I beta-bloccanti possono aumentare il rischio di mortalità

Nei pazienti diabetici, in particolare tra quelli con malattia coronarica (CHD), l’uso di beta-bloccanti può essere associato a un aumento del rischio di mortalità per tutte le cause, come suggerisce una nuova ricerca pubblicata nel numero di aprile dei Mayo Clinic Proceedings.

Tra i circa 3.000 partecipanti con diabete, la mortalità per tutte le cause in un periodo di 5-6 anni è risultata significativamente più alta in quanti assumevano beta-bloccanti rispetto a quanti non lo facevano, con un effetto ancora più pronunciato tra quelli con malattia coronarica, scrivono Tetsuro Tsujimoto del Center Hospital di Tokyo, Giappone e colleghi.

Viceversa, tra quasi 15.000 partecipanti senza diabete che avevano la CHD, la mortalità per tutte le cause è stata significativamente ridotta tra coloro che hanno assunto beta-bloccanti rispetto a quelli che non lo hanno fatto.

I bloccanti del recettore beta-adrenergico hanno dimostrato di migliorare la sopravvivenza nei pazienti che hanno avuto un infarto miocardico (MI) e in quelli con insufficienza cardiaca congestizia (CHF) a causa della disfunzione sistolica ventricolare sinistra.

Ma oltre a ciò, Tsujimoto e colleghi osservano che «i beta-bloccanti non hanno mai dimostrato di migliorare la sopravvivenza in tutti gli altri pazienti con CHD stabile in assenza di infarto miocardico, o CHF senza disfunzione sistolica. Inoltre, la loro efficacia nei pazienti diabeti con CHD/CHF rimane sconosciuta».

Largo uso di betabloccanti senza prove solide

I nuovi risultati nei diabetici “fanno riflettere”, affermano in un editoriale di accompagnamento Franz Messerli dell’Ospedale Universitario di Berna, Svizzera, e Thomas Suter della New York University School of Medicine.

«Sfortunatamente, sotto l’ombrello della cardioprotezione, le prove di efficacia raccolte negli studi post-MI sono state acriticamente estrapolate per altre indicazioni, come l’ipertensione, il diabete, la malattia renale cronica e persino le malattie cerebrovascolari», scrivono Messerli e colleghi.

«Nonostante la mancanza di prove, il marketing a supporto dell’impiego dei beta-bloccanti per una cardioprotezione completa si è rivelato estremamente efficace, e molte delle indicazioni mal documentate di questi farmaci si sono radicate nella mente dei medici», hanno aggiunto.

Inoltre, sia gli autori dello studio che gli editorialisti, sottolineano che gran parte dei dati a supporto del beneficio dei beta-bloccanti provengono da studi condotti decenni fa, prima dell’era della riperfusione e delle attuali terapie farmacologiche come i nuovi anticoagulanti orali, i farmaci che riducono i lipidi e i bloccanti del sistema renina-angiotensina.

In particolare nelle persone con diabete, l’aumento dell’ipoglicemia e del peso associati ai beta-bloccanti possono contribuire a causare esiti avversi, insieme alla possibilità che questi agenti aumentino la pressione arteriosa, che dovrebbe già essere più pronunciata nelle persone con arterie più rigide, come è il caso di molti soggetti con il diabete.

Risultati differenti tra diabetici e non

La popolazione dello studio era composta da 2840 pazienti con diabete, di cui 697 assumevano beta-bloccanti e 14.684 senza diabete, di cui 1584 assumevano beta-bloccanti. Sia la CHD che la CHF erano più prevalenti nei soggetti trattati con questi farmaci rispetto a chi non ne faceva uso (p<0,001).

Tra quelli con diabete, i tassi di eventi di morte per tutte le cause, per 1.000 persone-anno, erano 40,6 per quelli che assumevano beta-bloccanti, contro 17,1 per quelli che non li assumevano. Tra i partecipanti senza diabete, i tassi erano rispettivamente 13,8 e 5,9.

Nell’analisi multivariata, l’HR aggiustato per la mortalità per tutte le cause tra i diabetici in terapia con beta-bloccanti, rispetto a chi non era trattato, era di 1,49 (p=0,01).

Simili risultati in quanti assumevano beta-bloccanti selettivi β1 (p=0,007) e beta-bloccanti specifici (bisoprololo, metoprololo e carvedilolo), rispetto a quanti non ne facevano uso (p=0,01).

Tra i partecipanti senza diabete, l’HR aggiustato non differiva significativamente tra quelli che assumevano e non assumevano questi farmaci (0,99; p=0,96).

Inoltre, la mortalità per tutte le cause era significativamente più alta tra quelli con diabete e malattia coronarica che assumevano beta-bloccanti rispetto a quelli non in terapia (p=0,02), mentre il rischio era significativamente più basso con i beta-bloccanti tra coloro che avevano una CHD ma non avevano il diabete (p=0,02).

Tsujimoto e colleghi concludono che «l’uso di beta-bloccanti può essere associato a un aumentato rischio di mortalità per i pazienti con diabete e tra i sottogruppi con CHD. Sono necessari ulteriori studi per valutare se sono efficaci nel ridurre la mortalità e gli eventi coronarici nei pazienti diabetici sottoposti a trattamento medico ottimale».

Tsujimoto T et al. Risk of All-Cause Mortality in Diabetic Patients Taking β-Blockers. Mayo Clinic Proceedings , Volume 93 , Issue 4 , 409 – 418
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da PHARMASTAR