Efficacia delle statine nei soggetti diabetici
Il diabete mellito è considerato una vera e propria emergenza sanitaria a causa della sua elevata prevalenza, destinata ad aumentare ulteriormente nei prossimi anni. Sia il diabete tipo 1 (DT1) sia il tipo 2 (DT2) presentano un maggior rischio di malattie aterosclerotiche , per cui è prioritario identificare trattamenti efficaci per prevenire gli eventi cardiovascolari. Nel DT2, la dislipidemia tipica è l’aumento dei trigliceridi con riduzione del colesterol-HDL (c-HDL), mentre nel DT1 i trigliceridi sono generalmente più bassi rispetto ai pazienti con DT2, con c-HDL a valori medi o elevati. In entrambi i tipi di diabete, le concentrazioni di colesterolo-LDL (c-LDL) sono simili alla popolazione normale, ma questa apparente normalità maschera l’aumento delle particelle di LDL piccole e dense, particolarmente aterogene. Studi effettuati su numerose popolazioni hanno mostrato una correlazione lineare tra concentrazione di c-LDL e rischio coronarico . Nello studio MRFIT (1), per esempio, a ogni riduzione di 1 mmol/L (circa 39 mg/dL) di colesterolemia totale si associava una diminuzione del 50 per cento del rischio di morte per cardiopatia ischemica nei circa 360mila uomini studiati. Di questi, 5.000 erano diabetici: la correlazione tra mortalità coronarica e colesterolemia era simile, ma il rischio assoluto di mortalità coronaria era da tre a cinque volte più elevato rispetto ai non diabetici (2). Il gruppo CTT che ha redatto questo articolo aveva già pubblicato i risultati sull’efficacia della terapia ipocolesterolemizzante nella popolazione generale (3) evidenziando come la riduzione di 1 mmol/L di colesterolo diminuisce il rischio di eventi cardiovascolari maggiori di circa il 20 per cento, indipendentemente dai livelli basali di colesterolemia. C’erano, però, scarse informazioni sugli effetti distinti su singoli eventi cardiovascolari (infarto miocardico, morte per coronaropatia, ictus, necessità di rivascolarizzazione miocardica) ed efficacia della terapia ipocolesterolemizzante anche in diabetici senza malattia aterosclerotica: per questo sono stati analizzati i dati dei 18.686 diabetici partecipanti ai 14 trial della metanalisi CTT. I pazienti diabetici hanno mostrato una riduzione del 9 per cento nella mortalità per tutte le cause (p=0,02) per ogni riduzione di 1mmol/L di c-LDL , simile al 13 per cento osservabile nei soggetti non diabetici (p<0,0001). Nei diabetici si è avuta una riduzione della mortalità da coronaropatia (0,88; p=0,03) e per tutte le cause (0,87; p=0,008). Non si sono osservate differenze sulla mortalità non cardiovascolare nei diabetici e nei non-diabetici con l’utilizzo di statine. Tra i diabetici vi è una significativa riduzione del 21 per cento dell’incidenza di eventi cardiovascolari maggiori per ogni mmol/L di riduzione di c-LDL (p<0,0001), pari al 21 per cento di riduzione osservata nei non diabetici. Nei diabetici si è osservata anche una significativa riduzione di eventi coronarici maggiori (22 per cento, p<0,0001), rivascolarizzazioni coronariche (25 per cento, p<0,0001), ictus (21 per cento, p<0,0002): tali effetti erano simili a quanto osservato nei non diabetici. Il gran numero di eventi vascolari maggiori (n=3.247) rilevati nei diabetici ha permesso di valutare l’effetto della riduzione di c-LDL in distinti sottogruppi. Tra i diabetici, quindi, la riduzione proporzionale di circa un quinto di eventi vascolari maggiori per ogni mmmol/L di c-LDL era del tutto sovrapponibile sia che fosse presente o meno una malattia vascolare. Nei 6.956 soggetti con diabete e storia di malattia vascolare gli effetti del trattamento con statina erano simili in soggetti con coronaropatia (-18 per cento, p<0,0001) o con altre patologie vascolari (-20 per cento, p<0,02). Negli 11.730 partecipanti con diabete, ma senza storia di vasculopatia, gli effetti del trattamento con statina erano simili tra gli ipertesi (-25 per cento, p<0,0003) e i normotesi (-31 per cento, p<0,0001). L’incidenza di eventi vascolari maggiori è stata ridotta di circa il 20 per