Farmaco per cuore e diabete rallenta malattia reni e taglia 30% decessi
Buone notizie per i 3 milioni di italiani con problemi renali cronici, che riguardano il 10% della popolazione mondiale, con nuove diagnosi in drammatico aumento. Una terapia finora approvata solo contro il diabete e l’insufficienza cardiaca si è dimostrata in grado di contrastare la progressione della malattia renale cronica. Lo studio internazionale ‘Empa-Kidney’, condotto dall’Università di Oxford con la partecipazione dell’Irccs ospedale policlinico San Martino di Genova, centro coordinatore per l’Italia, ha dimostrato che la terapia non ha controindicazioni nei pazienti, riduce del 28% l’avanzamento della malattia e il rischio di morte cardiovascolare. Lo studio clinico ha ricevuto lo stop anticipato per gli evidenti effetti positivi registrati dopo il trattamento e i suoi risultati sono stati appena pubblicati sul ‘New England Journal of Medicine’.
La malattia renale cronica (Mrc) – ricorda una nota – è una delle principali cause di mortalità a livello globale: si stima che ogni anno nel mondo ci siano almeno 5 milioni di decessi con un numero di casi in costante crescita, essendo la Mrc strettamente collegata ad altre patologie metaboliche e cardiovascolari, tra cui il diabete, l’ipertensione e l’obesità. Pertanto, la diagnosi precoce e la cura possono avere importanti e favorevoli ricadute sulla salute pubblica e sulla spesa sanitaria.
“Fino ad oggi la strategia terapeutica per rallentare il peggioramento della malattia era tradizionalmente basata sul controllo e la correzione dei fattori di rischio renale e cardiovascolare, come la pressione o l’indice glicemico”, spiega Roberto Pontremoli, direttore della Clinica di Medicina interna 2 del Policlinico San Martino, professore ordinario di Medicina Interna dell’Università di Genova e coordinatore nazionale dello studio”. “Questa strategia, tuttavia, si è dimostrata solo parzialmente efficace e la maggior parte dei pazienti manifesta un progressivo deterioramento nel tempo della funzione renale. Recentemente, dapprima nei pazienti con diabete tipo 2 e anche in pazienti con malattia renale cronica ma senza diabete, le glifozine hanno dimostrato una spiccata capacità di rallentare l’evoluzione della malattia”.
Le glifozine sono una nuova classe di farmaci che agiscono con un meccanismo metabolico del tutto nuovo, inizialmente studiati e utilizzati come antidiabetici. “Questi farmaci – chiarisce Pontremoli – bloccano il funzionamento di alcune proteine renali, chiamate cotrasportatori sodio-glucosio, fondamentali per il mantenimento dei livelli ottimali di glucosio nel sangue. Le glifozine, inibendo il funzionamento di queste proteine, prevengono l’accumulo di glucosio in eccesso che viene espulso dall’organismo attraverso le urine. Il passaggio di glucosio attraverso il rene nelle urine innesca meccanismi che portano molteplici effetti protettivi sulle cellule renali”.
‘Empa-Kidney’ – riferisce ancora la nota – è uno studio internazionale di nefroprotezione, ad oggi il più esteso, che ha coinvolto, oltre l’Italia, 7 paesi, Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Germania, Malesia, Giappone e Cina. L’indagine ha valutato in 6.609 pazienti con problemi renali, con e senza il diabete, la sicurezza e l’efficacia del trattamento con empagliflozin. L’obiettivo primario dello studio era valutare se il farmaco rallentasse la progressione della malattia renale e riducesse il rischio di morte per cause renali o cardiovascolari. “I pazienti, con età media di 63.8 anni, sono stati seguiti per due anni per valutare l’andamento della malattia, la mortalità e i ricoveri”, precisa Pontremoli.
“Un evento cardiovascolare (infarto o ictus) o renale si è verificato in 432 dei 3.304 pazienti del gruppo che ha assunto il farmaco e in 508 dei 3.305 pazienti del gruppo placebo, dimostrando che il farmaco riduce del 28% la progressione della malattia in forma più grave, sia nei pazienti diabetici che in quelli senza diabete. Inoltre, – aggiunge l’esperto – nel gruppo che ha assunto empagliflozin si è registrato un minor numero di ricoveri, con una riduzione del 14% rispetto al gruppo placebo. Questo studio – sottolinea – è importante perché suggerisce la possibilità di estendere l’impiego dell’empagliflozin in pazienti con problemi renali cronici anche senza diabete. Inoltre – conclude Pontremoli – il trattamento è destinato a influenzare significativamente gli standard terapeutici per i prossimi 10-20 anni. Potrà infatti migliorare la prognosi dei pazienti nefropatici, ritardando la necessità di sottoporsi a dialisi e/o a trapianto del rene ed evitando malattie cardiache associate a problemi renali”.
da ADNKronos Salute 7.11.2022