Apriamo una parentesi di aggiornamento su quello che sono le evoluzioni possibili in questo settore. Quando parliamo di stato dell’arte del trapianto di isole, parliamo di quello che si fa attualmente: non piu’ sperimentale in senso stretto. Cioe’ una procedura che possiamo proporre ad un paziente attualmente, al di fuori del “laboratorio” come sperimentazione, cioe’ quello che e’ oramai approvato da anni e che si tratta sull’uomo.
La storia naturale del diabete la conosciamo tutti: abbiamo visto l’insulina interviene subito, perche’ e’ il trattamento di primo livello. Quello che vogliamo fare, invece, con il trapianto e’ risistemare completamente la secrezione endocrina pancreatica. Quando dobbiamo scegliere l’insulina o il trapianto di isole? Abbiamo visto, l’insulina e’ la terapia per tutti i pazienti diabetici di tipo 1 alla diagnosi. Deve essere somministrata naturalmente a posologie differenti. I problemi, li abbiamo visti anche con l’evoluzione tecnologica, rimangono comunque l’assorbimento, la produzione degli autoanticorpi e i problemi di dosaggio. Cioe’ quello che troviamo in periferia ovviamente non e’ quello che fisiologicamente produrrebbe il pancreas. Il tutto si basa sui controlli capillari frequenti delle glicemie.
Quale e’ invece il razionale del trapianto? E’ abbastanza semplice.
Perche’ usiamo le isole invece che il pancreas in toto? – Perche’ non e’ un intervento chirurgico. – Perche’ e’ una procedura che possiamo ripetere senza problemi e che non da conseguenze in caso di perdita o mancata funzione del tessuto trapiantato. Questo lo dico come introduzione, invece che dirlo alla fine, perche’ immagino che alcuni di voi siano gia’ ben informati su quello che e’ il trapianto di pancreas come organo in toto, dove la gestione, a fronte di ottimi risultati, e’ comunque piu’ complessa.
Le indicazioni al trapianto di isole.
Sono qui riassunte: Criteri di inclusione ed esclusione per il trapianto di isole di Langerhans
Non possono essee proposte ai bambini e neanche agli adolescenti, quindi non prima del compimento dei 18 anni. Con una durata di diabete di almeno 5 anni. Perche’ 5 anni? Perche’ e’ necessario per stabilire che il paziente con l’insulina non va bene, che abbia conosciuto bene la malattia e abbia imparato a trattarla anche da solo.
Quali sono le complicanze per le quali invece e’ previsto il trapianto? Quelle che rendono il quotidiano non piu’ normale. Noi sappiamo che con l’insulina si puo’ vivere bene tutta la vita, se non ci sono problematiche che non ci consentono di svolgere la nostra normale vita quotidiana. E in particolare l’instabilita’ metabolica con diverse crisi ipoglicemiche oppure con chetoacidosi. In presenza di ridotta sensibilita’ (soprattutto all’ipoglicemia), nel ripetersi degli episodi di non avere piu’ la capacita’ del sistema nervoso autonomico di rilevare i sintomi si puo’ arrivare al coma, cosa che per persone giovani e che comunque svolgono un’attivita’ normale puo’ essere un grosso rischio. E poi la presenza di complicanze rapidamente progressive, in particolare quelle che nel diabete di tipo 1 compaiono prima, cioe’ la retinopatia, la neuropatia e la nefropatia.
Le controindicazioni generiche sono quelle generali per tutti i tipi di trapianto. Quindi direi che non esiste una controindicazione assoluta per un diabetico di tipo 1 al trapianto di isole.
In particolare sottolineiamo quelli che sono piu’ restrittivi per un trapianto di isole. Cioe’, se io dovessi decidere per un trapianto di fegato, guarderei tutti i punti, ma non starei a guardare lo screening sierologico per il virus EBV, piuttosto che nelle donne un progetto di gravidanza: ne va della vita del paziente. Se non fa il trapianto di fegato il paziente muore. Invece un diabetico se non fa il trapianto di isole vive tutta la vita facendo l’insulina. Quindi sul piatto della bilancia questi 3 punti ci mettono al riparo dagli eventuali effetti tossici che, vedremo, il trapianto con la relativa terapia di accompagnamento puo’ portare.
