La donazione renale da vivente in Italia
Il 18 Febbraio scorso è stata diffusa la notizia che tre persone si erano rese disponibili a donare un rene a sconosciuti senza nulla pretendere e rimanendo anonimi. Questo tipo di donazione, indicata come «samaritana» è già stata realizzata in alcuni Paesi Occidentali ma non in Italia. Era prevedibile che un argomento così delicato suscitasse un dibattito e che, almeno in una prima fase, prevalesse un atteggiamento di prudenza e perfino di diffidenza. È tuttavia opportuno non confondere le peculiarità di una situazione così eccezionale con l’attività ordinaria.
In Italia il sistema trapianti è basato, quasi interamente, sulla donazione da cadavere che negli anni è stata sviluppata in modo rigoroso e sistematico fino ad ottenere risultati di grande rilievo. Tuttavia, se per alcuni organi, come il cuore, non esiste possibilità aggiuntiva rispetto alla donazione da cadavere, per altri, come il rene, esiste anche la possibilità della donazione da vivente.
LA DONAZIONE DA VIVENTE IN ITALIA – In Italia la donazione da vivente è regolata da apposite leggi, ed è possibile per il rene e per il fegato. Per il rene la donazione da vivente è una necessità imprescindibile che si aggiunge alla donazione da cadavere per ridurre l’enorme divario fra coloro che attendono e coloro ricevono un rene. È infatti noto che la sola donazione da cadavere non può coprire il fabbisogno di trapianto renale. A dire il vero, neppure aggiungendo la donazione da vivente è possibile ottenere questo risultato ma, ovviamente, si migliora la situazione. È infine opportuno considerare che, in media, un trapianto di rene da donatore vivente dura il doppio degli anni di uno da cadavere.
GLI ASPETTI ETICI E I RISCHI – La scarsità di reni disponibili per trapianto non può portarci però a trasgredire il cardine base della pratica medica «primum non nocere». Al contrario, questo principio è osservato scrupolosamente nel trapianto renale da donatore vivente. Ogni evento avverso è quindi registrato e trasmesso agli organismi che coordinano e controllano le attività di trapianto. In base ai dati raccolti in centinaia di migliaia di trapianti di rene da donatore vivente è noto, ad esempio, che muoiono tre donatori ogni 10mila interventi (0.03%). Curiosamente questo è lo stesso rischio che ognuno di noi ha di morire, ogni anno, in un incidente stradale. È anche noto che restare con un rene solo non aumenta il rischio di aver bisogno di dialisi. Infine chi dona un rene vive in media il 20% in più rispetto alle persone della stessa età che non donano. Questo apparente paradosso è spiegato sia dalla cura con cui vengono selezionati i donatori sia dal fatto che i donatori vengono controllati con scrupolo dopo l’intervento. Queste considerazioni tecniche mi sono sembrate opportune perché in Italia esiste una sorta di diffidenza rispetto al trapianto renale da vivente basata, evidentemente, più su opinioni ingiustificatamente protezioniste (del donatore) che su dati medici.
ORGANI DIVERSI – Il risultato è che nel nostro Paese si fanno meno trapianti di rene rispetto ad altri Paesi Europei, nonostante la buona donazione da cadavere. Quando si parla di fatti straordinari, come la donazione samaritana, bisogna quindi fare attenzione a restare aderenti all’eccezionalità dei fatti. È anche importante non confondere i diversi organi. È chiaro, ad esempio, che donare un rene è diverso da donare parte del fegato. In generale, però, quando si parla di trapianto, non bisogna dimenticare che si parla dell’unico settore della Medicina in cui la disponibilità di una terapia, spesso salvavita, non può prescindere da un gesto di altruismo (cioè dalla donazione). Donazione samaritana a parte, la donazione di rene da persona vivente è sicura per chi dona ed efficace per chi riceve, ed è raccomandata da tutte le società scientifiche del settore. Sebbene sia aggiuntiva, e non sostitutiva, rispetto alla donazione da cadavere, la donazione renale da vivente è necessità imprescindibile di ogni sistema sanitario moderno.
Ugo Boggi
Professore associato di chirurgia generale
Università di Pisa