Il monitoraggio della glicemia: impatto sulla qualita’ della cura del paziente con diabete mellito.
La posizione della JDF (Juvenile Diabetes Foundation), sul monitoraggio minimamente invasivo ( o non invasivo) della glicemia nel paziente con diabete mellito è chiara. Il monitoraggio della glicemia è potenzialmente in grado di fornire informazioni di importanza inestimabile capaci di tradursi in un significativo miglioramento nella cura del paziente con diabete mellito di tipo 1 e del paziente in trattamento con insulina in generale. Questo ha un impatto positivo sulla qualità della vita del paziente diabetico. La JDF ritiene fermamente vi sia oggi una pressante necessità di realizzare e rendere ampiamente disponibili strumenti capaci di misurare la concentrazione del glucosio plasmatico in maniera non invasiva o soltanto minimamente invasiva. Ogni ricerca in questo settore dovrebbe essere fortemente ed efficacemente sostenuta. Lo sviluppo di nuove tecnologie in questa area potrà portare ad ulteriori miglioramenti nella cura del paziente con diabete mellito. La ricerca in questo settore dovrebbe progredire nella maniera più rapida possibile; inoltre sono sempre più urgenti studi dedicati a valutare e definire il potenziale ruolo del monitoraggio della glicemia (attraverso strumenti non o minimamaente invasivi) nei diabetici in età pediatrica. L’ADA (American Diabetes Association) ha aggiornato nel gennaio di questo anno le linee guida (position statement) per la cura del paziente con diabete mellito (1). L’ottimizzazione del controllo glicemico, il cui raggiungimento non può prescindere dal monitoraggio della glicemia, è mandatorio in tutti i diabetici inquanto in grado di: a. ridurre il rischio di scompenso acuto del diabete secondario a chetoacidosi o sindrome iperosmolare non chetotica; b. eliminare o attenuare i sintomi indotti dall’iperglicemia; c. ridurre ampiamente l’incidenza e la progressione sia delle complicanze microangiopatiche del diabete che della neuropatia; d. favorire il realizzarsi di un profilo lipidico non aterogeno.
Controllo Glicemico Nel Paziente Diabetico Il raggiungimento di livelli glicemici normali, o meglio della cosiddetta “near-normoglycemia” richiede una accurata educazione alimentare, l’impostazione di adeguati programmi di esercizio e/o attività fisica, la proposizione di schemi “fisiologici” di trattamento insulinico nei diabetici tipo 1 e, ove possibile, di regimi meno complessi di trattamento insulinico e/o basato sull’impiego di ipoglicemizzanti orali del diabete tipo 2 (2). Saranno altresì necessarie corrette istruzioni per la prevenzione, il riconoscimento ed il trattamento delle ipoglicemie, programmi di educazione e di rinforzo alla compliance al trattamento, discussione e rivisitazione periodica degli obiettivi della terapia. Gli obiettivi del trattamento dovranno essere adattati ai singoli individui tenendo conto delle diverse capacità di comprensione e di attuazione delle direttive terapeutiche. Sarà ovviamente necessario nel formulare gli obiettivi terapeutici tener conto del rischio di incorrere in ipoglicemie severe e di numerose condizioni che possono aumentare i rischi e/o ridurre i benefici di un trattamento ipoglicemizzante intensivo ed aggressivo. Tra questi fattori, l’età troppo giovane o troppo avanzata, la presenza di insufficienza renale terminale (ESRD) o di altre complicanze microangiopatiche in fase molto avanzata, la coesistenza di patologie cardiache, vascolari periferiche e/o cerebrovascolari severe, la coesistenza di patologie capaci di per sé di modificare in maniera drammatica l’aspettativa di vita e/o la speranza di salute. Una volta definiti gli obiettivi della terapia o accolte, in assenza di controindicazioni o situazioni concomitanti, le indicazioni descritte in tabella 2, il raggiungimento degli scopi della terapia non potrà essere conseguito se non verrà impostato un adeguato programma per la valutazione ed il monitoraggio quotidiano della glicemia. I GRANDI TRIALS L’automonitoraggio della glicemia assegnato nel DCCT (Diabetes Control and Complications Trial) (3,4) ai pazienti randomizzati al trattamento intensivo è stato uno dei mezzi attraverso i quali il determinarsi di una differenza significativa nei valori di HbA1c tra soggetti a regime intensivo (7.2%) e soggetti a trattamento convenzionale (9.0%), ha permesso di dimostrare in maniera definitiva il ruolo del controllo glicemico nel definire il rischio di complicanze nel diabete tipo 1. Nel corso dei 7 anni del follow-up, il rischio di sviluppo o di progressione della retinopatia, della nefropatia e della neuropatia era ridotto del 50-75% nei soggetti in trattamento intensivo