Intervista al prof. Antonello Pileggi sul BioHub, “quantum leap” verso la cura
Nato a Lamezia Terme, il Prof. Antonello Pileggi si è laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Pavia dove ha completato un dottorato di ricerca (PhD) e ha cominciato ad interessarsi di trapianti d’organo in modelli preclinici.
Nel 1998 comincia un periodo di formazione nell’ambito dell’immunobiologia dei trapianti e partecipa al programma di trapianti cellulari (isole pancreatiche e midollo osseo) presso il Cell Transplant Center del Diabetes Research Institute dell’Università di Miami, diretto dal Prof. Camillo Ricordi. Dal 1998 al 2002 si è occupato di ricerca traslazionale sotto la guida del Prof. Luca Inverardi. Dal 2002 al 2009 è entrato a far parte del corpo accademico come Assistant Professor presso la Divisione di Trapianti Cellulari dell’Università di Miami.
Dal 2009 è Professore Associato presso i dipartimenti di Chirurgia, Microbiologia/Immunologia, e Ingegneria Biomedica dell’Università di Miami. Ha partecipato a studi clinici e preclinici nell’ambito dei trapianti cellulari, immunobiologia dei trapianti, diabete autoimmune, cellule staminali, ingegneria genetica, biologia cellulare, bioingegneria. Ha all’attivo un centinaio di pubblicazioni scientifiche e contribuisce in qualità di revisore ed editore all’attività di peer-review di riviste scientifiche, congressi e numerose istituzioni internazionali.
Chiediamo a lui di spiegarci cosa sia il BioHub, l’ultima “novità” della ricerca made in USA, ma portata avanti da molti ricercatori italiani.
Che cos’è il BioHub? Di cosa è fatto?
Il DRI BioHub è il frutto della convergenza di molteplici tecnologie mirate a ristabilire il funzionamento beta-cellulare in pazienti con diabete. Il nome, infatti, deriva dalla combinazione dei termini ‘Biologico’ e ‘Connessione’ (‘hub’), che definisce una piattaforma tecnologica su cui integrare differenti componenti per ottenere l’obiettivo finale di una soluzione biologica (cioè, mediante il trapianto di cellule secernenti insulina) al trattamento ed eventualmente cura del diabete.
Le aree su cui stiamo lavorando presso il Diabetes Research Institute di Miami e presso i centri che fanno parte della “Diabetes Research Institute Federation” e della “Cure Alliance” sono mirate a superare le limitazioni al successo del trapianto di isole che abbiamo identificato negli ultimi tre decenni e che in combinazione possano portare ad una soluzione biologica definitiva del diabete insulino dipendente:
- Modulazione dell’immunità con nuovi protocolli sistemici e locoregionali più efficaci e sicuri che permettano di ottenere una funzionalità del trapianto a lungo termine e che promuovano l’induzione di tolleranza immunitaria (eliminazione di autoimmunità e rigetto) senza necessità di immunoterapia a vita.
- Sviluppo di siti di impianto ingegnerizzati che favoriscano attecchimento e funzionalità a lungo termine delle isole trapiantate.
- Sviluppo di membrane ultrasottili (idrogel) in grado di fornire immunoisolamento alle isole preservando la diffusione di ossigeno e nutrienti.
- Il BioHub rappresenta inoltre una piattaforma ideale su cui integrare l’uso di cellule insulari ingegnerizzate mediate metodiche di rigenerazione cellulare (cellule staminali, riprogrammazione di tessuti, cellule animali, ecc.) per ottenere quantità illimitate di cellule secernenti insulina e per far fronte alle attuali limitazioni dovute alla scarsità di pancreas umani per trapianto.
Sebbene potenzialmente dalla combinazione delle varie componenti del BioHub possano risultare sinergie, non tutti gli elementi del nostro approccio sono pronti per essere introdotti nella pratica clinica allo stesso tempo. Siamo in fase avanzata con nuovi protocolli di immunomodulazione per promuovere l’induzione di tolleranza che hanno già dato risultati molto promettenti nei trapianti clinici di rene e si sta lavorando sulla stesura di protocolli che possano essere adattati al trapianto di isole ed al diabete tipo 1. Dal punti di vista dell’ingegneria tissutale, stiamo lavorando su matrici riassorbibili e biomateriali permanenti che possano favorire l’attecchimento e la funzione a lungo termine delle isole impiantate. Gli studi in modelli sperimentali di diabete stanno dando risultati incoraggianti con entrambi gli approcci. Il prototipo basato sull’uso di matrici biocompatibili di silicone (una sorta di spugna in grado di alloggiare le isole in uno spazio ben definito) è in questo momento in fase di sperimentazione preclinica per collezionare i dati di sicurezza e stabilità che sono necessari per ottenere i permessi dalle agenzie preposte (la Food and Drugs Administration negli USA) con cui abbiamo già avviato le pratiche amministrative preliminari.
