Il diabete può «sfiancare» il cuore
Che il diabete faccia male al cuore si sa. Ora si scopre che anche quando non c’è alcuna avvisaglia di disturbi cardiaci la glicemia troppo alta e non proprio sotto controllo può aver già fatto danni. Accade in ben nove pazienti su dieci, stando ai risultati dello studio DYDA presentato a Firenze nel corso dell’ultimo congresso dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri(ANMCO). Che però dà anche qualche speranza: trattandosi di alterazioni iniziali, è possibile “rendere fiato” al cuore un po’ stanco mettendosi in riga, ovvero migliorando lo stile di vita e tenendo sotto controllo il diabete.
STUDIO – Lo studio DYDA ha raccolto i dati di circa millediabetici di tipo due in cura presso 37 centri di diabetologia sparsi in tutta Italia. Ciascuno era il ritratto del diabetico tipico: circa 60 anni, un po’ di pancetta, poca attività fisica, qualche difficoltà a tenere a bada la glicemia. I medici hanno analizzato il cuore di questi pazienti con un’ecocardiografia, per poi ripetere la valutazione dopo due anni. Il primo dato che colpisce è che già al momento dell’ingresso nello studio un diabetico su due aveva i primi segni di cuore “stanco”, come spiega il coordinatore della ricercaMarco Comaschi, direttore del Dipartimento Emergenzadell’università di Genova: «Nel 48 per cento dei casi abbiamo trovato lievi segni di affaticamento cardiaco: il muscolo sotto contrazione risultava un po’ accorciato e questo è un primo, precoce segno di alterazione della funzionalità del cuore. A due anni di distanza la percentuale dei pazienti che, pur non avendo alcun sintomo, aveva piccole alterazioni cardiache è salita all’88 per cento. Chi aveva questi primi segni di cuore “stanco” è andato più spesso incontro a decesso o ricovero, spesso anche per cause noncardiovascolari, nell’arco dei due anni».
IDENTIKIT – Chi rischia di più la “deriva” verso un affaticamento cardiaco che, se non viene arginato, può portare addirittura allo scompenso? «Analizzando i dati a nostra disposizione abbiamo potuto creare una sorta di “test” predittivo per dire chi, nell’arco di due anni, è più a rischio di sviluppare piccole alterazioni della funzionalità cardiaca – dice Comaschi –. Chi è più anziano, ha una frequenza cardiaca elevata e un valore di emoglobina glicata alto, indicativo di un peggior controllo della glicemia nell’arco degli ultimi due-tre mesi, ha una maggior probabilità di ritrovarsi con il cuore stanco. È molto indicativa anche una circonferenza della vita superiore a 108 centimetri. Il problema vero è che questi pazienti non hanno il minimo sintomo: difficile che pensino alla salute del cuore, a verificare come sta davvero».
RECUPERO – Le linee guida attuali per la gestione del diabete, peraltro, non prevedono l’impiego dell’ecocardiografia: la consigliano ogni tre-quattro anni ma senza “obblighi”. I dati raccolti dai cardiologi ANMCO sembrano suggerire la necessità di controlli più serrati dello stato di salute cardiaco, come sottolinea Marino Scherillo, presidente ANMCO: «Vorremmo proporre una modifica alle linee guida, inserendo l’indicazione a un ecocardiogramma di controllo ogni due anni. Questo soprattutto perché i dati raccolti contengono anche una nota positiva: il 12 per cento dei pazienti che al momento dell’ingresso nello studio avevano in cuore un po’ affaticato hanno visto migliorare la funzionalità del muscolo cardiaco nei due anni successivi. Ciò suggerisce che in queste fasi iniziali il deficit può regredire, a patto di intervenire sullo stile di vita: migliorando la dieta, aumentando l’esercizio fisico, dimagrendo se necessario e tenendo sotto controllo la glicemia è possibile intervenire sui fattori di rischio modificabili e scongiurare danni al cuore», conclude Scherillo.
di Elena Meli