Il ripristino delle cellule beta: panoramica e prospettive

I protocolli di differenziazione delle cellule staminali umane pluripotenti sono attualmente basati su metodiche che cercano di mimare il percorso naturale del loro sviluppo naturale, e sono sempre più prossime alla generazione di cellule beta endocrine del pancreas pienamente funzionali. La sfida adesso è quella di individuare dei percorsi per innescare il raggiungimento di una robusta e fisiologica risposta al glucosio che si concretizza nell’uomo solo dopo la nascita. La strategia di trattamento del diabete potrebbe presto trarre enormi vantaggi dai progressi enormi nel campo delle cellule staminali.
[Timothy J. Kieffer. Cell Stem Cell 18, 2016].

IL PUNTO ED UN BISOGNO IMPELLENTE
Attualmente ci sono oltre 400 milioni di persone che soffrono di questa malattia debilitante. Il suo cuore è l’insufficiente produzione dell’ormone insulina da cellule endocrine specializzate chiamate beta cellule, che si trovano in isole di cellule, pancreatiche, dette di Langerhans.
Mentre le cellule beta sono il tipo di cellula predominante degli isolotti, questi agglomerati contengono anche altre cellule endocrine, tra cui le cellule alfa che producono glucagone. Il pancreas adulto umano ha circa 3 milione di isolotti, ognuno con poche migliaia cellule. Ciò equivale a circa il volume di 2 mL, 2 g di tessuto, o dell’1-2% del totale del pancreas. È interessante notare che la dimensione (100-200 µm) e la composizione degli isolotti sono notevolmente conservate tra le specie, suggerendo che gli isolotti esistono come unità funzionalmente e strutturalmente ottimale.

Questi minuscoli miniorgani sono magistralmente specializzati nel regolare la variazione dei livelli di zucchero del sangue. A seguito di un pasto, i nutrienti assorbiti stimolano tramite un processo mediato da “incretine”, la secrezione rapida e robusta di insulina stivata in serbatoi di vescicole all’interno delle cellule beta. L’insulina promuove il traffico e l’attivazione di trasportatori del glucosio presenti nella membrana delle cellule del corpo, in modo che il glucosio possa entrarvi per essere usato come fonte di energia.
Durante i periodi di digiuno, la produzione di insulina si riduce, mentre le cellule alfa rilasciano glucagone, istruendo il fegato a promuovere una produzione di glucosio sufficiente per sostenere le esigenze. Il rilascio coordinato di insulina e glucagone dagli isolotti del pancreas assicura che ci sono minime fluttuazioni nei livelli di glucosio nel sangue.

La perdita o compromissione della funzionalità delle cellule beta porta ad iperglicemia cronica e diabete. Nella forma grave, i pazienti si affidano alla terapia con insulina esogena, tipicamente tramite multiple iniezioni giornaliere. La terapia è ardua e incline a complicazioni poiché è praticamente impossibile imitare i cambiamenti dinamici dell’insulina prodotta dalle cellule beta. Di conseguenza, i pazienti spesso vanno incontro a danni alle terminazioni nervose ed ai vasi sanguigni, che nel lungo termine possono contribuire a forti complicanze di nefropatia, neuropatia, retinopatia e cardiopatia.

L’IPOTESI 
Una elegante soluzione al diabete sarebbe poter ricostituire in vitro la massa di beta cellule perse per poterle usare direttamente per controllare le variazioni di glucosio nel sangue. Un successo clinico è stato raggiunto tramite infusione di isolotti purificati nel circolo enteroepatico, per cui questi vanno ad alloggiarsi all’interno di piccoli vasi nel fegato e producono insulina in modo regolato. 
I pazienti con diabete instabile possono essere resi indipendenti dalla somministrazione di insulina per anni con questo approccio. Le condizioni cliniche si sono rilevate spesso ottime, con il restauro di una perfetta omeostasi del glucosio e l’arresto nella progressione delle complicanze. In particolare, i risultati di diversi studi clinici suggeriscono che solo una piccola frazione della normale massa delle cellule beta (intorno al 10-20%), può migliorare in modo significativo il controllo glicemico, ridurre le complicanze, e migliorare la qualità della vita.

Questi studi ci dicono chiaramente che il percorso clinico per un trattamento molto efficace, ed eventualmente anche per la cura stessa al diabete è fattibile, e richiederebbe solo un paio di cucchiaini di cellule per paziente! 
Tuttavia, il ricorso a donatori di organi per gli isolotti di cellule, il fallimento del trapianto sperimentato da molti destinatari, e la necessità di immunosoppressione continuativa per proteggere le cellule trapiantate dall’attacco immunitario, attualmente sono i maggiori limiti all’adozione diffusa di questo approccio terapeutico su vasta scala.

