Diabete e sfera sessuale, tante complicanze ma poca prevenzione
Tra le complicanze del diabete ce ne sono alcune legate alla sfera più intima della persona, quella sessuale. In cima alla lista c’è la disfunzione erettile, che può verificarsi sia nei giovani che negli anziani, ma anche l’eiaculazione retrograda e la fimosi del pene. Occhio quindi a non sottovalutare eventuali sintomi che potrebbero essere una spia della patologia e che se trascurati rischiano poi di diventare cronici.
“La disfunzione erettile – spiega Alessandro Palmieri, presidente della SIA, Società Italiana Andrologia – è un campanello d’allarme generale per la salute dell’individuo ma soprattutto uno dei sintomi più tipici del diabete e una delle complicanze più comuni. Nei pazienti diabetici si presenta un ventaglio veramente ampio di complicazioni che possono minare il benessere sessuale dell’individuo: basti pensare un’erezione come un concerto di stimoli psichici e nervosi, ormonali e vascolari. C’è la neuropatia diabetica, un esempio di interferenza rispetto all’attività del sistema simpatico e, soprattutto, parasimpatico fondamentali per un’erezione adeguata, e la Micro e Macro angiopatia diabetica, un’alterazione del flusso di sangue arterioso nei corpi cavernosi del pene, flusso che va inesorabilmente a ridursi. Il problema, se affrontato in tempo, può essere risolto in tutto o in parte ma molto spesso si lascia passare troppo tempo dalla prima comparsa dei sintomi all’affidarsi al medico”.
Quello tra andrologo e uomo, infatti, è un rapporto non facile, al contrario di quello della donna col proprio ginecologo: giovani, adulti o anziani che siano, gli uomini sono restii a rivolgersi a uno specialista in assenza di sintomi e anche con problemi conclamati non vanno volentieri da chi potrebbe aiutarli.
“Invece – afferma Palmieri – tra la prima comparsa dei sintomi e la richiesta di una visita specialistica passano in media due anni. Un tempo enorme, che causa progressivi problemi a livello fisico ma anche psicologico. Occorrerebbe invece intervenire nelle prime fasi del disturbo perché se il problema diventa patologico a livello cavernoso è poi più difficoltoso tentare di risolverlo”.
Per quanto riguarda la disfunzione erettile, gli andrologi attualmente preferiscono agire non tanto sul sintomo con le famose pastiglie ma direttamente sulle alterazioni sanguigne. Tra le terapie più innovative ci sono cicli di onde d’urto direttamente sul pene: con poche sedute da dieci minuti ciascuna in circa un mese è possibile rivascolarizzare i corpi cavernosi. Molto usati sono anche nuovi preparati orali (oral film) che evitano effetti collaterali a livello gastrico.
“Radici più profonde però legano il diabete al concetto di fertilità, soprattutto nell’uomo – continua il professore -: motilità spermatica nel liquido seminale significativamente più bassa, alterazioni nella morfologia e nella vitalità degli spermatozoi segnano in modo negativo i pazienti diabetici. Tutti indizi che hanno portato a pensare che il diabete vada ad agire a livello più ampio, modificando il corretto funzionamento dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi e i meccanismi regolatori alla base. Di routine, con uno spermiogramma, si nota una riduzione di numero, di motilità, ma qual è il comune denominatore di tutte queste alterazioni? La risposta sta nel dna. Numerosissimi fattori trascrizionali legati ai meccanismi di riparazione del danno al dna irreversibilmente compromessi”.
“Di contro – continua – alcuni ipoglicemizzanti orali (Sulfaniluree e tiazolidinedioni), andando a garantire un aumento dei flussi glicolitici e della produzione di lattato deidrogenasi a livello delle cellule del Sertoli, grantiscono sostegno e consolidamento dei vari livelli della spermatogenesi”.
La vera sfida, medica ma soprattutto culturale, è cambiare la mentalità maschile e arrivare a formare un nuovo rapporto col paziente.
“La SIA – sottolinea Palmieri – punta tantissimo sulla prevenzione: oltre 20 anni fa abbiamo lanciato le prime campagne di sensibilizzazione per far conoscere il nostro lavoro e far crescere la fiducia nei pazienti, e nel contempo formare anche i medici stessi in un campo dove non esiste una specializzazione riconosciuta dal Servizio sanitario nazionale. Per questo come SIA stiamo portando avanti un percorso di certificazione con un esame finale che dota chi lo supera al termine di un ‘bollino’ di garanzia riconosciuto dalla Società, cosa molto gradita agli utenti”.
Ufficio Stampa
MCO International Group
Elisa Di Lupo
Martina Bisconti