E’ arrivata in Italia la molecola antidiabetica che viene dalla natura
Exenatide, sviluppato dallo studio di una lucertola dell’Arizona, Heloderma suspectum, dopo le approvazioni regolatorie americane, europee ed italiane, è ora a disposizione dei diabetologi italiani. Gli studi a lungo termine su exenatide, il primo di una nuova classe di farmaci detti incretino-mimetici, hanno dimostrato la sua efficacia nel controllare la glicemia, nel far perdere peso e evidenziato un miglioramento della funzionalità delle beta cellule del pancreas. È già a disposizione di diabetologi e diabetici italiani Exenatide, il nuovo trattamento per i diabete di tipo 2. Il farmaco, oltre a un’efficacia paragonabile a quella di Insulina Glargine, ha dimostrato di essere l’unico trattamento antidiabetico non orale in grado di far perdere peso e di migliorare la funzionalità delle beta cellule. Exenatide è, il primo di una nuova classe di farmaci, detti incretino-mimetici, che mimano l’azione di un ormone incretinico naturale (GLP 1), stimolando la secrezione di insulina ed esercitando altre azioni ipoglicemizzanti proprie di tale ormone. Agendo in base ai livelli di glucosio nel sangue, con un meccanismo, quindi, di tipo fisiologico, exenatide permette una somministrazione con posologia fissa, rendendo più facile il suo utilizzo per diabetologi e diabetici. “Il meccanismo d’azione di exenatide, volto a recuperare la funzionalità delle beta cellule, dimostra di essere efficace nel controllare la glicemia. Nel paziente non adeguatamente controllato dagli ipoglicemizzanti orali, exenatide può essere una valida alternativa alla terapia con insulina per via iniettiva” ha osservato Francesco Giorgino, Direttore dell’U.O. di Endocrinologia presso l’Azienda Ospedaliera Policlinico di Bari e Professore Ordinario di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo dell’Università degli Studi di Bari. “Gli studi dimostrano come aggiungere exenatide al farmaco orale prima dell’uso dell’insulina può aiutare i diabetici di tipo 2 ad ottenere lo stesso controllo glicemico che si ottiene con l’uso di alcuni schemi di terapia insulinica e, al contempo, a perdere peso. Infatti, il trattamento con exenatide è quasi sempre associato a una riduzione del peso corporeo laddove invece il trattamento con insulina è solitamente associato a un aumento di peso “. “La maggiore aderenza a questo trattamento da parte delle donne si può spiegare con la maggiore attenzione che ha il sesso femminile per i chili di troppo e con la capacità di exenatide di far perdere peso. Inoltre, a differenza dell’insulina, exenatide viene somministrata a dosaggio fisso e non provoca ipoglicemie: questo può rendere il trattamento più semplice.” aggiunge Giorgino. La nuova opzione terapeutica potrebbe permettere ad alcuni pazienti di posticipare la ‘dipendenza’ da insulina. “Quando al diabetico di tipo 2 viene consigliato il passaggio da ipoglicemizzante orale a insulina, si va incontro a due tipi di problemi” commenta Raffaele Scalpone, Presidente A.I.D. (Associazione Italiana Diabetici). “Il primo di natura psicologica, in quanto il paziente si sente in qualche modo costretto a utilizzare l’ultimo trattamento a disposizione, e il secondo di natura ‘fisica’, in quanto il passaggio a insulina comporta spesso un aumento di peso significativo e i problemi ad esso associati. L’arrivo di exenatide – conclude Scalpone – può rappresentare, quindi, una nuova strada che risolve in parte, ma efficacemente, questo tipo di problemi. Il suo effetto sulla funzionalità delle cellule beta del pancreas, inoltre, è una speranza in più per chi è affetto da una patologia cronica progressivamente ingravescente”. “E’ importante sottolineare come l’effetto sul peso è chiaramente dimostrato nei pazienti diabetici. Nel diabete di tipo 2, questo effetto è assai rilevante poiché si tratta di persone spesso in sovrappeso, se non chiaramente obese, con resistenza all’insulina ed elevato rischio di complicanze cardiovascolari. Il paziente diabetico che perde peso grazie al trattamento con exenatide spesso presenta anche ridotti livelli di lipidi nel sangue e livelli di pressione arteriosa più bassi” conclude Giorgino. L’annuncio del suo arrivo in Italia è stato dato al Bioparco di Roma, una delle strutture di eccellenza in Italia per la conservazione della Biodiversità. Nel prestigioso Rettilario è ospitato un esemplare femmina di Gila Monster di circa 40 cm di lunghezza e che oggi non vive più solitario. Eli Lilly ha infatti donato al Bioparco per l’occasione 6 altri esemplari di piccoli Gila Monster che potranno aiutare il Bioparco a preservare la specie. “Siamo lieti che, senza arrecare alcun danno agli animali, si sia riusciti a sintetizzare in laboratorio la nuova molecola alla base del farmaco” dichiara il Presidente della Fondazione Bioparco di Roma, Giovanni Arnone. “Purtroppo molte specie, come il Gila Monster si stanno estinguendo a causa della distruzione dell’habitat e dell’inquinamento e molte potrebbero estinguersi ancor prima di fornire un contributo importante per patologie attualmente prive di cura. Il ruolo del Bioparco in questo senso è fondamentale – continua Arnone – per sensibilizzare le nuove generazioni sul valore della Biodiversità e sull’importanza della sua tutela”. “Mi confronto quasi quotidianamente – racconta Enrico Alleva, Direttore del Reparto di neuroscienze comportamentali dell’Istituto Superiore di Sanità – con il problema dell’erosione della biodiversità globale. Assieme a molti evoluzionisti e conservazionisti assistiamo al triste evento denominato sesta estinzione di massa: si stima che circa ogni 20 minuti si estingua oggi una specie vegetale o animale, tra cui molte varietà mai descritte da botanici, zoologi o microbiologi”. La storia delle Scienze Mediche, in particolare la farmacologia, insegna che moltissimi agenti utili per la salute umana sono derivati da specie animali o vegetali, alcune attualmente rarefatte o a rischio di estinzione. Il premio Nobel Daniel Bovet, il cui gruppo di lavoro all’Istituto Superiore di Sanità è guidato oggi da Alleva, utilizzando estratti vegetali, provenienti dall’Amazzonia, riuscì a sintetizzare chimicamente i curari. Con analoghe metodologie produsse il primo farmaco sulfamidico, salvando milioni di vite. “Da Bovet – conclude Alleva – abbiamo ereditato il più grande insegnamento su come utilizzare a fini terapeutici la biodiversità tropicale”. Lilly Italia
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Comunicato Stampa, Fonte Lilly Italia 7 marzo 2008
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