La fotografia del diabete in Italia
Il 53,7% dei diabetici è maschio; il 59% ha più di 65 anni, il 33,7% tra 45 e 65, ma oltre il 7% ne ha meno di 35; il 92,1% è colpito da diabete di tipo 2. Il 61,3% è in cura con ipoglicemizzanti orali, il 17,7% con insulina, il 9,5% con ipoglicemizzanti più insulina e l’11,5% esclusivamente con interventi sullo stile di vita ossia con una modificazione della dieta alimentare. Oltre un terzo dei soggetti con diabete di tipo 2 è obeso (38,5% con BMI superiore a 30) e meno del 20% risulta normopeso. Invece, nei pazienti con diabete tipo 1 è in sovrappeso od obeso “solo” il 22,3% dei pazienti. Oltre un quarto dei soggetti con diabete tipo 1 (27,4%), e il 17,5% di quelli con tipo 2, risultano fumatori. Il dato fra i soggetti con tipo 1 è particolarmente allarmante, alla luce del forte rischio di complicanze microvascolari correlate al fumo di sigaretta. Buona, intorno all’83-84%, la percentuale di diabetici nei quali viene eseguita la valutazione dell’emoglobina glicosilata, universalmente riconosciuto il miglior parametro per determinare il livello di controllo della malattia. Insufficiente invece, anche nei migliori Centri del paese, la valutazione del piede diabetico e della nefropatia, tra le complicanze più drammatiche del diabete. Promossa nel complesso la qualità dell’assistenza fornita nel nostro paese, anche se i dati indicano la necessità di interventi terapeutici più incisivi, soprattutto sui principali fattori di rischio cardiovascolare. Infatti, risultano ancora troppi i diabetici con valori di colesterolo e pressione arteriosa elevati, che non sono trattati con i farmaci adeguati. Questa la fotografia del diabete in Italia illustrata ieri, nel corso di un incontro svoltosi a Milano, per la presentazione del Secondo rapporto nazionale sugli “Indicatori di qualità dell’assistenza diabetologica in Italia”: ANNALI DI DIABETOLOGIA AMD (Associazione Medici Diabetologi) 2007. Gli Annali AMD analizzano i dati raccolti da 95 Centri di diabetologia italiani (87 quelli coinvolti nel primo rapporto del 2006), che si sono dotati di una cartella clinica informatizzata in grado di garantire l’estrazione standardizzata delle informazioni. Globalmente sono stati presi in considerazione 139.147 pazienti visitati nel corso del 2005, il 13,8% (19.235) dei quali accedeva per la prima volta al servizio di diabetologia. “Gli Annali AMD rappresentano lo spaccato reale del sistema diabete e dello stato dell’assistenza diabetologica nel nostro paese. Il documento nasce dalla collaborazione tra il Centro Studi e Ricerche AMD, i Centri diabetologici italiani e il Consorzio Mario Negri Sud – ha affermato Giacomo Vespasiani, Direttore Centro Studi e Ricerche AMD. “E’ stato pensato – ha aggiunto Umberto Valentini, Past-President AMD – per rappresentare il riferimento utile e necessario per il Ministero, le Regioni, l’ASSR e tutte le istituzioni che si occupano di politica e organizzazione sanitaria, e permettere di migliorare l’assistenza ai pazienti diabetici in Italia”. Dai principali risultati dell’approfondita analisi risulta come il monitoraggio dell’emoglobina glicosilata (HbA1c) rappresenti ormai parte integrante dell’assistenza nella quasi totalità dei pazienti (83,1% nel diabete di tipo 1 e 84,2% nel tipo 2). Inoltre, il grado complessivo di compenso glicometabolico nella popolazione assistita è buono, anche se i risultati indicano la necessità di migliorare l’intervento terapeutico: l’HbA1c risulta, infatti, superiore a 7 in un’altissima (72,1%) percentuale di pazienti con diabete di tipo 1 e in oltre la metà (54,9%) dei pazienti con diabete di tipo 2. Secondo varie linee guida l’obiettivo da raggiungere, per prevenire le complicanze microvascolari della malattia diabetica (dei piccoli vasi arteriosi come la retinopatia, che porta danni alla vista, la nefropatia, che