La dieta nell’anziano con diabete mellito
Un primo obiettivo del corretto regime alimentare è quello di evitare (o correggere) l’obesità. Il diabete è una malattia frequente nell’anziano (colpisce dal 10 al 20% dei soggetti con più di 70 anni), caratterizzata da valori di glicemia (lo zucchero nel sangue) superiori ai valori normali (oggi si ritiene che sia normale una glicemia a digiuno inferiore a 125 mg/dl). L’obiettivo principale del trattamento del diabete è quello di mantenere ottimale il compenso glicemico, evitando valori eccessivamente elevati (o abnormemente bassi). In questo modo è possibile evitare (o ritardare) la comparsa delle molteplici e serie complicanze di questa malattia. Oltre all’uso di farmaci (o talvolta di insulina), il mantenimento di una dieta corretta rappresenta un elemento fondamentale per ogni paziente diabetico, indipendentemente dall’età. Un primo obiettivo della dieta del diabetico è evitare (o correggere) l’obesità. Il controllo del peso, infatti, è di fondamentale importanza nel diabetico. Per questo non è necessario intraprendere diete drasticamente ipocaloriche (che, oltre a peggiorare la qualità di vita del paziente, non sono utili nel controllo metabolico a lungo termine); nel paziente in cui è desiderabile una riduzione del peso corporeo si consiglia una moderata restrizione calorica (200-250 Kcal) rispetto alle abitudini di base e un piano nutrizionale la riduzione dei cibi ad elevato contenuto di grassi, il tutto accompagnato da incremento dell’attività fisica. La dieta moderatamente ipocalorica si associa ad aumento della sensibilità cellulare all’insulina con miglioramento del controllo glicemico. Una perdita di peso moderata ha dimostrato ridurre l’iperglicemia, la dislipidemia e l’ipertensione arteriosa. Nei pazienti obesi anche una modesta riduzione del peso corporeo (5 Kg), determina una rapida riduzione della glicemia. La dieta nel paziente diabetico deve comprendere un adeguato apporto proteico (10-20%), sia di origine animale che vegetale. In caso di nefropatia la quota proteica va ridotta. La componente lipidica della dieta (30%) deve essere rappresentata soprattutto da acidi grassi polinsaturi di origine vegetale, riducendo quelli saturi di origine animale. La percentuale di grassi comunque va calcolata in funzione degli obiettivi terapeutici; in caso di alti livelli di colesterolo totale (o di LDL, il cosiddetto “colesterolo cattivo”), è raccomandabile un ulteriore riduzione dei grassi saturi al 7% ed il colesterolo degli alimenti a <200 mg/die. I carboidrati devono rappresentare il 50-60% delle calorie totali. Vanno evitati gli zuccheri “semplici”, quali il comune saccarosio (il dolcificante più diffuso), lo zucchero contenuto nei dolciumi, nel cioccolato e in molte bevande. Gli amidi (come il pane e la pasta) possono essere consumati in tranquillità (la quantità dipende dalle calorie totali nella dieta). Anche i frutti particolarmente dolci (quali l’uva, i fichi, le banane) vanno consumati con moderazione, preferendo quelli con minore contenuto di zuccheri (quali mele, pere, agrumi); anche la frutta secca ed oleosa va consumata in modo molto limitato. Una fonte ottimale di carboidrati possono essere cibi con fibre idrosolubili (avena, legumi, frutta). Tali fibre bloccano l’incremento glicemico post-prandiale, ritardando lo svuotamento gastrico. Un aspetto importante è la giusta suddivisione dei pasti nella giornata. Nei diabetici in trattamento insulinico si consiglia una composizione della dieta in 3 pasti principali e 2 spuntini a metà pomeriggio e sera. Per ovviare all’ipoglicemia si consiglia di suddividere il 20% delle calorie a colazione, 30% a pranzo, 30% a cena, 10% in due spuntini. La distribuzione dei pasti varia in relazione allo schema insulinico in atto; nel caso di più somministrazioni d’insulina pronta durante la giornata è ammessa una maggiore flessibilità. Il paziente deve essere avvertito che in caso di riduzione dell’apporto alimentare va conseguentemente ridotta la dose di insulina. Per i pazienti in trattamento con antidiabetico orale è invece indispensabile una maggiore rigidità e costanza nella dieta, poiché questi farmaci agiscono spesso per numerose ore (o giornata talvolta). Un importante presidio dietetico nel trattamento del diabete è l’uso di dolcificanti alternativi al saccarosio: Questi prodotti permettono di ottenere una maggiore collaborazione del paziente, formulando una dieta più accettabile. La saccarina è il dolcificante alternativo più utilizzato. Ha un potere dolcificante circa 350 volte superiore a quello del saccarosio e, praticamente, non apporta calorie. Sebbene alcuni ricercatori abbiano segnalato la potenziale carcinogenicità della saccarina nell’animale, questo pericolo non sembra rilevante nell’uomo per i dosaggi usuali. E’ comunque opportuno fame un uso limitato, evitando di confezionare con essa cibi e dolciumi. Altri prodotti sono carboidrati con un potere calorico inferiore e dolcificante superiore rispetto al saccarosio; tra questi il fruttosio, lo xilitosio ed il sorbitolo. Questi prodotti hanno un minore effetto sui livelli glicemici rispetto a glucosio e saccarosio ma, sebbene inferiore, il loro valore calorico deve essere tenuto in considerazione nel formulare una dieta. Il loro uso non ha mostrato fino ad ora importanti effetti negativi. L’aspartame è invece un dolcificante sintetico non carboidrato. E’ infatti un dipeptide con un potere dolcificante alcune centinaia di volte superiore a quello del glucosio e, ai dosaggi utilizzati, praticamente privo di potere calorico. L’uso dei molti altri prodotti dietetici speciali per diabetici trova una reale giustificazione solo in pochi casi; questi sono costosi e non offrono reali vantaggi rispetto ai cibi tradizionali in una dieta correttamente preparata.
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ANGELO BIANCHETTI Tratto da: “Giornale di Brescia” del 08.12.03
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