Che cosa vogliamo fare con il trapianto di isole?
Vogliamo ricostruire quello che e’ il normale pancreas endocrino, dando le isole di Langerhans. Non solo le beta cellule, ma tutta la struttura endocrina del pancreas, che regola il metabolismo del glucosio, quindi anche il glucagone e gli altri ormoni che vanno a regolare anche la controregolazione. E questo e’ importante poi nell’ambito dei risultati.
Su che principio ci basiamo? Partiamo dal pancreas del donatore (si parla sempre di donatore cadavere: non esiste il donatore vivente per il trapianto di isole, anche se navigando in internet avrete letto che un caso in Giappone e’ stato fatto. E’ l’unico al mondo ed in ogni caso non e’ un protocollo attuale) I donatori sono donatori cadavere, quelli che donano il fegato, il cuore, il rene… Dal pancreas del donatore viene estratta l’isola che poi viene iniettata nel fegato del ricevente. Viene effettuata una procedura che e’ di tipo chimico-fisico. Il pancreas viene posizionato in un contenitore collegato a dei flussi di liquidi nei quali vengono diluiti degli enzimi, che servono a separare quella componente acinare che sta intorno all’isola, che non ci serve. Non serve al diabetico perche’ ce l’ha nel suo pancreas, e funziona normalmente. In seguito a questa procedura, quello che si ottiene e’ un liquido che si sedimenta, che sono le isole, che poi vengono ulteriormente depurate. In un trapianto dobbiamo sempre rispettare determinati aspetti di tipo tecnico.
Come avviene un trapianto? Il trapianto puo’ essere definita un’infusione, come una specie di trasfusione. Non viene fatto in una via periferica, ma viene effettuato nella vena porta del fegato, che e’ la grossa vena che drena il sangue nel fegato, in anestesia locale. Il paziente non vede il chirurgo. Viene effettuato in sala angiografica dal radiologo, che per mezzo dell’ecografia, cerca il punto migliore per inserire questo cateterino, che e’ quello al quale viene collegata una siringa nella quale abbiamo diluito quell’insieme di cellule che avete visto prima fotografate. Il diametro del catetere e’ come quello che si mette nelle vene periferiche per fare le flebo: da 1 mm.
Qual’e’ il nostro target? Tra virgolette e’ “guarire” il diabete. E come possiamo fare? Dando un quantitativo di tessuto sufficiente a produrre l’insulina che serva a quel soggetto per mantenere la glicemia. Il trapianto di isole non e’ una cosa degli ultimi anni: si fa da tanti anni, con dei risultati migliorati negli ultimi 5-6 anni, ma comunque e’ una procedura che viene effettuata dagli anni 80. Si e’ comunque stabilito che per ogni soggetto se vogliamo raggiungere l’insulinoindipendenza con un compenso metabolico ottimale, ci vogliono almeno 10 mila isole per chilo di peso. Quindi una persona che pesa 50 chili avra’ bisogno di meno isole di una persona che ne pesa 70. Questo e’ il motivo per cui per ogni soggetto ci vogliono piu’ di un pancreas e quindi piu’ di un donatore. In media per ogni trapianto ci vogliono 2 donatori. Quindi questo e’ un pochino un impedimento. La terapia immunosoppressiva deve essere affiancata al trapianto. Il trapianto e’ un tessuto che arriva da un soggetto estraneo, che l’organismo che lo riceve riconosce come non appartenente a se’ stesso e quindi fisiologicamente viene rifiutato. Perche’ questo venga accettato, noi dobbiamo dare una terapia che educhi, riduca, la risposta del sistema immunitario, in modo che non riconosca piu’ il tessuto che abbiamo trapiantato come estraneo. Questa viene definita terapia immunosoppressiva o antirigetto. Le terapie che usiamo attualmente si basano su dei farmaci nuovi per i quali non e’ necessario aggiungere il cortisone, che e’ un farmaco che somministrato per tutta la vita potrebbe dare degli effetti collaterali. In piu’ il cortisone sappiamo che puo’ dare un diabete secondario: di per se’ stesso alza la glicemia. Presso il nostro ospedale abbiamo eseguito circa 53 trapianti di isole piu’ rene e circa 38 trapianti di isole isolate. In Italia il San Raffaele e’ l’unico centro che esegue questa procedura.
