La fotografia del diabete ‘neonato’
Uno studio italiano della Società Italiana di Diabetologia ‘fotografa’ per la prima volta il diabete sul nascere, svelandone le radici. La ricerca, presentata nell’ambito della sessione ‘In vivo veritas’ al 51° congresso dell’EASD in corso a Stoccolma è importante perché suggerisce le ‘istruzioni per l’uso’ per confezionare una terapia anti-diabete davvero su misura, declinata sulla base del difetto predominante alla base del diabete.
Il diabete mellito di tipo 2 è una condizione molto diffusa tra la popolazione generale (solo in Italia si stima che vivano oltre 4 milioni di persone affette da questa condizione) e se non diagnosticato per tempo e trattato adeguatamente, aumenta il rischio di molte malattie quali infarto, ictus, tumori e altre complicanze vascolari.
Il diabete è causato da un insieme di fattori genetici e ambientali che portano ad una ridotta secrezione di insulina da parte del pancreas e ad una resistenza dell’azione di questo ormone a livello degli organi e dei tessuti periferici. Il pancreas insomma riduce sempre più la produzione di insulina, mentre i tessuti e gli organi che dovrebbero rispondere ai ‘comandi’ di questo ormone, diventano resistenti all’insulina.
Lo studio VNDS (Verona Newly Diagnosed type 2 Diabetes Study) nasce appunto con l’intento di caratterizzare in dettaglio le componenti che contribuiscono a determinare il diabete di tipo 2 nel momento stesso in cui viene diagnosticato, ed è frutto di un lavoro decennale condotto presso la Divisione di Endocrinologia, Diabetologia e Metabolismo dell’Università di Verona.
I 700 pazienti (482 maschi e 218 femmine) arruolati finora nello studio, al momento della diagnosi di diabete, sono stati sottoposti ad un test del carico orale di glucosio, per valutare il grado di secrezione insulinica e ad un test di ‘clamp insulinico’ per misurare il grado di risposta degli organi e tessuti periferici all’insulina. Nel corso dei due esperimenti, sono state dosate le concentrazioni di C-peptide C, glicemia e insulina; i dati sono stati analizzati con un particolare modello matematico e interpretati utilizzando le banche dati degli studi GENFIEV (GENetica Fisiopatologia ed Evoluzione del diabete di tipo 2) e GISIR (Group of Italian Scientists of Insulin Resistance), relative a soggetti non diabetici, presi come riferimento per definire rispettivamente le soglie di difetto di secrezione insulinica e di resistenza all’insulina.
L’analisi dei dati ha consentito di evidenziare che già al momento della diagnosi di diabete il 90% dei soggetti presentava una compromissione della secrezione insulinica e che nell’88% era evidenziabile una ridotta sensibilità all’insulina. I pazienti che presentavano solo insulino-resistenza erano l’8,8% del totale, mentre quelli che presentavano solo un difetto di secrezione insulinica, tutti molto magri, erano il 10,8%. La maggior parte dei soggetti studiati (78,9%) al momento della diagnosi di diabete presentava entrambi i difetti, mentre un esiguo numero (1,4%) non mostrava alcuna alterazione. Un paziente su 5 di quelli che presentano entrambi i ‘difetti’ alla base del diabete mostrava anche pesanti alterazioni dei lipidi e un peggior compenso glicemico.
Lo studio VNDS dimostra dunque che, fin dal momento della diagnosi di diabete, nella maggior parte delle persone sono presenti sia una compromissione della secrezione di insulina che una resistenza alla sua azione a livello di organi e tessuti target periferici. Il VNDS ha dimostrato anche che quello che chiamiamo ‘diabete’ è in realtà una malattia molto eterogenea e che ciascun difetto, preso singolarmente, è in grado di determinare elevate concentrazioni di zuccheri nel sangue.
“Il momento in cui viene fatta diagnosi di diabete – afferma il primo autore dello studio, il dottor Marco Dauriz, Dipartimento di Medicina, Divisione di Endocrinologia, Diabetologia e Metabolismo dell’Università di Verona, membro della Società Italiana di Diabetologia – rappresenta una finestra temporale privilegiata per poter apprezzare la frequenza e l’entità dei difetti di secrezione e azione insulinica, prima che venga avviata una terapia farmacologica. Caratterizzare le componenti patogenetiche al momento della diagnosi è importante per individuare una strategia terapeutica il più possibile personalizzata. Le banche dati del VNDS e degli studio GENFIEV e GISIR – prosegue Dauriz – costituiscono un prezioso strumento per la comunità scientifica per poter indagare i meccanismi causali del diabete di tipo 2 e possibilmente individuare nuove strategie terapeutiche sin dalle forme di pre-diabete”.
“L’eterogeneità dei disturbi alla base del diabete tipo 2 è estrema – commenta il presidente SID, professor Enzo Bonora – Studi come questo documentano che fra i diabetici tipo 2 possono essere individuati soggetti molto diversi fra loro nelle alterazioni che portano alla manifestazione biochimica comune, cioè ad una concentrazione elevata di glucosio nel sangue. Per questo abbiamo bisogno e avremo sempre bisogno di molti farmaci con meccanismo d’azione diverso per curare i diabetici tipo 2. In questo momento abbiamo a disposizione 7 classi diverse di farmaci oltre all’insulina ma abbiamo bisogno di altre molecole. Molte sono in fase di studio”.