Diabete: nuovo test svela i rischi di reni e cuore
Il 70% dei pazienti con diabete di tipo due ha problemi ai reni, oltre il 30% soffre di una malattia renale grave. Di questi un terzo è costretto alla dialisi per il resto della vita, gli altri muoiono prematuramente: quando infatti i reni dei diabetici sono compromessi il rischio di infarti o ictus aumenta ulteriormente di 5-10 volte. È però in arrivo un nuovo marcatore precoce del danno renale in grado di individuare molto presto i pazienti più a rischio cardiovascolare su cui intervenire con trattamenti preventivi. Il danno renale è una grave complicanza del diabete che conduce all’insufficienza renale e di conseguenza alla necessità di dialisi o trapianto, oltre ad aumentare il rischio cardiovascolare dei pazienti. Le complicazioni renali del diabete sono ormai la prima causa di insufficienza renale nel nostro Paese e sono in costante aumento: seguono infatti di pari passo l’epidemia di diabete, che riguarda oltre tre milioni di italiani con un’incidenza in aumento di oltre il 30% ogni 5 anni. L’impatto sociale ed economico del danno renale è perciò elevatissimo e proprio per questo i diabetologi del Centro Studi della SID hanno realizzato lo studio RIACE, che coinvolge 20 centri diabetologici sparsi su tutto il territorio nazionale e oltre 15.000 pazienti con diabete di tipo due, dei quali sono stati raccolti dati riguardanti la funzione renale, i fattori di rischio e gli eventi cardiovascolari. “Il filtrato glomerulare stimato o eGFR tiene conto di età, sesso e razza del paziente – ha spiegato Giuseppe Pugliese, coordinatore dello studio RIACE e membro del Comitato Scientifico del Centro Studi SID – Ciò consente di avere una stima molto più precisa della reale capacità di filtrazione dei reni rispetto alla semplice creatinina, che invece non tiene conto di questi parametri: lo stesso valore di creatinina, ad esempio, ha un significato diverso se lo si rileva in una donna anziana o in un uomo giovane. Un risultato all’apparenza normale può in realtà non esserlo, tenendo conto di età e sesso della persona: calcolare l’eGFR permette perciò di individuare anche pazienti con un danno renale iniziale, precedente anche alla comparsa di microalbuminuria, uno dei primi segni di sofferenza del rene”. La riduzione dell’eGFR, secondo i dati preliminari raccolti dagli esperti italiani, sembra essere associata a un aumento del rischio cardiovascolare. “Questa è una prima, importante indicazione che ci segnala che stiamo guardando nella giusta direzione – ha aggiunto Pugliese – Adesso vogliamo confermare nel lungo periodo questa associazione fra una leggera riduzione di eGFR e un aumentato rischio cardiovascolare. Se così sarà, come i risultati preliminari fanno supporre, significherà che potremo utilizzare eGFR per intercettare i pazienti destinati a sviluppare un danno renale e quindi a maggior rischio cardiovascolare molto prima che ci siano sintomi. Ciò implicherebbe poter gestire questi casi in maniera più aggressiva, così da ridurre l’impatto di tutti gli altri fattori di rischio cardiovascolare. In altri termini, in un paziente con una ridotta eGFR cercheremo di proteggere i reni e di trattare in maniera intensiva la pressione o il colesterolo alto, non accontentandoci di raggiungere i valori considerati normali nella popolazione sana ma ponendoci obiettivi terapeutici più stretti e rigidi. Anche i pazienti con un inizio di danno renale infatti sono ad alto rischio cardiovascolare, ma non lo sanno: la valutazione dell’eGFR potrebbe aiutarci a individuarli presto e bene, cambiando l’approccio alla diagnosi e alla cura delle complicazioni renali del diabete”.
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giugno 2009
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