cento per ogni mmol/L di c-LDL in tutti i sottogruppi dei diabetici esaminati ( figure 4 e 5 ). L’effetto proporzionale era simile, indipendentemente da diverse caratteristiche (tipo di diabete, sesso, età, trattamento per ipertensione, indice di massa corporea, pressione sistolica o diastolica, fumo, funzione renale). Stratificando i partecipanti secondo il rischio annuo stimato per eventi vascolari maggiori, la riduzione di ogni mmol/L di c-LDL era simile in ognuno delle tre categorie di rischio (<4,5 per cento, 4,5-8,0 per cento e >8,0 per cento l’anno). C’è qualche limitazione nell’evidenza diretta del beneficio nei 1.466 diabetici tipo 1 (-21 per cento, p=0,01), ma negli altri sottogruppi la riduzione proporzionale era statisticamente significativa. Nei pazienti diabetici, la riduzione proporzionale di eventi vascolari maggiori di un quinto per ogni riduzione di 1mmol/L di c-LDL era simile per ogni sottogruppo in base alla lipemia basale, stratificata secondo colesterolemia totale, c-LDL, c-HDL, trigliceridemia e rapporto LDL/HDL. Nonostante la dispersione dei dati, i risultati concordano con la riduzione di circa un quinto di eventi cardiovascolari maggiori per ogni mmol/L di riduzione di c-LDL almeno sino a un c-LDL basale di 2,6 mmol/L o meno, così come osservato nei soggetti non diabetici. Nel complesso si è osservata una riduzione proporzionale del 10 per cento di eventi vascolari maggiori nel primo anno seguita da una riduzione del 20-30 per cento negli anni successivi; tale riduzione proporzionale era simile nei diabetici e nei non diabetici. Tra i diabetici trattati con statine, dopo cinque anni, 42 pazienti in meno ogni 1.000 avevano avuto un evento vascolare maggiore per ogni mmol/L di riduzione di c-LDL. Il maggior beneficio era per i soggetti con vasculopatia nota, rispetto a quelli senza patologia vascolare (57 vs 36 eventi in meno per 1.000 soggetti per ogni mmol/L di riduzione di LDL-C). Si conferma, quindi, che la terapia con statine riduce l’incidenza (a cinque anni) di eventi vascolari maggiori di circa un quinto, indipendentemente dal livello di lipemia basale . Quanto maggiore è la diminuzione di c-LDL, tanto più si riducono gli eventi vascolari: ciò significa che il beneficio è proporzionale al rischio basale dei pazienti e alla riduzione assoluta di c-LDL ottenuta dalla terapia con statine . Le dosi standard di statine diminuiscono il c-LDL del 40 per cento circa: ciò si traduce in una riduzione assoluta di almeno 1,5 mmol/L, che significa la prevenzione di un evento vascolare maggiore per circa un terzo dei pazienti, indipendentemente dalle caratteristiche basali. Sebbene i pazienti inseriti negli studi fossero affetti in prevalenza da DT2, anche la riduzione ottenuta dalle statine nei casi di DT1 era statisticamente significativa. Il gruppo CTT insiste poi sul fatto che il beneficio del trattamento con statine è comparabile tra uomini e donne , per cui la decisione di trattare non deve basarsi sul sesso, ma sulla valutazione del rischio assoluto del paziente. Inoltre la riduzione assoluta di c-LDL era indipendente dalla lipemia basale, anche per bassi valori di c-LDL, per cui il beneficio prodotto dalla terapia con statine è sostanzialmente correlato in modo lineare alla riduzione assoluta di c-LDL, senza alcun valore soglia inferiore al di sotto del quale il beneficio sia assente. Questo implica che le linee guida che raccomandano di titolare le dosi di statine per raggiungere un target di c-LDL dovrebbero essere riviste. La sicurezza d’uso delle statine è stata confermata anche nei pazienti diabetici nei quali non si sono rilevati rischi maggiori di morte per cause non vascolari o per cancro, né si sono evidenziati casi di rabdomiolisi statisticamente diversi rispetto a soggetti non trattati. Recentemente sono stati pubblicati due ampi studi con statine in soggetti diabetici, non inclusi in questa metanalisi: l’ Atorvastatin Study for Prevention of Coronary Heart Disease Endpoints in Non-Insulin Dependent Diabetes Mellitus (ASPEN) (4) e il German Diabetes and Dialysis Study (4D) (5). Lo studio ASPEN includeva 2.410 diabetici tipo 2, in prevalenza senza vasculopatia, trattati con atorvastatina 10 mg o placebo. A fronte di una riduzione media di 0,9 mmol/L di c-LDL dopo quattro anni si è ottenuta una diminuzione (non significativa) del 10 per cento dell’endpoint primario (morte cardiovascolare, infarto miocardico e ictus cerebrale non fatale, rivascolarizzazione coronarica, arresto cardiaco rianimato, angina instabile). Lo studio 4D ha incluso 1.255 diabetici emodializzati trattati con atorvastatina 20 mg o placebo; nonostante la riduzione di 1,1 mmol/L di c-LDL dopo un anno si è osservata una diminuzione (non significativa) dell’8 per cento dell’endpoint primario (infarto miocardico, morte cardiaca o ictus cerebrale). Il gruppo CTT ha cercato allora di capire se tali risultati non soddisfacenti avessero potuto modificare le conclusioni della metanalisi: la riduzione proporzionale di eventi vascolari maggiori per 1 mmol/L di c-LDL cambia di poco (dal 21 al 20 per cento) e non modifica le conclusioni dell’attuale studio. Peraltro, dopo il 2004 sono stati pubblicati ulteriori studi – ALLIANCE (6), SPARCL (7) e MEGA (8) – che insieme allo studio GRACE (9), che non poteva essere incluso nella prima analisi, hanno valutato nel complesso 2.500 diabetici. Tutti questi studi hanno ottenuto diminuzioni significative degli endpoint primari che confortano le conclusioni di questa metanalisi: i benefici ottenibili con la terapia statinica sugli eventi vascolari maggiori nei pazienti diabetici, compresi coloro senza storia di vasculopatia, similmente a quanto osservato nei non diabetici. Quindi il rapporto costo/beneficio è lo stesso, indipendentemente dalla presenza del diabete, e dipende dal rischio cardiovascolare assoluto specifico del paziente . Escludendo pertanto di trattare con statine le gestanti (per problemi di sicurezza) e i ragazzi con DT1 (per il basso rischio assoluto) e considerando che l’ampiezza del beneficio dipende principalmente dalla riduzione assoluta di c-LDL raggiunta , si desume che si debba consigliare un trattamento con statine per tutti i diabetici, indipendentemente dalla pre-esistenza di vasculopatia e dal profilo lipidico . Nel commento alla metanalisi apparso sullo stesso numero di Lancet (10), oltre agli studi ASPEN e 4D, si cita tuttavia un altro studio “negativo”, Controlled Rosuvastatin Multinational Trial in Heart Failure (CORONA) (11), che riporta una riduzione dell’8 per cento dell’endpoint primario (non statisticamente significativo) nonostante una riduzione del 45 per cento di c-LDL con rosuvastatina 10 mg. In questo trial il 30 per cento dei 5.011 partecipanti (anziani e con scompenso cardiaco) era diabetico. Inoltre, la presente metanalisi non considera neppure i piccoli trial, gli studi non pubblicati o pubblicati non in lingua inglese. Ma anche se negativi per l’ endpoint primario, la riduzione di infarto miocardico fatale o non-fatale era del 15 per cento nel 4D, del 26 per cento nell’ASPEN e del 17 per cento in CORONA: questi risultati, seppure non statisticamente significativi se presi isolatamente, sono concordi con le rassicuranti conclusioni della metanalisi. Non si consiglia, perciò, di rivedere le linee guida, ma di considerare che le statine non sono la panacea di tutti i mali : i pazienti trattati con statine possono soffrire di tutte le altre cause di morbilità e mortalità. E’ importante che la decisione del trattamento con statine sia basata sulla riduzione del rischio assoluto (o sul suo reciproco NNT, cioè il minimo numero di pazienti da trattare per ridurre un evento). Se un paziente ha un alto rischio cardiovascolare assoluto, allora anche una modesta riduzione di rischio apporta grande beneficio. Inoltre si dovrebbero considerare l’aspettativa di vita, le patologie concomitanti e la qualità di vita senza dimenticare l’importanza del cambiamento dello stile di vita (abolizione del fumo, educazione alimentare e regolare esercizio fisico). Bibliografia
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di Antonio C. Bossi 14 giugno 2008 |