Il piede diabetico ora si può salvare dall’amputazione

Non sono pochi i malati di diabete, soprattutto anziani, che pur di non vedersi amputare il piede ormai in cancrena a causa della malattia preferiscono morire. Il proble­ma rischia di assumere dimensioni sempre più pre­occupanti, dato che solo il Veneto conta 170 mila pa­zienti e 20 mila nuovi casi all’anno. Una luce di spe­ranza, per tutti loro, l’ha accesa il policlinico di Aba­no Terme, con l’adozione di una nuova tecnica di ri­vascolarizzazione che ha già salvato 250 malati pro­venienti da tutta Italia dall’amputazione del piede diabetico.

La scoperta, pubblicata sulla rivista specializzata «Endovascular Today» e di prossima uscita sul «Journal of Cardiovascolar Surgery», è frutto del la­voro intrapreso nel 2007 da un’équipe guidata dal dottor Marco Manzi, direttore della Radiologia inter­ventistica della casa di cura padovana. «Abbiamo portato all’estremo le normali tecniche endovascola­ri e attinto anche a quelle cardiologiche per riaprire le arterie del piede e cercare di tenerle vascolarizzate nel tempo — spiega Manzi —. Finora, per salvare almeno la gamba dalla cancrena e sacrificare solo il piede, si riapriva una delle due arterie presenti nello stesso, fermandosi alla caviglia. Dal punto di vista idraulico, però, se si apre un’arteria fino alla caviglia ma il piede rimane chiuso, il sangue non ci scorre dentro e dopo un po’ la medesima si richiude. Ecco la necessità di proce­dere all’amputazio­ne».

Nel piede ci sono due arterie: una da­vanti e una dietro, che unite formano l’arcata plantare. La nuova tecnica messa a punto ad Abano contempla la riapertu­ra di entrambe, con una sorta di estremiz­zazione dell’angiopla­stica, procedura utiliz­zata dai cardiochirur­ghi per riallargare le coronarie, tramite palloncini e stent. «Noi utilizziamo più fili guida, fatti di nichel-titanio o di altri materiali biocompatibili — chiarisce lo spe­cialista padovano — misurano 0,014 pollici, cioè de­cimi di millimetro. Su questi facciamo scorrere pal­loncini altrettanto piccoli, con i quali riapriamo il piede davanti e dietro, creando un circuito per il san­gue. Libero così di fluire in tutta l’estremità in ogget­to ». L’inserimento di fili guida e palloncini avviene at­traverso l’arteria femorale, con un piccolo forellino praticato sull’inguine del paziente. Una volta com­piuto il loro mestiere, vengono ovviamente tolti e il piede rimane «pulito». L’obiettivo è di tenerlo aper­to il più a lungo possibile, anche perchè i 250 opera­ti non sono solo ottantenni e novantenni, ma pure cinquantenni. Su 114 di loro l’équipe di Abano, che comprende anche il diabetologo Enrico Brocco e il noto ortopedico Antonio Volpe, sta compiendo un monitoraggio da diciotto mesi. Risultato: stanno tut­ti bene e ormai il Policnico guidato dal direttore ge­nerale Gianni Paolo Argenti ricovera mille pazienti diabetici all’anno. La nuova tecnica è fondamentale per salvare la vita a molti di loro, che altrimenti oltre al piede rischierebbero la gamba. «Chi la perde ha il 27% di possibilità di vedersi amputare anche l’altra entro un anno — avverte Manzi — e solo il 30% di questi pazienti è ancora in vita dopo tre anni».

 

 

 

di Michela Nicolussi Moro

da Corriere del Veneto.it