I risultati. Il target che vogliamo raggiungere e’ in realta’ il compenso della glicemia, cioe’ il trapianto deve essere un sistema di raggiungimento di un buon compenso della glicemia alternativo all’insulina. Quindi il target e’ il buon compenso, con la sospensione della terapia insulinica. Attualmente abbiamo un 81% di insulinoindipendenza e un 19% di funzione parziale. I nostri numeri non si riferiscono naturalmente a centinaia di pazienti: per confermare i nostri numeri ci vorranno molti anni. I numeri che vengono valutati in medicina sono sempre su centinaia di pazienti. Per ora, dato che e’ una procedura che non si fa in maniera diffusa anche in altri centri, ci dobbiamo accontentare delle decine dell’ordine dei numeri. Per quanto riguarda la durata massima e’ di 5 anni per le isole associate a rene e di 3 anni per le isole isolate. Per ora. Anche qui, quando dobbiamo valutare i risultati di una nuova terapia, dobbiamo avere alle spalle 15-20 anni di attivita’ per sapere che quella e’ un tipo di terapia che puo’ essere mantenuto nel tempo, per molti anni. Se abbiamo un’osservazione piu’ breve e’ ovvio che i numeri sono piu’ ridotti.
Ai nostri pazienti richiediamo, anche dopo il raggiungimento dell’insulinoindipendenza, il controllo della glicemia. Non lo si fa piu’ tutti i giorni, non lo si fa piu’ 6 volte al giorno, ma una volta ogni 2 settimane una curva completa per controllare come sta andando la chiediamo. Cosi’ poi possiamo valutare coi numeri quello che abbiamo raggiunto L’emoglobina glicata, dopo 2 anni, si mantiene normalmente in un range ottimale (5.8 – 5.9).
Cosa succede se noi riusciamo a mantenere bene la glicemia? Scompaiono le ipoglicemie, migliora la neuropatia, migliora la retinopatia. Queste sono le complicanze croniche sulle quali per ora abbiamo dei risultati: dico “per ora” perche’ l’osservazione non e’ molto lunga, per cui non possiamo dirvi che, ad esempio, il trapianto di isole e’ in grado di prevenire la nefropatia se non in modo teorico, perche’ abbiamo normalizzato la glicemia, quindi quel soggetto, tra virgolette “non e’ piu’ diabetico”, non gli verra’ la nefropatia diabetica. Non abbiamo i numeri sufficienti per dirlo, non abbiamo studi che ce l’abbiano dimostrato. Mentre abbiamo dati ed esami strumentali che ci dicono che la neuropatia e la retinopatia hanno una loro fonte di prevenzione in questo tipo di procedura.
Le complicanze del trapianto: e’ giusto vengano evidenziate perche’ il paziente deve sapere a cosa va incontro.
Queste sono le complicanze della procedura, cioe’ di quella puntura che si fa nel fegato per iniettare le isole: – un aumento degli enzimi del fegato, che pero’ si risolve spontaneamente nel giro di 3-4 settimane. – Abbiamo avuto 2 casi (su 50) di trombosi segmentale delle ramificazioni periferiche del fegato, anche queste si sono risolte senza terapia. – 1 caso (su 50) di fistola artero-venosa e 2 casi (su 50) di sanguinamento intraddominale: si e’ cioe’ formato un ematoma che si e’ poi riassorbito senza alcun tipo di intervento.
Gli effetti collaterali dell’immunosoppressione. Anche questo e’ molto importante che il paziente lo sappia, perche’ sul quotidiano non facciamo piu’ insulina, abbiamo la glicemia ben compensata, ma dobbiamo continuare a prendere dei farmaci. Attualmente i farmaci vanno presi tutti i giorni, e finche’ il trapianto funziona. Anche gli effetti collaterali possono interferire un po’ con la nostra vita quotidiana, e quindi nel momento in cui decidiamo di fare il trapianto, metteremo sul piatto della bilancia se e’ maggiore il rischio di un diabete scompensato o dei farmaci che prendiamo.
