In bambini a rischio genetico può comparire con la celiachia
In bambini ad alto rischio ci sarebbe una maggiore probabilità di sviluppare diabete di tipo 1 e celiachia insieme, rispetto alla popolazione generale. A evidenziarlo è stato uno studio pubblicato da Pediatrics e guidato da William Hagopian, del Pacific Northwest Research Institute di Seattle.
Lo studio
Hagopian e colleghi hanno analizzato i dati raccolti su 5.891 bambini ad alto rischio genetico di diabete e celiachia, evidenziato nelle analisi genetiche eseguite a 4 mesi e mezzo. Quindi, ai bambini sono stati periodicamente misurati i livelli di autoanticorpi insulari persistenti (IAs), di autoanticorpi del tessuto transglutaminasi (tTGAs) e altri fattori. Il follow-up medio è stato di cinque anni e mezzo. Nel complesso, gli IA sono stati identificati da soli in 367 bambini, il 6,2%, e i tTGAs da soli in 808 bambini, il 13,7%. Secondo gli autori, gli IA che comparivano prima degli tTGAs sarebbero associati a un rischio significativamente aumentato di comparsa di tTGAs. In 99 bambini, invece, pari all’1,53% del campione, sarebbero stati evidenziati entrambi gli autoanticorpi.
Così, i ricercatori hanno calcolato che la prevalenza prevista di avere entrambi gli anticorpi nella popolazione generale sarebbe di 1,19%.
Le evidenze
Dopo aver adeguato i dati sulla base di sesso, paese di provenienza e altri fattori, la probabilità di avere entrambi i marker era significativamente maggiore nei bambini con una storia familiare di TD1, quelli con i genotipi HLA-DR3/4 e quelli con il polimorfismo sul singolo nuceotide rs3184504 su SH2B3. Tuttavia, secondo quanto sottolineato dai ricercatori, “meccanismi ambientali e fisiopatologici potrebbero contribuire all’aumento del rischio”.
“La spiegazione in merito ai meccanismi richiederà ulteriori studi”, hanno spiegato gli autori. Tuttavia, come concluso da Hagoplan, “i nostri risultati suggeriscono che anche i bambini affetti da autoanticorpi isolati ad alto rischio e non solo quelli con una diagnosi confermata di diabete di tipo 1 dovrebbero essere sottoposti a screener per la celiachia”.
In un editoriale che accompagnava l’articolo, Christine Ferrara e Stephen Gitelman, dell’Università della California di San Francisco, hanno spiegato che “i risultati ottenuti non stabiliscono una casualità diretta”.
“La ricerca contribuisce all’ipotesi che l’autoimmunità iniziale innescata contro un organo possa potenziare altre malattie autoimmuni”, hanno scritto i due esperti, secondo i quali la ricerca futura sui fattori e sui meccanismi di rischio potrà contribuire a identificare nuovi target per farmaci, con la possibilità di prevenire una o più malattie autoimmuni” .
Fonte: Pediatrics
David Douglas
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)