Stiamo inoltre lavorando all’ottimizzazione di nuove metodiche di immuno-isolamento utilizzando dei polimeri biocompatibili per formare delle barriere ultrasottili intorno a ciascuna isola in modo da prevenirne l’attacco da parte delle cellule immuni. Queste tecniche mirano a superare le limitazioni delle micro-capsule che in realtà sono di dimensioni tali da non garantire scambi di ossigeno e nutrienti alle isole contenute in esse.
Alcuni dei risultati con le varie componenti del BioHub verranno presentati e discussi con la comunità scientifica al Congresso della Cell Transplant Society che si terrà a Milano a luglio.
Come controllera’ la glicemia? (bisogno di glucagone?)
Quando parliamo di isole pancreatiche, ci riferiamo agli agglomerati cellulari che comprendono tutte le cellule endocrine responsabili del controllo metabolico. Le isole sono dei “micro-organi” ciascuno in grado di funzionare bene solo se tutte le componenti (alfa = glucagone; delta = somatostotina; ecc.) sono presenti ed in grado di interagire tra di loro – è un lavoro di squadra!! Va chiarito subito che, sebbene l’obiettivo primario del trapianto di isole nel diabete tipo 1 è quello di ristabilire la funzionalità beta cellulare (con produzione e secrezione di insulina in maniera fisiologica), tutte le cellule che compongono l’isola vengono trapiantate insieme senza stravolgere l’architettura strutturale e funzionale della stessa. Il BioHub è, di fatto, un trapianto di isole pancreatiche in un sito ingegnerizzato, quindi il controllo metabolico viene ristabilito, come del resto nel caso del trapianto di isole nel fegato (metodica attualmente effettuata come prima scelta a livello clinico), su cui abbiamo dati molto rassicuranti degli ultimi 25-30 anni che dimostrano il raggiungimento del controllo metabolico ottimale quando vengono trapiantati numeri adeguati di isole da permettere l’eliminazione della terapia insulinica. Inoltre, anche quando la dose di isole è subottimale non permettendo di ottenere insulino-indipendenza dopo il trapianto, si ottiene un eccellente controllo metabolico utilizzando dosi di insulina di gran lunga ridotte rispetto a prima del trapianto, perché le isole forniscono una risposta basale fisiologica non ottenibile mediante terapia farmacologica. Un’altra importante lezione appresa dalla sperimentazione clinica è l’abilità di ristabilire dopo il trapianto di isole una parziale normalizzazione della secrezione di glucagone e di quella autonomica in risposta alle ipoglicemie.
Il BioHub dovrà essere “ricaricato” o “sostituito” nel tempo? Se sì, ogni quanto tempo?
L’obiettivo degli studi ora in fase di sperimentazione preclinica è quello di ottimizzare le metodiche di trapianto e di modulazione dell’immunità in modo da ristabilire il controllo metabolico efficientemente ed una volta per tutte mediante il trapianto di isole nel BioHub, senza necessità di ritrapianto, ma considerando il ricorso a tecniche d’impianto mini-invasive, potrebbe essere effettuato il ritrapianto qualora si verificassero alterazioni funzionali del trapianto. In ogni caso, la “prova del nove” verrà dalla valutazione dei risultati della sperimentazione clinica che permetteranno di indentificare la necessità di ricalibrare apportando ulteriori miglioramenti.
Perché i ricercatori del DRI sono così fiduciosi che il BioHub funzionerà?
Il BioHub rappresenta una nuova piattaforma con enorme potenzialità perché derivante dalla convergenza di approcci di nuova generazione mirati alla cura biologica del diabete. Siamo molto fiduciosi perché abbiamo messo insieme una squadra di ricercatori internazionali con competenze multidisciplinari proprio con l’obiettivo di sviluppare le varie componenti del BioHub in maniera efficiente. Gli incoraggianti dati preliminari ottenuti finora in modelli sperimentali giustificano il nostro ottimismo.
Ci sono dei rischi nell’impianto del BioHub?
