Diabete tipo 2, meglio iniziare con tre farmaci che un approccio a gradini
Nei pazienti con diabete di tipo 2 di nuova diagnosi, un approccio del tutto nuovo, consistente nel dare subito una combinazione di tre agenti in contemporanea (nello specifico metformina, pioglitazone e il GLP1-agonista exenatide) invece del tradizionale approccio a gradini, che prevede di partire con la metformina per poi aggiungere un altro antidiabetico orale e, come ultimo step, l’insulina, sembra mantenere più a lungo il controllo glicemico. A evidenziarlo è un nuovo studio randomizzato appena presentato al congresso dell’American Diabetes Association (ADA), a Chicago.
I risultati ottenuti con la cosiddetta ‘terapia tripla’ sono stati salutati come ‘potenzialmente rivoluzionari’ e tali da poter portare a un cambiamento di paradigma, anche se restano alcune questioni da chiarire.
Dopo 24 mesi di trattamento, l’emoglobina glicata (HbA1c) è risultata pari al 6% nel gruppo trattato con la combinazione di metformina, pioglitazone ed exenatide contro 6,6% in quello trattato con la strategia convenzionale a gradini, basata sull’inizio con la sola metformina alla quale in seguito è stata aggiunta una sulfonilurea e poi l’insulina basale (P < 0,001).
Inoltre, il tempo necessario per arrivare al momento in cui non si riusciva a mantenere la glicata sotto il target del 6,5% in terapia massimale è risultato significativamente più lungo con il nuovo approccio e i pazienti che rientravano in tale categoria dopo 24 mesi sono risultati il 17% con la terapia tripla contro il 42% con l’approccio convenzionale.
Inoltre, la combinazione simultanea dei tre agenti si è associata a una minore percentuale di ipoglicemie e a una perdita di peso (pari a 1,2 kg) , anziché a un aumento ponderale (di 4,1 kg), come accaduto nel gruppo trattato con la strategia sequenziale (P < 0,001).
“Se tale differenza si può davvero mantenere per un periodo di tempo più lungo, pensate a quante complicanze microvascolari in meno e a quanto si potrebbe risparmiare” ha detto ai presenti il primo firmatario dello studio, Abdul-Ghani, dello University of Texas Health Science Center di San Antonio, suggerendo che il risparmio potrebbe compensare il prezzo inizialmente superiore della terapia combinata.
“Tale strategia intensiva potrebbe essere un’opzione valida per i pazienti più giovani che vogliono fare tutto il possibile per affrontare la malattia” ha commentato Ronald Tamler, del Mount Sinai Diabetes Center di New York.
Ma l’esatto schema utilizzato nello studio potrebbe non essere davvero interessante nella pratica corrente, che è oggi è diversa e più prudente rispetto a quando era iniziato lo studio, sia in termini di target di glicata al di sotto del 7% sia per quanto riguarda l’impiego di pioglitazone, dopo gli avvertimenti dell’Fda circa il rischio di cancro alla vescica connesso all’impiego di questo farmaco, ha osservato Tamler. Altre preoccupazioni pratiche comprendono l’accettabilità di un farmaco da iniettare ogni giorno all’interno del regime terapeutico e quella di una politerapia, ha aggiunto lo specialista.
Anche il moderatore della sessione in cui è stato presentato il trial Julio Rosenstock, del Dallas Diabetes and Endocrine Center, ha definito i risultati controversi.
Lo studio ha coinvolto 155 pazienti con diabete di tipo 2 di nuova diagnosi mai trattati in precedenza con farmaci antidiabetici. Il gruppo assegnato alla terapia tripla è arrivato a prendere fino a 2000 mg di metformina, 30 mg di pioglitazone e 10 mcg di exenatide una volta al giorno entro il primo mese, con un target di emoglobina glicata inferiore al 6,5%. Il gruppo di controllo, invece, ha fatto un trattamento con metformina 1000 mg/die, portata fino a 2000 mg/die entro il primo mese di terapia, con l’aggiunta di gliburide 5 mg/die se la glicemia a digiuno rimaneva superiore a 100 mg /dl; al secondo mese, la dose di gliburide veniva raddoppiata se il glucosio rimaneva sopra i 100 mg/dl o se l’HbA1c non era sotto il target del 6,5%; al terzo mese, se tali obiettivi non erano ancora stati raggiunti, si aggiungeva insulina glargine 10 unità al giorno, aumentando il dosaggio di 10 unità su base settimanale, se la glicemia era ancora superiore a 100 mg/dl.
I pazienti sono stati controllati ogni 3 mesi, dopo i primi 3 mesi i dosaggi potevano essere abbassati in caso di episodi ipoglicemici o di sintomi di ipoglicemia.
Nel gruppo trattato da subito con la combinazione dei tre farmaci, quasi tutti i pazienti (il 92%), hanno raggiunto il target di glicata del 7,0% raccomandato dall’ADA contro il 72% nel gruppo convenzionale (P < 0,001).
Inoltre, i pazienti trattati con il nuovo approccio hanno mostrato una probabilità dell’84% inferiore di non riuscire a raggiungere un target di HbA1c inferiore al 6,5% in terapia massimale e quelli che hanno raggiunto un target di glicata inferiore al 6,0% sono stati più del doppio: il 60% nel primo caso contro il 27% nel secondo (P < 0,001).
Anche se in nessuno dei due gruppi si sono avuti episodi di ipoglicemia grave tali da richiedere assistenza, la percentuale di ipoglicemie è stata del 15% con la terapia triplice contro il 46% con la terapia sequenziale, un risultato che, visti gli agenti utilizzati, Tamler non ha trovato sorprendente.
Gli eventi avversi gastrointestinali sono risultati più comuni nel gruppo trattato con la terapia tripla (33% contro 21%), mentre le percentuali complessive degli eventi avversi sono risultate simili tra i due gruppi.
Tra i limiti dello studio, secondo Tamler, oltre alle dimensioni relativamente ridotte c’è quello di “aver messo assieme le mele con le pere” in quanto ha messo a confronto due strategie che includevano farmaci diversi.
Abdul-Ghani M, et al “Initial Triple Combination Therapy is Superior to Stepwise Add-On Conventional Therapy in Newly Diagnosed T2DM” ADA 2013; Abstract 72-OR
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da PHARMASTAR