Diabete. Un “semaforo” dà l’allarme
Appena arrivato un nuovo strumento per i diabetici, che hanno bisogno di tenere sotto controllo i livelli di glicemia per prevenire il rischio di ipoglicemie e iperglicemie: la lettura si fa con un semaforo. Non uno di quelli che si trovano agli incroci – chiaramente – ma semplicemente un segnalatore di profili glicemici: il dispositivo mostra il rischio di incorrere in questi pericolosi sbilanciamenti dei livelli di glucosio su un display attraverso semplici messaggi di testo di colore diverso. Si chiama OneTouch® Verio®IQ di LifeScan, ed è in grado di valutare i profili glicemici, interpretando i risultati e indicando alla persona che corre il rischio di un’ipoglicemia o di un’iperglicemia, poiché ha avuto nel corso degli ultimi 5 giorni, e nelle stesse ore della giornata, più valori oltre la soglia minima o massima accettabili. È disponibile in Italia dal 28 maggio.
Un indicatore che mantiene dunque per qualche giorno la ‘storia’ dei livelli di glucosio nel sangue del paziente. “Ciò è molto importante perché sappiamo, ad esempio, che lievi ipoglicemie frequenti sono spesso seguite da un evento grave, con le relative conseguenze”, ha spiegato Stefano Genovese, Responsabile Diabetologia e Malattie Metaboliche del Gruppo Multimedica di Milano. “Con i suoi messaggi, il sistema non solo avverte di un potenziale rischio, ma fa molto di più: aiuta la persona e il suo medico a ragionare su quali strategie mettere in atto per evitarlo, ad esempio cambiare la dose di insulina, modificare la dieta, agire sullo stile di vita. E forse qui è la grande innovazione”.
Senza contare la comodità dello strumento, ricaricabile come un telefonino, con cavo di alimentazione e presa micro-USB, e con la zona in cui si inserisce la striscia per la misurazione illuminabile, in modo che possa essere utilizzato al buio.
Uno strumento che non è utile – come si potrebbe pensare – solo ai pazienti affetti da diabete di tipo 1, visto che sono sempre di più i diabetici di tipo 2 a ricorrere all’insulina: secondo gli Annali dell’Associazione Medici Diabetologi (AMD) 2011 è infatti cresciuto del 4%, dal 26,7 al 30,6%, nel quinquennio 2005-2009, il numero di questi ultimi che ricorre all’ormone, da solo o associata ai farmaci orali. “Aggiungendovi la quota di persone con diabete di tipo 1, che necessitano obbligatoriamente del ricorso all’insulina, si raggiunge la cifra complessiva di 1,5 milioni di italiani in cura con insulina: 1 su 3 tra quelli con diabete”, ha spiegato Genovese.
“La crescita dell’utilizzo d’insulina nel diabete di tipo 2 è dovuta ai risultati degli studi pubblicati, a partire dallo storico UKPDS (1998), nella prima decade del secolo, che dimostrano come il controllo intensivo e precoce della glicemia riduca le complicanze del diabete”, spiega Giorgio Grassi, Coordinatore del gruppo “Tecnologie e Diabete” delle società scientifiche di diabetologia AMD-SID-SIEDP e diabetologo all’ospedale San Giovanni Battista “Le Molinette” di Torino.
All’aumento dell’utilizzo dell’insulina corrisponde un generale miglioramento del grado di controllo della malattia, espresso dal parametro emoglobina glicata (HbA1c). “È diminuito sia il numero di persone con valori di emoglobina glicata molto elevati, oltre 8 – indice di una non ottimale cura del diabete – sia quello dei valori inferiori a 6,5 – indicatore di un trattamento che potremmo definire troppo energico, anch’esso non sempre utile, se non azzardato”, ricorda Genovese. In particolare, è aumentata quella che tecnicamente si definisce ‘intensità terapeutica’: chi ha valori di emoglobina glicata più bassi ha diminuito il ricorso alla sola dieta in favore dell’uso di farmaci, soprattutto orali. È cresciuto, invece, l’impiego di insulina nelle persone con diabete più avanzato, a scapito delle terapie orali. “In altre parole, potremmo dire che si fa un uso più appropriato delle cure farmacologiche, ma con un potenziale risvolto della medaglia: la possibilità che si possa avere un aumento del rischio di ipoglicemia, legato appunto all’intensità del trattamento”, dice Grassi.
Diventa quindi fondamentale, nelle persone in cura con insulina, la misurazione domiciliare della glicemia per una corretta valutazione dei profili glicemici, che permette da un lato di “conoscere l’andamento della glicemia in relazione a pasti, attività fisica, insomma alla vita quotidiana; dall’altro di prevenire le complicanze acute – le ipoglicemie gravi una delle principali cause di ricovero ospedaliero e di costo per il sistema sanitario”, ha proseguito Grassi.
Le ipoglicemie hanno un impatto negativo sulla qualità della vita delle persone con diabete e la paura delle ipoglicemie è spesso responsabile di scarsa aderenza alla cura. Sempre lo studio canadese citato evidenzia come il 30% delle persone che hanno avuto un’ipoglicemia lieve, e l’84% di quelle con ipoglicemia grave, ha paura di un successivo episodio e, nella metà dei casi, riduce la dose di insulina.
“In un anno, una persona con diabete di tipo 1 va mediamente incontro a 47 episodi di ipoglicemia, quasi uno alla settimana. In 1-2 casi si tratta di un’ipoglicemia grave, tale da rendere necessario l’intervento di terzi o il ricovero. Si tratta comunque di una media, poiché vi sono persone che non sperimentano mai ipoglicemie gravi e altre che hanno un’elevata frequenza di episodi gravi di ipoglicemi”, ha concluso Grassi. “Nel diabete di tipo 2, invece, le ipoglicemie sono 9 l’anno in media, nelle persone in cura con insulina, e gli episodi gravi necessitano molto più frequentemente di ricovero di emergenza”.