l diabete 2 può regredire se si perde (molto) peso. E non lo si riacquista
Dal diabete si può tornare indietro? Sì, se si tratta del diabete di tipo 2, quello che spesso si manifesta soprattutto in chi è sovrappeso o obeso: in questi casi perdere i chili di troppo può far regredire la malattia fino a eliminare la necessità di farmaci e potersi dire sostanzialmente «guariti». Ne è convinto Roy Taylor, docente di malattie del metabolismo all’università di Newcastle, in Inghilterra, che da anni cerca di capire come e quanto sia necessario dimagrire per riportare indietro liberarsi del diabete di tipo 2: il suo ultimo studio, pubblicato di recente su The Lancet, dimostra che è possibile farlo per quasi un paziente su due, a patto di mettersi a dieta stretta.
Lo studio
Il ricercatore ha coinvolto circa trecento diabetici adulti con una diagnosi da almeno sei anni, che non erano in cura con insulina ed erano sovrappeso od obesi; quelli che hanno seguito una dieta rigida per tre-cinque mesi, seguita da una graduale reintroduzione dei cibi e poi un’alimentazione di mantenimento, dopo un anno avevano perso quindici o più chili. Grazie a questo alleggerimento, in circa un caso su due hanno visto normalizzarsi la glicemia e hanno potuto dire addio ai farmaci che stavano assumendo: un risultato eccellente, anche se a prezzo di non pochi sacrifici visto che la dieta d’attacco dei primi mesi è quasi da fame, con una media di 850 calorie al giorno (ed è già un successo rispetto alle prime sperimentazioni di Taylor, che proponevano regimi da 6-700 calorie al massimo).
Mantenere il risultato
«Il diabete di tipo 2 è una condizione potenzialmente reversibile, almeno per i pazienti che ancora riescono a rispondere all’insulina – ha sottolineato Taylor -. L’importante è riuscire a perdere peso e non riacquistarlo: mantenere il risultato raggiunto è vitale, perché altrimenti si torna punto e accapo. Tanti per esempio dimagriscono i primi mesi, poi perdono la motivazione e tornano alle vecchie abitudini vanificando gli sforzi e ritrovandosi di nuovo la glicemia alta». Bisogna tenere duro e naturalmente farsi seguire da un nutrizionista per non rischiare carenze, ma poi si viene ripagati come conferma Giorgio Sesti, presidente della Società italiana di diabetologia (Sid): «Una drastica riduzione del peso può consentire di ridurre o addirittura sospendere i farmaci anti-diabete e, se non “azzera” la malattia, certamente consente di tenerla meglio sotto controllo. Nei diabetici di tipo 2 normopeso invece la dieta dimagrante non funziona, perché c’è spesso un danno irreversibile al pancreas».
La ciccia «dentro»
Resta il fatto che un’alimentazione sbagliata anche in questi casi può fare male, perché come ha dimostrato una ricerca recente su gemelli sovrappeso e normopeso la risposta metabolica a cibi poco sani è la stessa per tutti e favorisce i meccanismi che alimentano il diabete, dalla resistenza all’insulina all’incremento della glicemia. Inoltre a volte chi non ha problemi di bilancia ha comunque un girovita un po’ ampio, primo segnale di un accumulo di grasso all’interno, il più dannoso: la ciccia «dentro» infatti soffoca organi fondamentali per il metabolismo come il fegato e il pancreas. «Quando il grasso è dove non deve stare, ovvero sugli organi interni, ne pregiudica il funzionamento: per questo la “pancetta” è pericolosa a prescindere dal peso – sottolinea Sesti -. Il fegato grasso produce più glucosio, il pancreas non sintetizza abbastanza insulina, le cellule muscolari quando sono circondate di grasso consumano meno glucosio: tutti meccanismi che contribuiscono allo sviluppo del diabete».
Migliore sensibilità all’insulina
Eliminare la ciccia significa liberare le cellule e consentire loro di tornare più sensibili all’insulina e quindi usare meglio il glucosio disponibile, facendo sforzare meno il pancreas, che riprende a produrre l’ormone in quantità adeguata: in pratica se questa ghiandola ha ancora una funzionalità residua, dimagrendo è possibile recuperarla e far regredire la malattia. Taylor sostiene peraltro che esista una soglia individuale di grasso, una quantità di adipe che ciascuno di noi riesce a tollerare senza che il metabolismo ne risenta (e che spiegherebbe perché alcuni obesi non sono diabetici): superata la soglia subentra una tossicità da grasso e si sviluppa la malattia. L’obiettivo della dieta è quindi tornare al di sotto del limite massimo di adipe e pare che per gli obesi e i sovrappeso il numero «magico» sia la perdita di almeno quindici chili, se non proprio il ritorno al peso forma.
Mangiare meno e muoversi di più
Ma quel che conta per tutti, anche per chi ha solo la pancetta, è dimagrire «dentro», sul pancreas appunto, per consentirgli di tornare a funzionare. Come riuscirci? «Non esistono tecniche specifiche per perdere grasso selettivamente sugli organi interni, ma un dimagrimento generalizzato è efficace – risponde Sesti -. Mangiando meno e muovendosi di più le cellule recuperano l’energia di cui hanno bisogno attingendo ai trigliceridi delle cellule adipose, che vengono quindi mobilizzati e riassorbiti dai tessuti come fonte energetica». La strategia giusta perciò non passa solo da una dieta stretta, ma anche e soprattutto dall’esercizio fisico aerobico protratto: dopo i primi venti minuti di corsa, per esempio, l’organismo deve attingere agli acidi grassi per avere energia e i primi depositi a cui si rivolge sono proprio gli accumuli inappropriati di tessuto adiposo negli organi interni. L’attività fisica perciò «detossifica» e favorisce la lipolisi (eliminazione delle cellule grasse), anche dai depositi viscerali.