compromette la funzione renale, la neuropatia periferica, che favorisce le lesioni al piede, la neuropatia autonomica, che può dare disturbi a cuore, intestino e vescica), sarebbe un valore inferiore a 7, che si riduce a 6,5 per prevenire quelle macrovascolari (dei grossi vasi arteriosi con aumentato rischio di arteriosclerosi e quindi infarto, ictus). In ogni caso, il risultato medio dell’emoglobina glicosilata italiano è migliore di quello che si rileva in simili analisi compiute negli Stati Uniti e in Europa, spesso superiore ad 8, anche se i risultati indicano la necessità di interventi terapeutici più incisivi. Nonostante l’elevato rischio cardiovascolare dei pazienti con diabete, il monitoraggio del profilo lipidico (colesterolo, trigliceridi, ecc.) è eseguito meno sistematicamente rispetto a quello glicometabolico. Infatti il 40% dei pazienti, a prescindere dal tipo di diabete, non presenta valori del profilo lipidico registrati nel corso del 2005. Per quanto concerne la terapia, sono ancora molti i pazienti che andrebbero trattati, perchè con valori di colesterolo LDL superiori a 130 mg/dl, e invece non lo sono (25% tipo 1 e 33,5% tipo 2). Analogamente anche il monitoraggio della pressione arteriosa risulta effettuato meno sistematicamente. Il dato risulta infatti non registrato in circa un terzo dei pazienti, in entrambi i tipi di diabete (38,4% tipo 1 e 33,7% tipo 2). Anche qui, i dati sul trattamento farmacologico indicano la necessità di curare più a fondo i soggetti ipertesi: il 25,3% nel tipo 1 e il 41,2% nel tipo 2 non sono trattati con farmaci antipertensivi, nonostante mostrino valori pressori elevati, superiori a 140/90 mmHg. Oltre un terzo dei soggetti con diabete di tipo 2 è obeso (38,5% con BMI superiore a 30) e meno del 20% risulta normopeso. Invece, nei pazienti con diabete tipo 1 è in sovrappeso od obeso “solo” il 22,3% dei pazienti. Oltre un quarto dei soggetti con diabete tipo 1 (27,4%), e il 17,5% di quelli con tipo 2, risultano fumatori. Il dato fra i soggetti con tipo 1 è particolarmente allarmante, alla luce del forte eccesso di rischio di complicanze microvascolari correlate al fumo di sigaretta. Il monitoraggio della funzionalità renale sembra essere eseguito più frequentemente nei soggetti con diabete tipo 1: 54%. La percentuale scende al 47% per i soggetti con tipo 2. “Gli indicatori che sono stati elaborati dal database nazionale – ha aggiunto Vespasiani – non sono tutti quelli che si potrebbero estrarre, perché a oggi c’è una differenza talvolta sostanziale tra quello che si fa realmente e quello che si registra in maniera codificata: in genere molto meno. Tuttavia, il sistema è impostato e automatizzato e dunque con il miglioramento della qualità dei dati raccolti si otterranno, negli anni, informazioni sempre più precise e complete e con uno sforzo progressivamente minore”. “Gli Annali AMD 2007 – ha concluso Adolfo Arcangeli, Presidente AMD – sono relativi all’anno 2005 ed è stato valutato che fosse ancora presto, con sole due raccolte annuali, avviare un’analisi comparativa che valutasse i progressi di anno in anno dell’assistenza diabetologica in Italia. Gli Annali AMD 2007 rappresentano, in ogni caso, una meta di grande importanza nell’ottica del processo di qualità che AMD ha avviato e che intende gestire nel corso degli anni. I risultati di questo spaccato sono per molti aspetti sovrapponibili a quelli del 2006, confermando la solidità dei dati statistici rilevati in queste due edizioni. Per la prossima edizione avremo a disposizione quattro anni di dati (dal 2004 al 2007) e sarà quindi possibile aggiungere all’immagine statica, anche l’analisi dell’evoluzione dell’assistenza. In quella occasione sarà più chiaro l’effetto degli interventi eseguiti, nonché la tendenza assistenziale nei diversi campi di cura”.
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