I farmaci anti-diabetici causano scompenso cardiaco?
Gli studi osservazionali hanno da tempo messo in relazione scompenso cardiaco e diabete, ma non sono noti i meccanismi patogenetici alla base di questa associazione. In particolare non è chiaro se questa sia riconducibile ad una serie di condizioni associate al diabete , dall’insufficienza renale cronica, alla cardiopatia ischemica, all’ipertensione arteriosa, o imputabile direttamente ad uno scarso controllo glicemico.
Per far luce su questi aspetti, un lavoro appena pubblicato su JACC da Daniala Weir e colleghi dell’Università di Alberta (Canada) ha esaminato in maniera retrospettiva gli effetti di sitagliptin nei pazienti con diabete di tipo 2 e scompenso cardiaco. Lo studio è stato condotto analizzando i dati di una compagnia assicurativa statunitense, dai quali sono stati individuati 7.620 pazienti diabetici con una prima diagnosi di scompenso cardiaco, trattati con metformina o sulfoniluree e seguiti nel tempo. Successivamente sono stati confrontati i soggetti trattati con sitagliptin e confrontati con gli altri, non in trattamento con questo DDP4 inibitore, relativamente all’endpoint ‘ricoveri per tutte le cause’ o mortalità; è stato inoltre valutato il numero dei ricoveri per scompenso cardiaco e i decessi correlati. L’età media dei pazienti era 54 anni e il 58% di loro era maschio. In totale, sono risultati trattati con sitagliptin 887 pazienti, dopo prima diagnosi di scompenso cardiaco.
L’endpoint composito primario si è verificato nel 54% dei pazienti e i soggetti trattati con sitagliptin non sono risultati ad aumentato rischio né per quanto riguarda l’endpoint composito primario, (7,1% versus 9,2%, con aOR 0,84), né per le sue singole componenti (ricoveri per tutte le cause 7,5% contro 9,2%; mortalità 6,9% contro 9,3%). I pazienti in trattamento con sitagliptin tuttavia hanno presentato un aumentato rischio di ricovero per scompenso cardiaco (12,5% contro 9,0%).
La conclusione degli autori è che l’uso di sitagliptin non si associa ad un aumentato rischio di ricoveri per tutte le cause o di mortalità, ma si associa a un maggior numero di ricoveri per scompenso cardiaco nei pazienti con diabete di tipo 2 e scompenso cardiaco pre-esistente.
Sul fronte dei trattamenti anti-diabetici, sulfoniluree e insulina possono dare una serie di effetti indesiderati che vanno dalla ritenzione idrica, all’aumento di peso, alle crisi ipoglicemiche, che spesso ne limitano l’uso nei pazienti con scompenso cardiaco; analogamente i glitazoni sono controindicati nei soggetti con scompenso cardiaco perché danno ritenzione idrica. Le evidenze attualmente disponibili in letteratura non permettono ancora di stabilire con certezza se la classe dei DDP4 inibitori possa avere effetti negativi sui pazienti con diabete di tipo 2 e scompenso cardiaco. Per questo c’è grande interesse intorno a questo argomento. Alcuni studi di recente pubblicazione hanno evidenziato un possibile aumento del rischio di ricovero per scompenso cardiaco con vari ipoglicemizzanti (aleglitazar e alcuni DPP4 inibitori).
“Prima di questi recenti studi – ricorda Deepak L. Bhatt del Brigham and Women’s Hospital Heart & Vascular Center (USA), autore di un editoriale correlato a questo studio – non c’erano evidenze, né cliniche né di ricerca di base che suggerissero un possibile aumentato rischio di scompenso cardiaco con la terapia con DPP4 inibitori. Anzi i dati di basi science suggeriscono ampiamente un effetto favorevole sugli eventi cardiovascolari, ivi compresa la funzione ventricolare. Lo studio di Weir è del tipo ‘nested case control’(studio di caso-controllo nidificato), una tipologia che può sempre comportare problemi nella selezione dei controlli ( possono presentarsi cioè importanti differenze tra le due popolazioni in studio) e non consente di escludere potenziali elementi confondenti”.
Inoltre questi dati provengono da un database assicurativo, che manca di definizione su tante variabili cliniche, importanti per comprendere gli esiti e per aggiustare dei possibili elementi di confusione e ha un elevato potenziale di bias di errata classificazione. I numeri assoluti dei ricoveri per scompenso, nei soggetti in terapia con sitagliptin da almeno 90 giorni prima dell’evento, sono risultati comunque molto bassi: 25 casi su 824 ricoveri per scompenso cardiaco durante il follow up.
Con tutti i limiti elencati, questo studio aggiunge comunque un piccolo tassello ad una serie di evidenze che sembrano suggerire che la classe dei DPP4 inibitori – effetto probabilmente comune , sottolinea Bhatt, a tutte le terapie anti-diabetiche in generale – potrebbe aumentare il rischio di scompenso cardiaco. In ogni caso, ammesso che di rischio si possa parlare, questo è decisamente contenuto e non si ripercuote sulla mortalità.
“Di certo – conclude Bhatt – è necessario esplorare queste potenziali associazioni e individuare i meccanismi attraverso i quali i farmaci anti-diabetici potrebbero causare scompenso cardiaco. E i risultati di questo studio mettono in luce la necessità d condurre i trial ben disegnati, in grado di analizzare con rigore la presenza di scompenso cardiaco nei soggetti con diabete.”
Tutta l’attenzione della comunità scientifica a questo punto è appunta sui risultati dello studio TECOS (Trial Evaluating Cardiovascular Outcomes with Sitagliptin), che ha arruolato 14 mila pazienti con diabete di tipo 2, randomizzandoli a sitagliptin o placebo. È lo studio che potrebbe chiarire in maniera definitiva il rapporto tra terapia con DDP4 inibitori e scompenso cardiaco.
“E nel frattempo – consiglia Bhatt – i pazienti diabetici a rischio di ricoveri per scompenso cardiaco (cioè quelli con scompenso già diagnosticato) in trattamento con DPP4 inibitori, ma forse anche tutti quelli in terapia con qualunque anti-diabetico, dovrebbero essere seguiti con attenzione in ambulatorio, ricercando possibili segni o sintomi di scompenso cardiaco”.
di Maria Rita Montebelli