rispetto ai pazienti in terapia convenzionale. La riduzione nel rischio di complicanze ha un andamento continuo, parallelo alla riduzione dei livelli dell’emoglobina glicata (figura 1). Ne consegue che la “near-normoglycemia” può prevenire fino a scongiurare del tutto il rischio di sviluppare le complicanze del diabete. Nel diabete tipo 2, l’UKPDS (United Kingdom Prospective Diabetes Study) dimostra che la terapia intensiva riduce l’incidenza complessiva di complicanze microvascolari del 25% rispetto alla terapia convenzionale (5, 6). L’analisi dei dati dell’UKPDS mette in evidenza una relazione continua tra rischio di complicanze microangiopatiche e glicemia. Per ogni punto percentuale di riduzione della HbA1c (per esempio da 9 a 8%), si poteva osservare una riduzione del 35% del rischio complessivo di complicanze retiniche e/o renali. L’AUTOMONITORAGGIO DELLA GLICEMIA Nel diabete tipo 1, il raggiungimento degli obiettivi terapeutici richiede quindi una appropriata educazione all’autogestione della malattia ed alla soluzione autonoma dei problemi, una adeguata terapia nutrizionale, ma soprattutto un frequente automonitoraggio della glicemia. Il numero di determinazioni della glicemia suggerito dall’ADA (1), è di almeno 3-4 al giorno. Nel diabete tipo 2, il raggiungimento degli obiettivi terapeutici può richiedere l’automonitoraggio quotidiano della glicemia che appare particolarmente importante nei soggetti trattati con insulina e/o sulfoniluree anche con il fine di monitorare e prevenire l’intervenire di episodi ipoglicemici asintomatici. Tuttavia, a tutt’oggi, la frequenza ottimale di valutazione della glicemia tramite automonitoraggio nel diabete tipo 2 non è ancora accuratamente definita. Il monitoraggio della glicemia è invece raccomandato nei diabetici in trattamento insulinico intensivo, soprattutto quelli portatori di strumenti per infusione sottocutanea continua di insulina (CSII) e quelli sottoposti a regimi con iniezioni multiple di insulina, ma anche per i soggetti propensi a episodi di chetoacidosi e/o di ipoglicemia severa, per i diabetici incapaci di avvertire i sintomi dell’ipoglicemia e per le donne diabetiche in gravidanza (1). Studi recenti suggeriscono un ruolo dell’automonitoraggio della glicemia anche nel diabete gestazionale. In queste pazienti, l’automonitoraggio della glicemia fornisce importanti informazioni per guidare e stabilire il regime dietetico e l’eventuale terapia insulinica, consente alla donna di partecipare attivamente alla cura del dismetabolismo glucidico durante la gravidanza, garantisce un migliore “outcome” neonatale senza sottoporre la gestante ad apprensioni o situazioni stressanti inutili. D’altra parte, l’utilità del SMBG (self-monitoring blood glucose) nel diabete gestazionale “lieve” (cioè nelle forme che non richiedono il trattamento insulinico) deve ancora essere valutata (7). IL MONITORAGGIO BEDSIDE Il SMBG assume un significato particolare nel paziente diabetico ospedalizzato. Il monitoraggio al letto del paziente diabetico assume, secondo l’ADA (8), il significato di un “vital sign” aggiuntivo. La minor invasività della procedura rispetto alle possibilità tradizionali (prelievo venoso), l’indipendenza dal laboratorio per la preparazione del campione ed il dosaggio, la rapidità con la quale i risultati si rendono disponibili aumentano il confort del paziente, migliorano il trattamento consentendo decisioni e correzioni terapeutiche tempestive e, in ultima analisi, riducono i tempi di degenza per il paziente diabetico. D’altra parte, l’impiego del monitoraggio glicemico in ambiente ospedaliero richiede una chiara definizione della responsabilità delle procedure specifiche, la definizione di procedure tecniche e di comportamento standardizzate, un programma di educazione e di verifica del personale dedicato alla esecuzione del test, la predisposizione di un pur semplificato controllo di qualità delle procedure e la definizione di un programma di manutenzione regolare e a scadenze predeterminate (5). PROBLEMATICHE IRRISOLTE Nonostante la sua indiscussa utilità, soprattutto in pazienti con determinate caratteristiche, l’automonitoraggio della glicemia presenta attualmente numerosi aspetti che non ne fanno ancora un mezzo ideale per l’autogestione della malattia diabetica. Numerose difficoltà ed inadeguatezze tecniche ostacolano una sua applicazione su scala ancora più ampia, ma soprattutto ne rendono difficile la piena fruibilità delle sue potenzialità. La raccolta del sangue capillare attraverso puntura non è certo del tutto gradita dalla maggior parte dei pazienti, le tecniche richiedono spesso tempi non del tutto trascurabili e possono essere anche relativamente