IL POTENZIALE DELLE CELLULE STAMINALI
Con le cellule staminali embrionali umane (CES) – dette anche cellule indotte pluripotenti staminali (iPSCs) – si avrebbe una fornitura di cellule virtualmente illimitata. Per cellule staminali si intendono quelle che hanno la capacità di formare uno dei 200 tipi di cellule del nostro corpo. Pertanto, deve essere possibile generare grandi quantità di cellule insulari da cellule staminali pluripotenti. Assieme allo sviluppo di metodologie per il trapianto di isolotti, la ricerca degli ultimi anni si è fortemente concentrata su anche questa linea di ricerca.

Un grosso vantaggio è che le cellule sono facilmente suscettibili di “ritocco genetico”, per esempio per correggere una mutazione che causa una malattia in un paziente; per aumentare la durata e la resistenza delle cellule allo “stress”; per migliorare il profilo di sicurezza delle preparazioni cellulari tramite degli interruttori apoptotici (che inducono o bloccano una morte cellulare naturale e programmata). 
In definitiva, se l’immunosoppressione è quella nella pratica da evitare, una qualche forma di protezione immunitaria sarà necessaria per superare la risposta autoimmune alla presenza di cellule estranee.

Garantire la sopravvivenza alla distruzione di queste cellule può essere ottenuto incapsulando le cellule dietro una barriera, in una posizione ideale (es. fegato o omento). Inoltre, alcune strategie genetiche possono anche essere applicate per conferire uno stato immunitario “di privilegio” a queste cellule, e magari anche per creare una linea universale di donazione per tutti i pazienti. Alcuni gruppi si stanno cimentando intensamente in questo campo, e le nostre conoscenze sulle colture di cellule e la loro differenziazione in vitro, ci danno ottime speranze.

IMITARE LA NATURA PER GENERARE LE CELLULE BETA
I primi tentativi per la produzione di CES umane evocavano spontanea differenziazione, come avviene nel caso dei corpi embrionali (Assady et al. Diabetes 2001).. Questo approccio soffriva però di mancanza di sufficienti controlli del processo di differenziazione e promuoveva significative percentuali di impurità cellulare indesiderata.

Come per altri campi delle cellule staminali, il successo maggiore per la produzione di cellule delle isole da cellule staminali umane pluripotenti è venuto da approcci che imitano il normale sviluppo del pancreas umano. Fortunatamente, il modo in cui il pancreas endocrino e le sue cellule si sviluppano è molto simile quella di organismi inferiori come i topolini, dove molte delle chiavi di segnalazione sono state svelate.

Alcune company (es. ViaCyte) hanno investito nella realizzazione di processi che sfruttano tali conoscenze per una graduale e completa differenziazione delle CES in diverse linee cellulari, tra cui le cellule beta del pancreas, che può essere realizzato adesso in sole 2 settimane!
Diversi studi fatti utilizzando queste cellule per il trapianto, confermano che le cellule che hanno raggiunto tale fase di sviluppo possono formare le cellule delle isole pancreatiche mature. 
Perciò, in una prima fase di differenziazione della cellula, il destino è sufficientemente determinato in modo che le cellule possono essere trapiantate in una varietà di siti ectopici, e lasciati ulteriormente maturare in cellule endocrine del pancreas in vivo in 3-4 mesi [Kroon et al. Nature Biotech 2008]. In topi riceventi ad esempio, le cellule mature possono così produrre sufficiente insulina da curare il diabete [Rezania et al. Diabetes 2012]. 
È importante sottolineare che le differenziazioni cellulari possono essere realizzate con metodi scalabili per la produzione di popolazioni di cellule altamente arricchite [Schulz et al. PloS ONE 2012]. Inoltre, le cellule mature all’interno di dispositivi sottili di macro-incapsulamento, si sono rivelate protette dall’attacco immunitario nel trapianto sottocutaneo e funzionali [Bruin et al. Diabetologia 2013].

L’approccio di ViaCyte è stato adesso autorizzato da Stati Uniti e Canada a studi clini sull’uomo (https://clinicaltrials.gov, identificativo: NCT02239354).
Al momento, tale approccio ha garantito la sopravvivenza di cellule produttrici di insulina all’interno di un dispositivo sentinella per oltre 3 mesi dal trapianto, dando ottimismo a perseguire su questa strada.

