Gli esperti: “Troppe pillole al giorno”
Non basta che sia efficace e sicura. Serve anche che abbia pochi effetti collaterali, che sia comoda e da somministrare poche volte al mese, in modo semplice, sempre pronta all’uso, invisibile, indolore. Un ‘click’ silenzioso, anonimo, che tolga dall’imbarazzo chi si trova costretto ad iniziare la cura e che aiuti colui che la sta seguendo, spesso male, da anni, a gestirla al meglio. Questa è la richiesta e la speranza dei tre milioni di malati di diabete di tipo 2 ma anche dalle migliaia di medici specialisti che in questo modo potrebbero gestirli ancora meglio, certi di una maggiore probabilità di successo terapeutico e di una piena accettazione di una cura per una malattia che resta comunque cronica. Invece oggi accade che, dei circa 2 milioni di diabetici in terapia con ipoglicemizzanti orali (a volte 2, 3 pillole al giorno), il 70 per cento la abbandona, mettendo in pericolo la propria salute. Senza contare gli 800 mila pazienti in cura con insulina, di cui oltre la metà ‘dimentica’ la dose giornaliera una o più volte a settimana, compromettendo di fatto la possibilità di controllare efficacemente il metabolismo del glucosio. Addirittura in 200 mila abbandonano del tutto la terapia, esponendosi ad un altissimo rischio di complicanze e mettendo a repentaglio la propria vita. Infatti ogni venti minuti un diabetico muore per le conseguenze di un trattamento malgestito: l’aspettativa di vita per questi pazienti è tuttora di 5-10 anni inferiore alla norma, ma potrebbe allinearsi a quella della popolazione generale con terapie adeguate e semplici da seguire. Di queste problematiche, che non riguardano solo l’Italia, si è parlato oggi al congresso della American Diabets Association, in corso a Boston fino al 9 giugno.
“Le cure per il diabete – spiega Francesco Giorgino, professore ordinario di endocrinologia e malattie metaboliche all’Università di Bari e presente al congresso – sono spesso complesse, richiedono nella fase avanzata anche tre farmaci giornalieri, dopo i quali si passa all’insulina per via iniettiva. Questo percorso costituisce una grande barriera, psicologica e pratica per i pazienti. Come risultato, molti dimenticano e poi abbandonano le cure. Situazioni che comportano costi sanitari ed economici molto più elevati della terapia stessa. Si stima, infatti, che nel mondo ogni 9 dollari di spesa sanitaria uno sia provocato dal diabete, che nel 2014 ha comportato un costo complessivo mondiale stimato in 612 miliardi di dollari”.
“Il problema della mancata aderenza – precisa dall’Italia Nicoletta Musacchio, responsabile dell’Unità Operativa di Diabetologia agli Istituti Clinici di Perfezionamento di Milano – esiste dunque anche nel caso della terapia con ipoglicemizzanti orali: nonostante vengano assunti sotto forma di pillole e quindi siano teoricamente più ‘graditi’ ai pazienti, anche questi vengono spesso abbandonati anche dopo pochi mesi. I pazienti diabetici spesso sono anziani o soffrono di altre patologie, perciò ricordare di prendere una, due o tre pastiglie ogni giorno per molti è complicato. Le barriere più grandi alla terapia, quindi, non sono tanto il tipo di farmaco o la modalità di somministrazione: ciò che tiene lontani i diabetici dalle cure è dover ‘pensare’ quotidianamente alle medicine e il timore degli effetti collaterali a cui potrebbero andare incontro. Sia l’insulina che alcuni ipoglicemizzanti orali, infatti, possono indurre crisi ipoglicemiche e soprattutto possono determinare un aumento di peso, esattamente il contrario di ciò che si chiede ai malati per tenere sotto controllo il diabete: tutto ciò li scoraggia e spiega perché, di fatto, la terapia dei circa 3 milioni di diabetici italiani sia una strada ancora in salita”.
“Nei diabetici in cui non si riesce a ottenere un efficace controllo glicemico – conclude Giorgino – l’ideale sarebbe poter utilizzare farmaci efficaci quanto l’insulina ma più semplici da somministrare, già al fallimento del primo o al massimo del secondo farmaco orale prescritto, evitando la somma di pastiglie difficile da gestire. I farmaci incretinici come gli agonisti del GLP1 (Glucagon-like peptide 1) da questo punto di vista sembrano promettenti: le sperimentazioni condotte finora su pazienti falliti a primo o doppio orale mostrano che si tratta di medicinali altrettanto validi se non addirittura più efficienti di altre opzioni terapeutiche, tra cui l’insulina, nel ridurre il glucosio nel Sangue. In aggiunta, si tratta di prodotti che non si associano a un incremento di peso (anzi, molto spesso si accompagnano ad una riduzione) e che inducono un minor rischio di ipoglicemie, spesso da assumere una sola volta alla settimana e senza che sia necessario aggiustare i dosaggi a seconda delle proprie attività. Tutte queste caratteristiche, associate a un buon profilo di sicurezza, rendono questi farmaci molto interessanti: gli studi clinici evidenziano anche un buon gradimento da parte dei malati e ciò autorizza a sperare in una maggiore aderenza alle terapie per un controllo più efficace del diabete”.