Come in tutte le terapie sperimentali, vanno contemplati potenziali rischi anche per il BioHub che per ora sono ipotetici e basati, per esempio, sulle nozioni riguardanti il profilo di sicurezza dell’uso di protocolli immunoterapeutici per altre applicazioni già nella pratica clinica, oppure sul rischio di complicanze delle procedure chirurgiche o da reazione ai materiali impiantati. Proprio a causa dei rischi ipotetici, sarà fondamentale eseguire la sperimentazione clinica inizialmente su scala pilota (generalmente su un numero esiguo di pazienti adulti con caratteristiche ben definite) per riuscire ad avere dati oggettivi su sicurezza ed efficacia prima di espandere l’applicazione clinica.
Chi potrà averlo? Sarà per tutti i tipo 1, a prescindere dall’età? E i tipo 2?
Possiamo anticipare che la sperimentazione clinica sarà verosimilmente intrapresa inizialmente nei pazienti adulti con diabete tipo 1 instabile seguendo i criteri di selezione per i candidati al trapianto abbastanza rigide come del resto già in effetto per il trapianto di isole nel fegato. Questa strategia e’ preferibile particolarmente considerando che verosimilmente i primi trapianti con il BioHub potrebbero essere effettuati in un regime di terapia anti-rigetto cronica, pertanto basata sull’uso di farmaci immunosoppressivi che hanno noti rischi (infezioni, tossicità d’organo, ecc.) pertanto imponendo molta cautela nelle fasi iniziali della sperimentazione clinica. Una volta stabilite sicurezza ed efficacia, sarà possibile incorporare le varie migliorie e maggiore complessità ed allo stesso tempo progressivamente espandere le indicazioni del trapianto di isole a tutti i casi di diabete insulino dipendente instabile che potrebbero trarre beneficio dal ripristino biologico della funzionalità beta-cellulare.
Dove si troveranno le isole necessarie per curare tutti?
Inizialmente si effettueranno trapianti con isole umane da donatore cadavere. In futuro, se i protocolli di induzione di tolleranza si dimostreranno efficaci ed in grado di permettere l’ottenimento di elevate probabilità di successo nella maggioranza dei pazienti, potrebbe essere considerato il ricorso alla donazione da donatore vivente, per lo meno in alcuni casi in cui i rischi siano contenuti per il donatore. Ovviamente la donazione di pancreas umani (siano essi da cadavere o da vivente) non permetterà di fare fronte alle necessità, particolarmente considerando i numeri di individui che potrebbero trarre beneficio dal ripristino biologico della funzionalità beta cellulare. Si prospettano alquanto promettenti gli approcci mirati a superare le limitazioni della donazione umana mediante il ricorso alle isole xenogeniche (cioè ottenute da animali, per esempio isole di maiale), particolarmente grazie allo sviluppo recentemente di nuove metodiche di ingegneria genetica che stanno permettendo di superare, almeno in parte, le significative barriere di istocompatibilità alla base della risposta immunologica che porta al rigetto iperacuto tra le due specie (maiale ed uomo) e potenzialmente di rendere le isole xenogeniche piu’ vicine ad un’applicazione clinica combinandone l’uso con ingegneria tissutale (per esempio gli approcci di immunoisolamento con polimeri conformali). Un altro approccio molto promettente per superare le limitazioni sarebbe quello di utilizzare isole ottenute mediante metodiche di differenziazione in vitro partendo da cellule staminali multipotenti umane, particolarmente se le metodiche di espansione e maturazione permetteranno di ottenere cellule funzionalmente competenti alla stessa stregua delle isole mature, ed ovviamente avendo comprovata l’assenza di rischi di contaminazione di cellule in grado di dare luogo a derivazione neoplastica.
Quando sarà disponibile?
Per quanto concerne i protocolli di immunomodulazione, si stanno effettuando esperimenti preliminari per ottimizzare le procedure tecniche relative alla preparazione delle cellule adiuvanti, ed avviando le partiche burocratiche per ottenere i permessi dai comitati etici ed agenzie governative. Per quanto concerne l’impianto delle matrici biocompatibili, stiamo portando a termine studi preclinici di stabilità e sicurezza sui biomateriali che sono necessari per le agenzie regolatrici prima dell’approvazione dell’uso nell’uomo. Se non ci saranno intoppi lungo la via, dovremmo essere in grado di avviare la sperimentazione clinica nell’arco di 12-18 mesi.
Grazie, Prof. Pileggi, buon lavoro e in bocca al lupo: contiamo su di voi!
di Daniela D’Onofrio