare conseguenze gravi, fino alla morte; e per i servizi sanitari, per l’aggravio economico che questi effetti indesiderati comportano. Come medici dobbiamo avere ben chiaro quali esami e quali farmaci sono necessari, ma anche quelli che non lo sono o che possono addirittura creare problemi. La terapia va personalizzata sulla base delle diverse necessità dei pazienti e a volte fare ‘meno’ è la cosa migliore per i nostri pazienti”.
di Maria Rita Montebelli