Importante avanzamento nella prevenzione del diabete di tipo 1: l’immunoterapia ne ritarda la comparsa in persone ad alto rischio
Oggi al 79° congresso dell’American Diabetes Association sono stati presentati da Kevan C Herold i risultati del TrialNet Teplizumab Prevention Study (TN10) e contemporaneamente gli stessi sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine. Lo studio TN10, promosso da Trialnet, è uno studio di fase 2, multicentrico, controllato, randomizzato verso placebo, cioè uno studio in grado di provvedere evidenze scientifiche di alta qualità.
Lo studio TN10 è stato disegnato per valutare se l’anticorpo monoclonale anti-CD3, denominato teplizumab, può ritardare l’insorgenza del diabete di tipo 1. Gli individui inclusi nello studio dovevano avere un’età compresa tra 8 e 45 anni, avere un parente di primo o secondo grado con diabete di tipo 1, un deficit nella secrezione insulinica (verificato tramite un test anormale di tolleranza al glucosio dopo OGTT) e la presenza di almeno due autoanticorpi anti-diabete. Questi soggetti hanno un rischio di sviluppo della malattia che è praticamente del 100% nel corso della loro vita.
Il trattamento è stato eseguito su 76 soggetti (di cui 55 sotto i 18 anni) ed è consistito in una infusione in vena del farmaco per 14 giorni consecutivi, infusione che è durata 30 minuti ed è stata seguita da una osservazione di 2 ore.
I risultati hanno mostrato che teplizumab è in grado di ritardare la comparsa del diabete di tipo 1 di 2 anni. Nel gruppo di controllo, il 72% delle persone ha sviluppato diabete clinico, rispetto al solo 43% del gruppo trattato con teplizumab. Il tempo mediano per le persone nel gruppo di controllo per sviluppare il diabete clinico è stato di poco superiore ai 24 mesi, mentre il tempo mediano per il gruppo di trattamento è stato di 48 mesi. Come in altri studi che hanno utilizzato teplizumab, alcuni partecipanti hanno manifestato come effetti collaterali a breve termine eruzioni cutanee e decremento della conta dei globuli bianchi.
L’importanza di questi risultati sta nel fatto che negli ultimi 10 anni, quasi 70 studi di fase 1-3 per prevenire il diabete o conservare la funzione delle cellule beta all’esordio sono stati compiuti senza ottenere però risultati soddisfacenti. Questo è il primo studio che mostra che un farmaco può ritardare la diagnosi di diabete di tipo 1 con una mediana di 2 anni nelle persone ad alto rischio. Un ritardo di due anni nella diagnosi è clinicamente importante. Ogni giorno senza T1D è un guadagno importante.
“Questo studio segnerà lo sviluppo della ricerca nel campo nei prossimi 10 anni – commenta Lorenzo Piemonti, direttore del Diabetes Research Institute dell’Ospedale San Raffaele – e pone l’utilizzo dell’anticorpo anti CD3 come un primo mattoncino a cui dovremo aggiungere qualcosa d’altro per ottenere ulteriori risultati in termini di efficacia. Sia il campo della prevenzione del diabete di tipo 1 che quello della ricostituzione delle cellule beta beneficeranno in modo rilevante di questi risultati. Dopo anni di sforzi e studi si cominciano a vedere possibili risultati applicabili al letto del paziente nel prossimo futuro”. Al momento il farmaco non è ancora utilizzabile nella pratica clinica. Il farmaco è prodotto dalla Provention Bio e non si può ancora prevedere se e quando sarà disponibile per essere utilizzato dai pazienti in quanto non ancora registrato da FDA. Un secondo studio di fase 3 è in corso negli Stati Uniti per valutare l’efficacia dello stesso farmaco all’esordio del diabete nei bambini e negli adolescenti. I risultati sono attesi per il Maggio 2022. Nel caso il risultato fosse positivo in termini di costo/beneficio teplizumab potrebbe rappresentare il primo farmaco approvato e utilizzabile nella prevenzione del diabete di tipo 1. “Dobbiamo muoverci come sempre con estrema prudenza, in attesa dei risultati di questo secondo trial. L’ obiettivo nel prossimo futuro sarà quello di valutare quale farmaco associare per aumentarne l’efficacia di teplizumab. Attualmente, 58 studi di immunoterapia per il diabete di tipo 1 sono pianificati o in corso i cui risultati saranno disponibili nei prossimi anni e i suggerimenti non mancheranno” conclude Piemonti.
“Anche se non abbiamo reclutato pazienti in questo specifico studio, in quanto uno dei 5 centri Trialnet in Europa, è motivo di particolare soddisfazione vedere questi risultati – sottolinea Emanuele Bosi, responsabile del centro Trialnet del Diabetes Research Institute di Milano– risultati che sottolineano che solo anni di collaborazione internazionale e investimenti su grande scala possono portare a risultati rilevanti nelle prevenzione di questa malattia. In futuro, se miglioreremo ulteriormente l’efficacia degli interventi, dovremo preparaci a raffinare gli strumenti di screening della popolazione per identificare con la massima precisione i soggetti a rischio”.
Il Diabetes Research Institute coglie l’occasione per ringraziare tutte le famiglie che in questi anni hanno aderito a Trialnet, senza il cui aiuto non sarebbe possibile sviluppare studi come questo.