In difetto genetico “chiave” per prevenzione mirata
E’ in un difetto genetico, un polimorfismo, la chiave per la prevenzione mirata ed efficace del diabete. Lo indica uno studio di Philippe Froguel, professore di Genetica all’Istituto Pasteur di Lille e all’Imperial College di Londra, illustrato al “Workshop on Diabetes Mellitus and Related Conditions – Novel Therapies: Scientific Backgrounds and Clinical Perspectives”, che da oggi a Mantova riunisce i maggiori specialisti provenienti da tutto il mondo. Al centro della ricerca l’ultimo gene scoperto, tra i tanti coinvolti nello sviluppo del diabete di tipo 2. Si chiama SLC30A8, fa parte della famiglia dei geni polimorfi (che possono presentarsi in natura con differenze minime, ma rilevanti in termini di rischio di malattia) e produce un ‘corriere’ per il trasporto dello zinco che è presente esclusivamente nelle vescicole secretorie delle beta-cellule pancreatiche, quelle che producono l’insulina. Una volta individuato chi ha questo difetto genetico – secondo il ricercatore – sarà probabilmente possibile intervenire per prevenire la malattia, anche se ancora non è chiaro come: forse con integrazioni ben calibrate di zinco nella dieta o, più probabilmente, con farmaci che possano agire in modo mirato su questo trasportatore. I geni hanno un ruolo fondamentale nella malattia che, come è noto, è favorita anche dalla vita sedentaria e dalle cattive abitudini alimentari. In presenza di geni predisponenti, infatti, i fattori di rischio ambientali agiscono in maniera ancora più deleteria. “Negli ultimi 10-15 anni – ricorda Enzo Bonora, ordinario di Endocrinologia dell’università di Verona e organizzatore del congresso di Mantova – sono stati identificati alcuni polimorfismi genici che hanno la caratteristica di aumentare il rischio di diabete di tipo 2. La probabilità di malattia in questo caso è maggiore di quella conferita dai polimorfismi identificati in precedenza e quindi è stato fatto un significativo passo avanti nella comprensione della combinazione di geni che predispongono e dei meccanismi molecolari alterati che determinano la malattia. Un passo significativo, quindi, anche nella cura. A ogni gene alterato, infatti, corrisponde in genere una funzione biologica alterata e questa può diventare il potenziale bersaglio di un farmaco”. “Gli studi che stiamo conducendo – spiega Froguel – hanno l’obiettivo di identificare tutti i geni che predispongono alla malattia. Ogni volta che ne individuiamo uno, è come se avanzassimo di un gradino verso la comprensione della sua origine”. Nello stesso studio che ha identificato il gene corriere dello zinco, denominato SLC30A8, ”abbiamo confermato – continua il ricercatore – l’importanza del gene TCF7L2 e identificato altre varianti geniche che sono associate al diabete. Si tratta dei geni HHEX e EXT2 che controllano la sintesi di proteine coinvolte nello sviluppo e nella funzione delle beta-cellule”. I ricercatori di tutto il mondo, insomma, stanno evidenziando, man mano che proseguono gli studi, che nella predisposizione al diabete non è implicato solamente un gene polimorfo, ma un insieme di polimorfismi. Il futuro dunque riserva “sicuramente – dice Froguel – una prevenzione focalizzata su chi ha il più elevato rischio di malattia, perché gli esami genetici hanno rilevato la presenza di un insieme di geni polimorfi altamente predisponenti”. Le tecnologie, del resto, hanno fatto passi da gigante e sono di grande aiuto. ”Per effettuare i nostri studi – conclude lo scienziato francese – utilizziamo la tecnica del genome-wide scanning, estremamente sofisticata che permette in tempi rapidi, grazie a una metodica robotizzata, l’analisi di ampie porzioni del genoma e l’esame simultaneo di centinaia di migliaia di nucleotidi, i mattoni del Dna dove possono trovarsi i polimorfismi.”
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(Adnkronos Salute) |