Una nota a questo approccio è che dovranno essere i pazienti stessi a monitorare attentamente i livelli di glucosio nel sangue e regolare il dosaggio di insulina esogena fintanto che le cellule non siano mature alla produzione autonoma di insulina. Se questo non dovrebbe essere una grossa difficoltà per la maggior parte dei pazienti diabetici insulino-dipendenti, tuttavia preservare le cellule in differenziazione ed espansione sarà la chiave per il successo di questa terapia. 
Altri problemi che si prospettano in clinica sono legati: 1) all’alterazione delle funzioni tiroidee nell’uomo (ipotiroidismo); 2) all’elevata secrezione di insulina basale, caratteristica di cellule beta immature, con il rischio di ipoglicemia durante la maturazione delle cellule immature trapiantate.

LE SFIDE CHE RIMANGONO
Nonostante le potenziali enormi richieste, la fattiblità dell’approccio con cellule beta glucosio-reattive da cultura in vitro non è del tutto convincente al momento. Infatti, non riusciamo ancora a spiegarci bene perché, nonostante i grossi passi nel campo, risulta ancora molto difficile differenziare le cellule staminali pluripotenti a maturare in cellule beta. 
La risposta potrebbe riguardare il fatto che il processo naturale di crescita di queste cellule nell’uomo dura oltre i 9 mesi, non 2 settimane. Inoltre, ci sono ancora da approfondire i dettagli del processo successivo di maturazione, che non possiamo completamente imitare.

Le cellule beta primarie compaiono in 8-9 settimane dopo il concepimento, e gli esseri umani risultano di fatto indipendenti dalla fisiologia della mamma dopo altri 7 mesi di sviluppo. Alla nascita le cellule tendono a secernere insulina in risposta ad una concentrazione di glucosio inferiore alle cellule beta mature. Le risposte di insulina glucosio-stimolata maturano invece le cellule beta solo durante la vita neonatale. Quindi appare che all’avvio della stimolazione con il cibo, i segnali possono essere un importante spunto per la maturazione delle cellule beta.

Studi recenti (di gene profiling) hanno rivelato forme molecolari distinte tra le cellule neonatali rispetto alle cellule beta adulte. 
Così risulta ormai chiaro come la creazione della maturità cellulare beta sia strettamente accoppiata alle concentrazioni di glucosio, le quali promuovono un’azione di regolazione coordinata di attivazione ed inibizione su alcuni geni [Schuit et al. Diabetes 2012]. Le ultime ricerche si stanno proprio indirizzando a capire quali geni vengono regolati e come [Dhawan et al. J Clin Invest 2015]. 
Idealmente, per avere risposta in linea con quella delle cellule beta dei soggetti sani, devono essere anche attivati quei geni chiave che modulano la secrezione allo stato ed alle condizioni in cui l’organismo si trova ad agire, ed alle riserve energetiche presenti [Yoshihara et al. Cell Metabol 2016]. 
Un’ultima considerazione è che le cellule beta sono una popolazione eterogenea, ed il mimarne la funzione nel complesso è in ultima analisi un’utile strategia terapeutica.
I progressi in questi campi continuano ad un ritmo rapido, ed è prevedibile che protocolli utili saranno affinati con successo.

Sarà interessante valutare se l’approccio terapeutico migliore sia quello derivante da strutture di isole (simili a quelle del Langerhans contenenti una miscela di tipi di cellule), oppure da pure cellule beta. Anche qui gli studi sono in piena espansione per generare dei sistemi simili agli organi stessi, incorporando/differenziando cellule endoteliali, cellule neuronali e mesenchimali. Contemporaneamente, vengono creati sistemi cellulari di coltura in 4 dimensioni, con cellule staminali che vengono evolute da più progenitori che possono comunicare in un spazio-temporale, similmente a quanto viene osservato nell’organogenesi in vivo [Takebe et al. Cell Stem Cell 2015].

La riproducibilità, la scalarità, e l’economia del processo su vasta scala, guiderà l’applicabilità effettiva della metodologia. Collettivamente, gli sforzi finora si sono tradotti nella capità di creare praticamente in modo illimitato di cellule staminali differenziate, capaci di svolgere al meglio (anche se non idealmente) la funzione delle cellule beta naturali del pancreas isolate da paziente. Queste cellule saranno inoltre una risorsa enorme per la comprensione dei processi alla base della malattia.

 

 

 

 

di Gianpiero Garau