Questi gli effetti collaterali piu’ frequenti: – Ulcere al cavo orale 10/24 – Acne 6/24 – Abbassamento globuli bianchi 10/24 – Dolori articolari 4/24 – Perdita di peso 3/24 – Incremento dei valori dei lipidi plasmatici 3/24 – Insufficienza renale 2/24 – Disturbi gastrointestinali 2/24 – Edemi arti inferiori 2/24 – Assenza del ciclo mestruale 2/24 – Insonnia 2/24 – Miocardite virale 2/24 – Infezione da CMV 1/24
L’immunosoppressione comunque ci porta ad un’alterazione minima del sistema immunitario che puo’ esporre, sul lungo termone, anche ad altri tipi di complicanze.
Passerei a quello che e’ un argomento che probabilmente avete letto sui giornali negli ultimi mesi e che e’ molto affascinante per chi studia in questo campo, e cioe’ focalizzare l’attenzione sui danni dell’immunosoppressione, per ridurli al minimo, fino ad eliminarli completamente: e’ quello il target. Poter fare un trapianto di isole senza piu’ avere il problema della terapia antirigetto. Questo vuol dire, in tutto il campo trapiantologico, non solo nelle isole, indurre la tolleranza al trapianto, in modo che l’organismo sia educato a “tollerare” quelle cellule, quegli organi, che arrivano da un soggetto diverso da noi, ma che il nostro organismo non riconosce piu’ come “diverso”: lo riconosce come uguale a se’ stesso e quindi non lo rigetta piu’. Vuol dire prendere le terapie in maniera diversa.
Che cosa si puo’ fare attualmente? Ci sono tanti studi sugli animali, che ci interessano relativamente. Quello che e’ stato iniziato ora e’ stato tentare l’induzione.
Attualmente noi facciamo il trapianto, ma all’inizio continuiamo a fare insulina. Non si diventa subito insulinoindipendenti perche le isole si devono adattare all’interno del fegato. Quindi, se noi vogliamo indurre la tolleranza al trapianto, all’inizio abbiamo la terapia immunosoppressiva sommata all’insulina; poi il nostro trapianto funzionera’ bene e allora possiamo sospendere l’insulina che non serve piu’ perche’ siamo diventati insulinoindipendenti, e poi, man mano, a trapianto funzionante, senza piu’ insulina, riduciamo la terapia immunosoppressiva, finche’ un giorno la possiamo sospendere completamente e rimanere quindi euglicemici senza insulina e senza terapia immunosoppresiva: questo e’ il target dei nuovi studi.
Avrete sentito parlare di nuovi protocolli: chi naviga in internet li avra’ gia’ visti: uno che e’ stato molto pubblicizzato e’ stato quel trapianto di isole che e’ stato fatto ultimamente a Miami.
Anche noi abbiamo dei protocolli per indurre la tolleranza, dove vengono usati dei farmaci diversi da quelli che abbiamo usato fin’ora, ma per i quali, e’ ancora previsto che la terapia immunosoppressiva venga fatta. Sono cambiati un pochino i farmaci: alla luce di queste nuove terapie studieremo se sara’ possibile ridurre, minimizzare la terapia immunosoppressiva fino a sospenderla completamente.
A Miami hanno fatto il trapianto di isole associato a quello di cellule staminali. Qui non dobbiamo incorrere nell’errore che ho visto riportato da molti mass media: le cellule staminali di cui parliamo sono cellule staminali del midollo del donatore e non hanno il compito di produrre insulina, ma di educare il sistema immunitario a tollerare il trapianto di isole. Quindi lo schema sara’: – Vengono iniettate le isole e il primo giorno si fa la normale terapia immunosoppressiva. – Poi si fa, successivamente, l’infusione delle cellule staminali del donatore che vanno a fare una specie di “alleanza” con le cellule staminali del ricevente, fino a che le educano a non riconoscere piu’ le isole date all’inizio come estranee. – Quindi si prevede la riduzione della terapia immunosoppressiva.