complesse; i costi del materiale di consumo sono tutt’altro che irrilevanti. Gli ostacoli maggiori ad un più ampio impiego del SMBG sono tuttavia legati da una parte alla inadeguata comprensione dei benefici che possono derivare da un corretto monitoraggio della glicemia, dall’altra alle difficoltà di fare un uso appropriato e tecnicamente corretto degli strumenti dedicati alla misurazione della glicemia, ma soprattutto alla incapacità da parte del paziente di interpretare correttamente i dati e di utilizzarli per modificare la terapia. Deve inoltre essere rilevato che troppo spesso i dati generati dal paziente inondano gli ambulatori saturando la capacità di ogni medico di trasformare i risultati dei profili glicemici in informazioni utilizzabili. E’ evidente come soltanto l’analisi computerizzata delle informazioni e le possibilità di rappresentazione grafica fornita dagli strumenti informatici possono consentire una interpretazione ragionevole dei dati. Da qui la necessità di software capaci di recuperare, analizzare e valutare in maniera univoca informazioni provenienti dai più diversi strumenti di lettura. IL FUTURO Gli sforzi tecnologici sono rivolti a ottenere misurazioni della glicemia semplici, accurate e così frequenti da essere in grado di fornire informazioni in tempo reale sul trend di modificazione dei valori glicemici. E’ evidente che la capacità di ottenere materiale biologico per la misurazione e/o la stima delle concentrazioni glicemiche in maniera non invasiva ed indolore diventa il presupposto indipensabile di un più efficace impiego dell’automonitoraggio glicemico. I sensori della nuova generazione dovranno essere estremamente sensibili, avere tempi di risposta e di recupero rapidi, richiedere calibrazioni infrequenti, essere miniaturizzabili, essere tanto economici da potersi produrre ed impiegare in grandi quantità. Le tecnologie attualmente disponibili non incontrano e soddisfano nessuna di queste condizioni e necessità. Ancora più remota è la possibilità di addivenire a sistemi a ciclo continuo (closed-loop system) capaci di modulare in maniera automatica secondo algoritmi predefiniti la somministrazione dell’insulina in funzione di ravvicinate letture della concentrazione glicemica. Tutti gli strumenti che sono attualmente in corso di progettazione e/o di perfezionamento si basano sulla misurazione del glucosio nel fluido interstiziale (ISF, interstitial fluid). Le concentrazioni glucidiche nell’ISF sono di circa il 10% inferiori a quelle del sangue intero; queste ultime, a loro volta, sono di circa il 10% inferiori rispetto alle concentrazioni plasmatiche. Il fluido interstiziale viene raccolto forzando la cute, che normalmente non è “permeabile” al glucosio, a lasciar trasudare piccole quantità di ISF tramite stimolazioni elettriche (GlucoWatch Biographer, Cygnus), aghi miniaturizzati (microaghi di silicone, Kumetrix, Inc), stimolazioni chimiche, vacuum, o combinazioni di tali approcci. Nessuno di questi strumenti è attualmente approvato per l’impiego clinico.
BIBLIOGRAFIA 1. American Diabetes Association. Standards of medical care for patients with diabetes mellitus. Diabetes Care 23 (suppl. 1): S32-S42, 2000. 2. The Expert Committee on the Diagnosis and Classification of Diabetes Mellitus. Report of the Expert Committee on the diagnosis and classification of diabetes mellitus. Diabetes Care 23 (suppl. 1): S4-S19, 2000. 3. The Diabetes Control and Complications Trial Research Group. The effect of intensive treatment of diabetes on the development and progression of long-term complications in insulin-dependent diabetes mellitus. N Engl J Med 329: 977-986, 1993. 4. American Diabetes Association. Implications of the Diabetes Control and Complications Trial. Diabetes Care 23 (suppl. 1): S24-S26, 2000. 5. UK Prospective Diabetes Study Group. Intensive blood-glucose control with sulphonylureas or insulin compared with conventional treatment and risk of complications in patients with type 2 diabetes (UKPDS 33). Lancet 352: 837-853, 1998. 6. American Diabetes Association. Implications of the United Kingdom Prospective Diabetes Study Diabetes Care 23 (suppl. 1): S27-S31, 2000. 7. Homko CJ, Sivan E, Reece EA. Is self-monitoring of blood glucose necessary in the management of gestational diabetes mellitus? Diabetes Care 21 (suppl. 2): B118-B122, 1998. 8. American Diabetes Association. Bedside blood glucose monitoring in hospitals. Diabetes Care 23 (suppl. 1): S84, 2000. 9. American Diabetes Association. Tests of glycemia in diabetes. Diabetes Care 23 (suppl. 1): S80-S82, 2000.
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Di Giuseppe Penno, Simona Bandinelli, Roberto Miccoli |