Diabete, in Europa cure più avanzate in Italia le “novità” costano troppo
L’Italia ha un record in negativo rispetto agli altri Paesi europei per la cura dei malati di diabete mellito. Fra i tre milioni di persone che sono affette da questa malattia, solo l’1,5% viene trattato con farmaci innovativi come quelli della classe Dpp-Iv e Glp-1; per tutti gli altri si ricorre agli antidiabetici “tradizionali”. In Europa invece le cose vanno diversamente e Francia, Spagna, Germania e Gran Bretagna usano le nuove molecole nel 15% dei casi.
A misurare omogeneità, differenze e l’arretratezza italiana nell’uso delle terapie più moderne è la ricerca Cegedim strategic data (Csd), presentata durante un workshop organizzato dall’Osservatorio nazionale sulla salute della donna e dall’Associazione medici diabetologici (Amd). Lo studio ha preso in esame le cartelle cliniche di oltre 4,5 milioni di pazienti, raccolte direttamente dai software di gestione ambulatoriale di 3.900 medici di medicina generale in cinque Paesi europei. I numeri, secondo gli studiosi, rivelano un “anacronismo” tutto italiano, dovuto soprattutto al persistere di regolamentazioni e di restrizioni sulla prescrivibilità di molecole efficaci, ma considerate troppo costose.
“Il diabete è una malattia cronica molto complessa – spiega Sandro Gentile, presidente dell’Associazione medici diabetologi – cambia da malato a malato. Ognuno ha le proprie esigenze terapeutiche. Un diabetologo deve avere a disposizione tutte le possibilità per ‘cucire’ una cura su misura per il proprio paziente. In questo momento, invece, l’Italia è in una posizione di svantaggio perché esistono vincoli economici che ostacolano la prescrizione dei farmaci di ultima generazione”.
E così i nostri malati, a differenza di quelli europei, devono rinunciare alla gamma allargata delle soluzioni terapeutiche efficaci. Per lo più, il “nuovo” è rappresentato da ‘cocktail’ che, mischiando le vecchie e valide alternative (come sulfaniluree, metformina, glitazoni, acarbose) con prodotti innovativi come quelli della classe DPP-IV e GLP-1, offrono una chance in più al malato.
I dati ricavati dall’indagine Csd sono confermati dalle rilevazioni degli Annali 2010, il rapporto Amd sulla qualità della cura e dell’assistenza in diabetologia che raccoglie i dati di 439.748 persone con diabete, provenienti da 236 centri dislocati in tutte le regioni italiane. “I nostri numeri – dice Sandro Gentile – ribadiscono l’esigenza di snellire le procedure per la prescrizione delle nuove molecole. E puntano il dito contro i tetti di spesa, il limite oltre il quale il farmaco non è più a carico del Sistema sanitario nazionale. Questi oltre a rappresentare una possibilità in meno per il malato, hanno creato un circolo vizioso: a meno prescrizioni corrispondono infatti anche minori investimenti”.
Non è un caso che le aziende farmaceutiche nel 2009, in questa area terapeutica, abbiano devoluto in comunicazione e formazione poco più di 37 milioni di euro, meno del 50% di quanto investito in Francia e Spagna, mentre in Gran Bretagna sono stati investiti oltre 100 e in Germania oltre 123 milioni di euro. Infine, in Italia manca anche piano nazionale specifico. Non a caso, come evidenziato dal 1° Rapporto nazionale sulla legislazione per il diabete, esiste una giungla di 132 normative regionali per la prevenzione e gestione della patologia, spesso diverse, insufficienti e anacronistiche.
Interpellata in proposito, l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) replica per bocca di Paolo Siviero, coordinatore area strategia e politiche del farmaco e direttore del centro studi dell’Agenzia: “In Italia – dice Siviero – la prescrizione di questi farmaci è collegata alla compilazione di un piano terapeutico definito nell’ambito dell’attività di valutazione tecnico-scientifica degli organi dell’Aifa e condiviso con i soggetti di riferimento nazionale. Il piano terapeutico garantisce il Servizio sanitario nazionale affinché la prescrizione del medico sia confacente alle indicazioni terapeutiche autorizzate ed alle migliori evidenze scientifiche disponibili. In altri casi, la prescrizione è collegata al monitoraggio del paziente nell’ambito di specifici registri predisposti dall’Aifa a supporto delle Regioni. In questo ambito, l’Italia ha sviluppato dei modelli di monitoraggio che sono all’avanguardia in Europa. Quanto ai tetti di spesa – aggiunge Siviero – vengono concordati tra l’Aifa e le aziende farmaceutiche sulla base di un reale potenziale numero di pazienti che possono beneficiare di questi trattamenti in Italia in un regime di appropriatezza”.
L’Aifa infine rivendica la validità delle proprie scelte e del lavoro di supporto alle Regioni e a garanzia del malato: “La realtà – dice ancora Paolo Sivieri – dimostra che è sempre preferibile una valutazione cauta delle nuove terapie innovative, o presunte tali, senza che ciò debba determinare una minore possibilità di accesso per i pazienti che realmente ne hanno bisogno. Al riguardo è opportuno ricordare che un antidiabetico di nuova generazione come il rosiglitazone è stato recentemente ritirato dal commercio dall’Ema a causa di un profilo di rischio-beneficio non vantaggioso, solo dopo pochi anni di commercializzazione”.