Per ora, solo la riduzione. Vedremo quando pubblicheranno i dati, cosa si potra’ fare, se sospenderla completamente o meno.
Abbiamo visto che ci vogliono circa 10 mila isole pro-chilo per ogni paziente, quindi circa 2 donatori, se non 3, per ogni infusione. Quindi un’altra linea di ricerca molto attuale e’ quella che cerca una fonte di isole o di cellule che sappiano produrre l’insulina, che non siano i donatori cadavere. La propensione ulteriore su questa linea di ricerca e’ di usare le cellule staminali del soggetto stesso, di educarle stavolta a produrre l’insulina e poi di ridarle al soggetto che in teoria non dovrebbe piu’ essere diabetico. Le sorgenti delle cellule staminali possono essere gli embrioni, i feti, il cordone ombelicale e le cellule staminali adulte. La capacita’ di differenziazione si riduce progressivamente dall’embrione verso le staminali adulte. Quindi le cellule staminali degli adulti saranno quelle meno attive e meno capaci di trasformarsi in beta cellula per produrre poi insulina. Vorrei precisare che non e’ ancora stato fatto nessun trapianto di cellule staminali elaborate in laboratorio ed educate a produrre insulina nell’uomo.
Volevo concludure con due note sul lungo termine di quello che e’ il trapianto di isole. Perche’ le domande che senz’altro ci poniamo sono: Abbiamo fatto il trapianto di isole, e’ andato bene 3 – 5 anni (quando ci rivedremo tra qualche anno potremo dirvelo con esattezza), ma se non e’ andato bene, cosa faccio? Cosa succede? Nulla. Torno a fare l’insulina. In tutti gli anni di sperimentazione sugli animali prima, ma soprattutto sull’uomo, il trapianto di isole non ha mai dato nessun problema di tipo funzionale sul fegato.
Importante invece conoscere le complicanze possibili sul lungo termine della terapia antirigetto. Se noi andiamo ad agire sul sistema immunitario, possiamo avere un maggior numero di infezioni e un’evoluzione un po’ diversa di alcuni tipi di tumore. Naturalmente per le infezioni la cosa e’ abbastanza semplice da risolvere con la profilassi, perche’ sono solo alcuni tipi di virus e poche infezioni di alcuni tipi di batteri che possono dare delle complicanze diverse a chi fa la terapia immunosoppressiva, rispetto a chi non la fa, e quindi risolvibili facilmente. Per quanto riguarda i tumori, teoicamente questo problema esiste: nell’ambito del trapianto di isole non abbiamo registrato nessun caso nei 6 anni di osservazione con quei protocolli di immunosoppressione che abbiamo visto.
La casistica che io vi presento riguarda la casistica dei trapianti di organo solido con un follow-up di almeno 20 anni. E vedete che la maggior parte dei tumori che si sviluppano in chi fa la terapia immunosoppressiva sono tumori cutanei, fondamentalmente benigni (perche’ sapete che l’unico tumore della cute maligno e’ il melanoma) e per i quali si puo’ operare con una prevenzione che e’ di solito una terapia definitiva. La lesione cutanea va tolta. Va tolta, in realta’ in tutti, in particolare in chi usa la terapia immunosoppressiva perche’ questa non evolva verso l’unico tumore maligno della pelle che puo’ far paura e che e’, appunto, il melanoma. Gli altri in realta’ sono tipi di tumore che non hanno una percentuale di fattore di rischio di rilievo, superiore alla popolazione generale e quindi, anche qui, come per le infezioni, si deve operare di profilassi.
Concludiamo mettendo sul piatto della bilancia gli effetti positivi del trapianto (controllo metabolico, scomparsa delle ipoglicemie, migliore qualita’ di vita, prevenzione o addirittura miglioramento di alcuni tipi di complicanze) rispetto al problema che ci dobbiamo porre, cioe’ gli effetti collaterali della terapia immunosoppressiva. Per i casi per i quali c’e’ l’indicazione al trapianto e che abbiamo visto all’inizio, la bilancia pendera’ evidentemente a favore del trapianto, ma non per tutti i casi e’ cosi’.
Dr Paola Maffi
Istituto Scientifico H San Raffaele Milano
|